28 dicembre 2013

Il regalo di Natale ai labicani. Cronaca di un deprimente consiglio comunale.

Quando entriamo nell’aula consiliare il sindaco è visibilmente seccato. Il ritardo della segretaria comunale gli ha impedito di portare a termine nel migliore dei modi il blitz che aveva sapientemente architettato. La convocazione del consiglio comunale nel bel mezzo del periodo natalizio aveva, infatti, due straordinari pregi: la probabile assenza della parte più scomoda dell’opposizione e una comprensibile ridotta attenzione della cittadinanza (soprattutto se, per agevolare il tutto, ci si dimenticava finanche di far affiggere i manifesti di convocazione del consiglio). Insomma se la segretaria fosse stata puntuale, Galli avrebbe potuto fare a meno di “illustrare” (mi si passi il termine forte) il provvedimento da approvare. Purtroppo, però, la segretaria – impegnata peraltro in attività legate al suo incarico – è entrata quando c’era qualche cittadino nell’aula consiliare e Galli si è sentito in dovere di dare una breve spiegazione di quello che il comune si accingeva ad approvare.
Terminato l’appello ha iniziato a farfugliare alcune frasi sconclusionate il cui senso si potrebbe sintetizzare così: purtroppo a causa di eventi imprevedibili e del tutto indipendenti da noi (i più avranno pensato che un meteorite si deve essere abbattuto sul paese) ci ritroviamo con un debito pazzesco (ma non dice quanto), ma per fortuna io, che sono il miglior sindaco che si possa immaginare, ho già trovato una bella soluzione. Utilizziamo l’articolo 243-bis del testo unico degli enti locali e il problema svanisce come neve al sole. Sorvolando sugli effetti che può causare la neve, anche in modica quantità, merita di essere ricordato l’intervento di supporto di Scaccia, l’assessore al bilancio perfetto per questa maggioranza, il quale ha spiegato ad una platea basita che la scelta era stata fatta nel pieno interesse dei cittadini.  Nel senso che non pagheranno i cittadini il danno causato da altri (ossia da loro)? No, nel senso che il qu… antum ce lo metteranno i cittadini in comode fette, o meglio rate.
Tutto questo purtroppo non è stato registrato, perché – sempre per colpa di un destino cinico e baro – il costoso impianto di registrazione/amplificazione acquistato poco tempo fa (coi soldi pubblici) non funziona e non sono nemmeno in grado di fare una banalissima registrazione su un qualunque altro supporto. Non parliamo poi – sia mai – di eventuali riprese video che metterebbero in evidenza la distonia tra le affermazioni (fasulle) e le espressioni dei volti (pur essendo attori consumati, la qualità della recitazione è tale da non essere credibili neppure per un bambino). E così, zitti zitti, quatti quatti, i nostri bravi – nel senso manzoniano del termine – amministratori hanno approvato il “ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale”, termine con il quale il legislatore ha voluto occultare il senso vero di una norma che illustri giuristi hanno definito una “contraddizione ideologica e in termini” e che, nei fatti, sembra essere stata costruita su misura per salvare qualche amministrazione comunale in difficoltà. La norma, però, non solo presenta molti difetti strutturali ab origine, ma è anche stata modificata e corretta durante l’esame parlamentare al punto da renderla uno strumento molto pericoloso. Pochi giorni dopo la sua approvazione il Sole 24 ore, in un articolo felicemente intitolato “Il pre-dissesto e i rischi della politica irresponsabile” metteva in guardia dalle possibili conseguenze di una scelta troppo disinvolta di questo strumento e, evidentemente ben conoscendo la classe politica italiana, profetizzava: “Saranno molti gli amministratori che, abbagliati dal miraggio di vedere risolti i problemi dei loro enti e ritenendo il predissesto dotato di qualità salvifiche, agiranno con superficialità, trascurando le responsabilità cui è facile andare incontro”. Sembra quasi che gli autori dell’articolo avessero esattamente in testa i nostri azzeccarbugli locali. Già si immaginavano Galli e Scaccia riuniti insieme ai loro più fidi consiglieri tirare fuori dal cilindro la soluzione ottimale grazie alla quale continuare allegramente – per altri dieci anni! – a fingere non solo di non avere alcuna responsabilità per i problemi, ma finanche della loro inesistenza. E magari anche andare a raccontare in giro – come hanno provato a fare in consiglio comunale – che va tutto bene, che loro sono tanto coscienziosi e che se il paese è allo sfascio la colpa è dei marziani e dell’opposizione.

Ovviamente dalle spiegazioni (chiamiamole così) balbettate da Galli e Scaccia si è capito ben poco del famigerato piano di rientro e la sensazione è che ne sappiano meno di quello che hanno fatto capire. Si intuisce che stanno andando avanti con lo stile amministrativo che da sempre li caratterizza: vanno a tentoni, sperando di imbroccarne qualcuna (purtroppo per noi non succede spesso). Dal dibattito (anche qui usiamo con generosità i termini di cui ci dota la lingua italiana) sul punto sono emerse solo un paio di cose: la prima è che il debito ammonta ad oltre 5 milioni di euro (alla faccia…); la seconda è che, visto che si è trovato il coniglio nel cilindro, nel conto finale si è infilato un po’ di tutto, compresa una non meglio identificata somma relativa alla gestione 2005, quando in giunta con Galli sedeva Nello Tulli. Ora bisognerà capire a chi bisognerà imputare quest’altro buco di bilancio: all’allora sindaco, come sembra sostenere Tulli, all’allora assessore, come sembra far capire Galli, o al responsabile tecnico, come spesso avviene quando inizia a girare la ruota delle responsabilità e non si sa mai dove si va a fermare? L’unica, granitica, certezza riguarda il destinatario del conto finale. E’ sempre lui, il cittadino labicano, al quale però, l’amministrazione ha tenuto a formulare “i più sentiti auguri di un sereno Natale ed un felice anno nuovo” (e per la spending review ha preferito affiggere questi manifesti e non quelli di convocazione del consiglio comunale). Del resto, come si fa a non essere sereni e felici con un’amministrazione così?


27 dicembre 2013

Il comune di Labico? Un fallimento, ma non ditelo in giro

Alfredo Galli, sempiterno sindaco di Labico
La vera genialità di chi amministra Labico è, da sempre, la disinvoltura con cui riesce ad ignorare le regole – se il loro rispetto implica anche il benché minimo disturbo per chi esercita il potere – e delle quali chiede invece un’applicazione ferrea quando il destinatario della norma è qualcuno non sufficientemente sottomesso al “cerchio magico”. Ci ho ripensato mentre leggevo della convocazione del consiglio comunale prevista il 27 dicembre. A convocare il consiglio comunale è, ancora una volta, il sindaco, il quale, adatta ogni volta le modalità di funzionamento della macchina amministrativa alla sua personale esigenza di controllo del potere. Nella scorsa consiliatura, quando, non potendo svolgere il ruolo di sindaco, in ossequio ad una norma che impedisce l’esercizio di tre mandati consecutivi, fu costretto ad “accontentarsi” del ruolo di vicesindaco, fece il diavolo a quattro per sottrarre a Giordani il potere di convocare e gestire le assemblee consiliari, con il chiaro obiettivo di ridurne ruolo ed autorevolezza. Non fu cosa semplice, ma alla fine venne approvata una modifica statutaria e regolamentare per far sì che non fosse più il sindaco a presiedere il consiglio comunale. Norma che, con la sua rielezione a sindaco, gli sta un po’ stretta. Cosa fa allora il sindaco Alfredo Galli, noto accentratore di potere e che preferisce gestire in prima persona qualunque cosa riguardi l’amministrazione comunale? Semplice. Ignora serenamente un dispositivo normativo da lui fortemente voluto e si attribuisce il ruolo di presidente del consiglio, nel silenzio di una maggioranza, la cui principale qualità è soprattutto quella di assecondare le volontà del proprio leader politico. Ma il regolamento? Si chiederà ingenuamente qualcuno. Il regolamento, lo statuto, le leggi, le norme, servono solo quando possono essere usati “contro” l’avversario. Come quando si appella a leggi (magari inesistenti) per denunciare o chiedere danni a chi fa veramente opposizione contro il suo modo di amministrare il paese. Intanto lui, in violazione del “suo” regolamento, convoca il consiglio comunale il 27 dicembre, dimostrando un’assoluta mancanza di rispetto, umana prima che politica, nei confronti degli altri consiglieri che, come lui, rappresentano la popolazione labicana.

Del resto è facile immaginare che il sindaco preferisca che i labicani sappiano il meno possibile di come ha gestito il paese in questi ultimi vent’anni, trascinandolo, di fatto, in un baratro economico-amministrativo da cui farà veramente fatica a risollevarsi. Il primo punto all’ordine del giorno altro non è infatti che la piena ammissione del suo fallimento. La procedura di riequilibrio finanziario pluriennale, inserita provvidenzialmente lo scorso anno nel testo unico degli enti locali, è una sorta di dichiarazione di bancarotta dell’ente. Non a caso il suo soprannome è “predissesto” e la sua struttura è mutuata dal diritto fallimentare. Il ricorso a questa procedura permette all’ente locale di contrarre nuovi debiti con lo Stato per fare fronte alla massa debitoria creata con la propria allegra gestione. A prescindere dall’eventuale ricorso al finanziamento statale, una delle caratteristiche del predissesto è quella di obbligare gli enti che se ne avvalgono ad un rigoroso piano di rientro il cui costo è interamente a carico dei cittadini. E qui è il vero paradosso di tutta questa vicenda. Il nostro comune è stato trascinato in una voragine senza fondo e chi ne è la principale causa – per incapacità o altro – non solo continua a non pagare un prezzo, ma trova un appiglio giuridico per continuare a gestire in prima persona l’ente locale che ha portato al disastro, col rischio (e, conoscendolo, è qualcosa di più di un rischio) di provocare nuovi danni. E’ un po’ come se avessero affidato a Tanzi la procedura concorsuale della Parmalat dopo il crac finanziario o come se avessero scelto Schettino per le operazioni di recupero della Costa Concordia. E per non correre il rischio che qualcuno lo faccia notare, Galli convoca il consiglio comunale in piene vacanze natalizie, sperando nell’assenza di qualche “scomodo” consigliere di minoranza e nella distrazione “festiva” della cittadinanza. Purtroppo scopriremo molto presto quanto ci costerà caro questo panettone. Nel frattempo, buon anno a tutti!

24 novembre 2013

Scusi, posso fare una domanda?

Quello dei rifiuti è indubbiamente un tema centrale per le amministrazioni locali. La sempre crescente produzione dei rifiuti unita alla mancanza di una strategia complessiva che punti sia alla loro riduzione, sia ad una efficace raccolta differenziata, affida ai pubblici amministratori una responsabilità enorme, in base alla quale si possono misurare le loro capacità, la loro preparazione ed il loro impegno. Non è un caso se ci sono realtà dove si registrano grandi progressi, con percentuali di raccolta differenziata che superano abbondantemente l’80 per cento ed altre dove non si raggiunge il 10 per cento. Non credo che gli abitanti delle città più virtuose siano generalmente più virtuosi: probabilmente hanno degli amministratori più sensibili e motivati, che sono stati in grado di avviare un nuovo percorso culturale.
L’argomento è molto sentito e spesso ci sono cittadini e associazioni che provano a incoraggiare l’amministrazione a muoversi nella giusta direzione. A Labico, ad esempio, l’ha fatto l’opposizione consiliare e, in effetti, nel 2008, è partita una raccolta differenziata porta a porta. Ma, a distanza di ben cinque anni, poco si sa sui risultati raggiunti. Un’associazione culturale – Labicocca – ha promosso un convegno per sensibilizzare la popolazione, insistendo sull’importanza dei dati della produzione dei rifiuti e della raccolta differenziata, che ha chiesto inutilmente all’amministrazione. Lo stesso si può dire per il consigliere di minoranza Maurizio Spezzano, che in più occasioni ha chiesto i dati (a partire dal 2008), senza ottenere risposta.  Non contento ha provato a chiedere i dati a Lazio Ambiente, la società per azioni interamente posseduta dalla Regione Lazio che gestisce la raccolta dei rifiuti in alcuni comuni del Lazio (tra cui Labico). La risposta è stata un diniego, anche molto sbrigativo. Spezzano ha mandato una nuova lettera, facendo riferimento, tra l’altro, alla convenzione di Aarhus e la risposta è stata nuovamente liquidatoria, condita stavolta da una velata minaccia di procedere alle vie legali, per un presunto testo diffamatorio nel blog dello stesso Spezzano.
Cerco di ricostruire la questione. Intanto stiamo parlando di un tema di assoluta rilevanza per la collettività, la cui gestione può determinare importanti conseguenze per l’ambiente, la salute dei cittadini e anche per le loro tasche, visto che sono i cittadini a pagare il conto. Al di là delle norme, questi sono dati che basterebbe l’uso del buonsenso a rendere pubblici e facilmente visionabili. Le norme, però, ci sono. Dalla normativa sulla trasparenza nella pubblica amministrazione, al testo unico ambientale – il cui articolo 189 impone al Sindaco di comunicare i dati sulla raccolta dei rifiuti -, alle leggi regionali, alle direttive e convenzioni internazionali. A volte, probabilmente, non sono sufficientemente chiare e, con un po’ di malizia, ci si può aggrappare a qualche cavillo interpretativo per “non fare” ciò che dovrebbe essere pacifico solo guardando la ratio della norma, ossia l’obiettivo che essa vuole perseguire. La maggiore responsabilità per la mancanza di trasparenza ce l’ha, in tutta evidenza, il sindaco, ma l’atteggiamento di Vincenzo Conte, amministratore unico di Lazio Ambiente, appare decisamente irritante.
Vincenzo Conte è un politico locale del PDL, nominato in extremis al vertice dell’azienda di proprietà della regione da una Polverini ormai al tramonto, sommersa dalla vergogna della vicenda Fiorito. Al momento della scelta il PD parlò di “nomina illegittima” e di una “vera assurdità”, nonché “dannosa per l’erario”. Infatti – a quanto risulta – Conte percepisce la bellezza di 130mila euro all’anno (l’emolumento, sempre alla faccia della trasparenza, non è visibile sul sito di Lazio Ambiente) per guidare la società.  Insomma, con queste premesse, Conte avrebbe fatto bene ad avere un atteggiamento più rispettoso dei cittadini e delle istituzioni, invece si arrocca su inspiegabili sottigliezze semantico-giuridiche pur di non rendere noti dati di rilevante interesse pubblico. Pubblico come la società che lui dirige, pubblico come il lauto emolumento che percepisce, pubblico come il compito che gli è stato affidato. Tra l’altro, per tornare alla norma che il suo zelante direttore cita per nascondere i dati alla cittadinanza, la risposta di diniego, in riferimento al decreto legislativo n. 195 del 2005 (in materia di accesso del pubblico all’informazione ambientale), si limita a richiamare il contenuto del punto n. 1 della lettera a) del comma 1, dell’articolo 2, nel quale non sono citati i rifiuti. Peccato che non abbia avuto la pazienza, e forse l’umiltà, di proseguire nella lettura della norma. In tal caso avrebbe potuto leggere anche il punto n. 2 della lettera a) del comma 1, nel quale, non solo si fa un generico riferimento ai “fattori che incidono o possono incidere sugli elementi dell’ambiente”, ma anche l’esplicita indicazione dei rifiuti come fattore di interazione ambientale. Con un altro po’ di pazienza (e altrettanta umiltà) avrebbe avuto modo di leggere anche il punto successivo, che individua qualunque atto – e specifica “anche di natura amministrativa” – che possa incidere sia sugli elementi (punto 1), sia sui fattori (punto 2). Il combinato disposto di queste e altre norme sembra davvero facile da comprendere e l’intenzione del legislatore appare sufficientemente manifesta. Un’altra lettura utile potrebbe essere il recente documento dal titolo “Politica per la salute, la sicurezza e l’ambiente”, pubblicato proprio da Lazio Ambiente un paio di mesi fa, nel quale, tra gli impegni che la società assume solennemente, c’è anche quello di “Promuovere il dialogo e il confronto con tutti i portatori di interesse (lavoratori e loro rappresentanti, organi di controllo, autorità pubbliche, cittadini, associazioni. ecc.) attivando adeguati strumenti di partecipazione e tenendo conto delle loro istanze. Comunicare in modo trasparente le prestazioni delle attività aziendali”. E chi ha firmato questo bel documento? Proprio lui, l’amministratore unico della società, il dott. Vincenzo Conte.

Dunque, la reazione scomposta di Conte sembra davvero irragionevole, così come appare sgradevole il ricorso alla classica minaccia di querela – tipica dei potenti - con il chiaro obiettivo di cercare di intimidire chi cerca di occuparsi della tutela dell’ambiente e della salute dei cittadini. Sarei curioso anche di conoscere cosa ne pensa chi – come il consigliere regionale Agostini del PD – aveva aspramente criticato la nomina di Conte durante la campagna elettorale. Di fronte a questo atteggiamento così supponente dell’amministratore delegato di Lazio Ambiente, mi aspetterei, da parte di chi governa la Regione, una chiara presa di posizione per schierarsi senza se e senza ma dalla parte dei cittadini. A meno che, anche in regione, non siano troppo preoccupati per la tenuta delle larghe intese per occuparsi dei diritti della collettività.

3 novembre 2013

Grazie, basta così.

Nei giorni scorsi Labico è stata tappezzata con i manifesti della lista “Rinnovare per Labico”, in cui si dà notizia di una sentenza di assoluzione (in primo grado) per la questione dei pasti pagati dalla collettività e forniti gratuitamente ad un’azienda privata per decisione del sindaco Galli. Non è certo l’unica e neppure la più grave delle tante penose vicende che caratterizzano l’azione politica dei nostri amministratori. Per evitare che l’uso urlato di slogan riesca nel tentativo di distogliere l’attenzione dai fatti, ci troviamo costretti a ricostruire, ancora una volta, la questione.
Tutto nacque nell’estate del 2008 quando venne portata in consiglio comunale una delibera per dare un contributo finanziario ad una struttura privata. Nella premessa di quella delibera c’era scritto, nero su bianco, che il comune già forniva – a quella struttura – cinque pasti giornalieri. Si era potuto scoprire così che, nel mese di novembre del 2006, una non meglio precisata direttiva comunale autorizzava l’erogazione dei cinque pasti giornalieri a favore della struttura privata, senza che venisse siglato alcun accordo tra il Comune e il centro di infanzia sulle modalità di erogazione dei pasti e sul modo in cui questi pasti avrebbero potuto costituire un vantaggio per le famiglie dei bambini che frequentavano la struttura. Insomma un vero e proprio “regalo” da un soggetto pubblico ad un privato che veniva fatto, guarda caso, proprio a pochi mesi dalle elezioni amministrative comunali. Buona parte degli atti relativi a quel periodo sono privi di protocollo e qualcuno potrebbe dubitare della loro autenticità. Non è un caso che l’erogazione gratuita dei pasti all’azienda privata sia stata interrotta in gran fretta quando sono stati sollevati dubbi sulla correttezza della procedura (la sospensione, a differenza dell’atto autorizzativo, è avvenuta con documento protocollato). Se il sindaco fosse stato davvero convinto della bontà della sua azione amministrativa non avrebbe modificato di una virgola la situazione. Invece c’è stata una continua correzione di rotta. La delibera fu ritirata e corretta tre volte prime di essere approvata e la polemica tra opposizione e maggioranza divenne molto accesa, al punto che – dopo la pubblicazione di un volantino della maggioranza dai toni particolarmente aggressivi - il gruppo di opposizione decise di chiedere alla magistratura di valutare se la procedura seguita per l’erogazione dei pasti presso una struttura esterna fosse corretta. Non abbiamo denunciato nessuno e tantomeno abbiamo diffamato qualcuno. Abbiamo semplicemente svolto il compito di controllo che qualunque cittadino - e, a maggior ragione, se è consigliere comunale - ha il pieno diritto di esercitare. Del resto prima il pubblico ministero, poi il giudice dell’udienza preliminare hanno giudicato illegittima la procedura seguita per concedere la fornitura dei pasti ed è iniziato un procedimento per individuare eventuali responsabilità penali. Ma questo a noi interessa ben poco. La nostra battaglia per la legalità l’abbiamo vinta nel momento in cui l’amministrazione – proprio per la nostra azione di controllo – è stata costretta a fare tutto alla luce del sole e seguendo un iter procedurale corretto. Non è un caso che il nuovo capitolato d’appalto della mensa preveda la possibilità che vengano forniti pasti alle strutture private (mentre prima non era possibile) e non è un caso che per fornire i pasti e ed erogare risorse pubbliche ad un privato sia stata necessaria una delibera di consiglio comunale (mentre prima era stata sufficiente una telefonata direttamente alla ditta che forniva i pasti). Adesso almeno i cittadini possono sapere tutto e giudicare l’operato dell’amministrazione, mentre per ben due anni soldi pubblici venivano spesi a favore di un’azienda privata senza che nessuno ne sapesse nulla. Sulla vicenda processuale preferiamo non pronunciarci, per due ragioni: la prima è che mancano ancora le motivazioni della sentenza, la seconda è che non è – al momento - una sentenza definitiva, quindi potrebbero emergere fatti nuovi.
Sulla questione appare necessario fare qualche altra considerazione. In primo luogo quello che conta – al di là dell’accertamento di eventuali responsabilità penali o amministrative – è il giudizio politico sulle azioni di chi governa un paese. Molte scelte, formalmente legittime, potrebbero essere piuttosto discutibili. Per esempio un’amministrazione comunale potrebbe assegnare gratuitamente un locale di proprietà del comune al titolare di una rivendita di giornali. Un’attività che riveste indubbiamente un qualche interesse per la collettività e che, quindi, potrebbe giustificare la decisione degli amministratori, ma quanti troverebbero da ridire? E se il locale venisse dato senza alcun atto amministrativo? Non sorgerebbero ulteriori perplessità sul comportamento degli organi decisionali? E qual è il confine tra il lecito, l’illecito e il penalmente rilevante? L’unico organo titolato a rispondere a questa domanda è la magistratura e se un cittadino ha dei dubbi ha il diritto-dovere di attivare un suo intervento, nel proprio interesse e in quello della comunità a cui appartiene.
Su questo punto ci agganciamo ad un altro aspetto dello sgangherato attacco della coalizione di maggioranza, quello del costo per la collettività del processo. Intanto ci piacerebbe capire di quali costi stiamo parlando. Ci sono costi per l’amministrazione comunale per il processo? Sarebbe opportuno saperlo, perché la responsabilità penale è personale e non sarebbe elegante che gli amministratori avessero deciso di usare i fondi comunali per sostenere le spese legali di questo processo. In attesa di avere maggiori lumi in merito e considerato che saremmo ben felici se si adottasse la regola secondo la quale chi si è reso responsabile di sprechi della pubblica amministrazione pagasse di suo (anche noi, ovviamente, alla bisogna), facciamo un breve quanto necessariamente incompleto resoconto di alcuni degli sperperi del denaro pubblico degli ultimi anni:

Debiti fuori bilancio. Qualche anno fa il consiglio comunale fu costretto a pagare i costi di una transazione per evitare ulteriori problemi. Anche in quella circostanza il sindaco aveva seguito una procedura molto “singolare” per l’affidamento dell’esecuzione di un’opera. A lavoro ultimato la ditta chiedeva di essere pagata, ma nessuno si è degnato di dare risposta e così, tra solleciti e diffide, si era arrivati ad un costo di gran lunga superiore a cui si sono aggiunte le spese legali sostenute dal comune. Errori su errori dei nostri amministratori e spreco di denaro pubblico. Il conto, ovviamente, alla cittadinanza.
Questione Eiffel. Qualche anno fa è stato sottoscritto un accordo con un privato (il quale, in modo del tutto casuale, ha ottenuto degli appalti e l’inserimento di particelle in zona edificabile nel piano regolatore) per realizzare una sorta di città dell’arte, previo acquisto di un mucchio di ferraglia attualmente “parcheggiato” nella proprietà di un privato cittadino. Costo iniziale dell’operazione: 300mila euro.
Area di sviluppo industriale. Un’altra straordinaria cantonata di Galli e compagnia. Sono arrivati in consiglio comunale spavaldi e baldanzosi con una bella delibera preconfezionata per la devastazione di una vasta area del territorio labicano. Insensibili alle perplessità dell’opposizione hanno approvato l’atto, salvo poi ritirarlo quando hanno capito che gli abitanti di Colle Spina li avrebbero inseguiti con i forconi. Costo dell’operazione 20mila euro. Per il saldo rivolgersi al sig. Pantalone.
Pista ciclabile. Ne abbiamo parlato decine di volte. Il comune aveva annunciato in pompa magna la realizzazione di una bellissima pista ciclabile (la "più lunga della provincia di Roma"...). L’opera è inutile, incompleta (lo sarebbe anche se fosse terminata), ancora in fase di realizzazione, ma già in avanzato stato di degrado e abbandono. Costo previsto: circa 200mila euro.
Biblioteca comunale. Le vicissitudini della nostra biblioteca non sono facilmente riassumibili. Possiamo solo dire che, tra ristrutturazione locali, acquisto libri, pagamento della quota di adesione al sistema bibliotecario, l’ordine di grandezza delle spese sostenute ammonta a qualche centinaio di migliaia di euro. Risultato? Labico al momento non ha la biblioteca.
Depuratore comunale. La vicenda è fin troppo nota e anche qui ci sono indagini in corso della magistratura. Resta il fatto che a causa dell’incapacità dei nostri amministratori ci siamo ritrovati con depuratori inadeguati e fuorilegge (lo dicono i magistrati, non noi) al punto da farne disporre il sequestro. Questa faccenda ci è già costata oltre quattro milioni di euro di debito. Chi lo pagherà?

In effetti, con credenziali così, siamo stupiti anche noi dell’incomprensibile perdita di consensi di Alfredo Galli e della sua coalizione. Davvero molti elettori labicani dimostrano un ben magra gratitudine nei confronti di chi, in tanti anni di duro impegno nelle istituzioni, ha fatto davvero tanto per il paese. Ora però, forse, basta così. Grazie.


Tullio Berlenghi e Maurizio Spezzano

2 novembre 2013

Addio Max, che la pace sia con te

Quando ho conosciuto Massimo era ancora un ragazzo. Un’enorme massa di capelli ricci e neri circondava un bel viso, tondo e solare, da cui trapelava la sincera passione civile e politica che faceva di lui una delle migliori persone che io abbia mai conosciuto. Con lui ho condiviso programmi e progetti ed ho sempre invidiato – oltre alla massa di capelli ricci - la calma e la disponibilità che riusciva ad avere anche nelle situazioni più complesse. Situazioni in cui magari tu lo guardavi con aria preoccupata ed interrogativa come a dire “e adesso che si fa?” e lui rispondeva al tuo sguardo con un’espressione rassicurante, arricchita da un’occhiata impertinente e dal suo immancabile sorriso sornione.
Con Massimo ho percorso un lungo tratto di strada. Siamo stati colleghi. Abbiamo vissuto insieme la travagliata storia politica dell’ambientalismo e del pacifismo. Insieme abbiamo fatto molte battaglie (Massimo mi perdonerà la metafora bellica) e insieme le abbiamo perse, buona parte almeno. Eravamo, anzi, siamo amici. Amici non per caso, ma per scelta. Una scelta nata dalla sintonia culturale e dalla condivisione degli ideali. Massimo era meticoloso, ordinato, esigente. Con se stesso prima che con gli altri. E le sue aspettative in politica erano talmente alte da vivere con spirito critico anche la più valida delle proposte politiche. Non amava i compromessi e le trattative, che, a suo avviso, svilivano gli ideali. Nella categoria dei sognatori lui era il più sognatore di tutti. E se lo poteva permettere. Per la coerenza che caratterizzava il suo pensiero. Per molti di noi – sognatori o presunti tali – era un punto di riferimento. Si sa, il mondo ambientalista è pieno di contraddizioni. Il famoso “arcipelago” ha sempre avuto difficoltà a parlare un linguaggio comune. Massimo, invece, era la perfetta sintesi della cultura ecologista. Ambientalista, vegetariano, pacifista, portatore dell’etica del rispetto e della solidarietà. Non lo scopro adesso, ché Massimo non c’è più. Queste cose ce le dicevamo nelle chiacchierate dei momenti di disillusione della vita politica (un po’ sempre quindi). E, quando cercavamo di immaginare come dovesse essere il nostro punto di riferimento ideale, il pensiero andava immediatamente a Massimo ed alla sua straordinaria integrità morale.
Anche quando i nostri destini lavorativi si sono divisi, non abbiamo mai smesso di stare in contatto. “Che fai, ti nutri?”. Con queste quattro parole mi telefonava per propormi di pranzare insieme. Non servivano altre parole. Avevamo da sempre questo appuntamento fisso almeno una volta alla settimana: io, Andrea e lui. Sempre puntuale, sempre sorridente, anche quando arrivavi trafelato con dieci minuti di ritardo…

Sono stato a casa di Massimo e Dora e ho pensato che chiunque la riconoscerebbe subito. E non solo per le bellissime foto appese dappertutto. Un’altra passione in comune quella della fotografia, solo che lui le foto le sapeva fare. Ovunque c’è l’impronta di Massimo. Dalle bandiere della pace alle spillette, dai libri alle pile di documenti ordinati con cura quasi maniacale. Ieri la mia attenzione si è soffermata su un cartoncino con la scritta “il mio è un papà speciale”. Certo, è un regalo piuttosto diffuso. E mi sa che persino io ho ricevuto qualcosa del genere. Però quel cartoncino lì diceva la sacrosanta verità. Massimo era una persona davvero speciale. Una di quelle persone che – ad avercene – sono in grado di rendere migliore questo mondo. Una persona il cui esempio può insegnare molto. Una persona che ha dato alla vita e agli altri molto di più di quello che ha ricevuto.  Grazie Max. Per salutarti uso le parole di Gaber: “Ma io ti voglio dire che non è mai finita, che tutto quel che accade fa parte della vita”.


22 ottobre 2013

Stiamo decisamente migliorando

Sabato scorso si è tenuta un’iniziativa pubblica per illustrare ai cittadini il progetto per organizzare una ricettività turistica nella nostra cittadina. L’idea, di per sé, potrebbe anche essere valida. Bisogna solo cercare di capire in cosa consiste e come si intende attuare. Siamo andati ad ascoltare e queste sono le nostre considerazioni.
A quanto pare un’azienda privata – la Terravision – sta cercando di realizzare una rete di turismo low cost in tutto il territorio nazionale, coinvolgendo 100 città. Per promuovere il proprio progetto sta contattando le amministrazioni locali, alle quali propone un protocollo d’intesa per inserirle nell’elenco delle 100 città fortunate. Su internet non c’è molto e nel sito di Terravision ancora non si parla del progetto. Per capirci qualcosa dobbiamo fare riferimento alle spiegazioni date dai referenti della società e da Alfredo Galli, che, in qualità di sindaco, ha accolto con sospetto entusiasmo il progetto. Tra i promoter va segnalata la presenza di Angelo Miele, già sindaco di Valmontone, già consigliere regionale della maggioranza Polverini-Fiorito, che rimarrà nella storia per l’oculata gestione delle risorse pubbliche. Miele ha fatto un discorso che abbiamo faticato a capire, ma è un nostro limite. Miele da un lato ha affermato di avere un ruolo tecnico e non politico e di essere stato incaricato di selezionare i 100 comuni più adatti per questo straordinario progetto. Dall’altro ha affermato, senza alcun imbarazzo, che la scelta di Labico era motivata dall’amicizia che lo lega ai nostri amministratori. Per fortuna, sempre a detta di Miele, Labico avrebbe proprio le caratteristiche adatte: un treno che ti porta a Roma in mezz’ora (e si capisce che lui non lo prende), un’antica tradizione di produzione agricola da valorizzare (ma fino ad ora a Labico la valorizzazione del territorio significava coprirlo di cemento), la necessaria riscoperta di prodotti locali, come il pisello labicano (del quale si sono ormai perse le tracce). Ovviamente la realizzazione del progetto porterà a Labico straordinari benefici, impulso all’economia locale, occupazione, fondi regionali e altre piacevolezze.
La sensazione era un po’ quella di quando l’imbonitore di turno illustra le prodigiose qualità del servizio di pentole nelle tv locali. In teoria sembra tutto bello e rassicurante, ma, sotto sotto, ti chiedi se c’è qualche fregatura. Noi qualche dubbio ce l’abbiamo e proviamo a mettere in fila le – poche – cose che sono emerse fino ad ora:
  1. Un soggetto privato si rivolge ad un soggetto pubblico per avere un aiuto nella realizzazione di un progetto con mere finalità di lucro. Il soggetto pubblico (che è il nostro comune) mette subito a disposizione i locali (pubblici) per la presentazione, la stampa e l’affissione dei manifesti (con soldi pubblici) e la collaborazione dell’amministrazione (pubblica, salvo prova contraria).
  2. Tra i due soggetti (pubblico e privato) verrà stipulato un protocollo d’intesa, del quale si ignorano i contenuti. L’unica cosa che si sa è che il protocollo comporta un onere per il soggetto pubblico di 12mila euro (soldi pubblici, a carico dei cittadini labicani).
  3. Il progetto consiste nella stipula di contratti di locazione di appartamenti situati nel centro urbano di Labico per un totale di 200 posti letto ad un prezzo di circa la metà del valore di mercato: si è parlato di 1800 euro annui per un appartamento di quattro posti (al netto delle tasse un ben magro profitto).
  4. I vantaggi per l’amministrazione (e per il paese) sono tutt’altro che certi e alcuni di quelli descritti lasciano perplessi. Secondo Miele, ad esempio, la Regione Lazio avrebbe una maggiore propensione a finanziare i progetti e le iniziative dei comuni che aderiscono a questa proposta. Se fosse vero, sarebbe preoccupante. Zingaretti sa che il nome della Regione viene speso con questa disinvoltura?
  5. Ci sono dei costi aggiuntivi dell’operazione, come i corsi di aggiornamento del personale del comune e maggiori oneri per i servizi, che saranno, presumibilmente a carico dell’amministrazione pubblica.
  6. Nella scorsa consiliatura avevamo chiesto all’amministrazione comunale di fare il censimento degli immobili inutilizzati, ma, ovviamente, si sono guardati bene dal farlo. Prima di dare il via ad un’operazione del genere sarebbe quantomeno doveroso uno studio sullo stato del patrimonio immobiliare all’interno del territorio comunale, in modo da far prevalere l’interesse della collettività. L’assenza di informazione potrebbe avvantaggiare i professionisti del settore immobiliare rispetto ai semplici cittadini. Ma a Labico sarebbe la prima volta che questo accade.
  7.  Sul sito del comune di Labico non c’è alcuna traccia di atti relativi al progetto. Non una delibera, non una determina, nulla di nulla.


In ogni caso dobbiamo formulare i nostri sinceri complimenti a chi ha avuto l’idea. Di solito per avviare un progetto di questo tipo sono necessari discreti capitali iniziali e bisogna ricorrere a prestiti e conseguente esposizione debitoria con le banche. Invece, senza alcuna fatica, gli operatori turistici si ritroveranno con 1,2 milioni di euro a fondo perduto (12mila euro per 100 comuni) da utilizzare per anticipare le prime spese in attesa dell’arrivo dei turisti low cost. E se dovesse saltare tutto, cosa ne sarà di quei soldi? Probabilmente faranno la fine dei soldi che i prodighi (con i soldi nostri) amministratori labicani avevano generosamente elargito per un progetto naufragato miseramente, come l’area di sviluppo industriale a Colle Spina. In quel caso i soldi buttati erano 20mila euro. Se adesso ne buttiamo 12mila ne risparmiamo 8mila. Stiamo decisamente migliorando. 

Tullio Berlenghi e Maurizio Spezzano

5 agosto 2013

Golpetto di agosto



Il consiglio comunale di Labico – la cui celebrazione è frequente quanto un’affermazione di buonsenso della Santanché – viene convocato per la seconda volta nel giro di pochi giorni e sempre per lo stesso motivo: l’approvazione del piano programma dell’azienda servizi comuni. Detta così sembra una cosa davvero importante. Nella realtà – guardando con un minimo di attenzione gli atti – ci si accorge che il vero nodo della questione è l’assunzione di un paio di persone da “infilare” negli uffici comunali. Per aggirare la più severa normativa in materia sugli enti pubblici il sindaco ha pensato bene di organizzare un abile escamotage: inserire, tra i servizi forniti dall’azienda esterna, mansioni “tipiche” della struttura comunale e chiedere le figure corrispondenti (i cui nominativi sono stati precedentemente concordati). Poi sarà compito dell’azienda organizzare una sorta di concorso – fortemente ispirato ai principi della correttezza e dell’imparzialità – che, in via del tutto casuale, vedrà affermarsi proprio una persona decisamente molto vicina all'amministrazione. Era già capitato con il concorso per il tirocinio formativo come segreteria del sindaco, in cui ebbe la meglio – superando persone di gran lunga più competenti e qualificate – proprio la segretaria del sindaco. Ossia il risultato che tutti davano per scontato (http://vimeo.com/51901208 e http://vimeo.com/52377588).
Probabilmente martedì assisteremo a qualcosa di molto simile. Non sarà difficile fare pronostici su chi verrà beneficiato da questa operazione. E a confermare i sospetti c’è l’incauta affermazione di Giorgio Scaccia – per fortuna messa a verbale dalla segretaria comunale – che ha ingenuamente affermato che al Comune “due persone stanno lavorando gratuitamente”. Un qualunque consigliere comunale che interpreti correttamente il proprio ruolo  – non di maggioranza o di opposizione, quindi, ma semplicemente “libero” – si sentirebbe in obbligo di domandare a Scaccia chi lavori gratuitamente negli uffici, che lavoro svolga, a che titolo abbia accesso alla documentazione amministrativa, sulla base di quale criterio di individuazione sia stata scelta, ecc. ecc. Per fortuna un consigliere comunale che formulerà queste domande ci sarà, ma non sarà uno della maggioranza. Gli esponenti della maggioranza, infatti, non si fanno domande. Per loro è tutto normale. Anche disinteressarsi per mesi dei problemi del paese e poi convocare due volte in pochi giorni il consiglio comunale per un paio di assunzioni molto ambigue. Il capo dispone, il capo decide e loro, obbedienti, alzano la mano. Sono anche costretti a dichiarare di essere d’accordo. Qualcuno – per imbarazzo – preferisce non parlare, altri, i più zelanti, trovano anche il modo di intervenire per giustificare questo vergognoso modo di amministrare. Hanno addirittura condiviso la scelta – illegittima – di “proibire” la diffusione dei nostri bollettini informativi. Un atto degno del ventennio e che chiunque abbia davvero un briciolo di rispetto per la democrazia dovrebbe censurare con forza. Non i nostri eterodiretti consiglieri di maggioranza che non si preoccupano di un'attività amministrativa funzionale alla visione personalistica e privatistica del sindaco. E non pensano, approvando l’atto in discussione di martedì 6 agosto, di rendersi complici – e responsabili sul piano amministrativo e penale delle eventuali incongruenze in esso contenute – di una lesione del diritto e della legittima aspettativa delle ragazze e dei ragazzi di Labico a cui genitori diligenti spiegano l’importanza dello studio, dell’impegno e del merito e che invece devono prendere atto che il sistema più efficace per ottenere un risultato rimane – almeno a Labico – quello clientelare e che la meritocrazia è una chimera molto lontana dalla realtà. A questo punto a loro non rimangono che due possibilità: mettersi in fila davanti alla porta dei potenti per ottenere concessioni e favori oppure unirsi alla battaglia di chi vuole sovvertire metodi e mentalità inaccettabili e restituire al Paese i principi della legalità e della trasparenza. La differenza tra le due opzioni sta tutta in una parola: dignità.

30 luglio 2013

Quod erat demonstrandum


Le battaglie per il diritto, per la trasparenza e per la legalità qualche volta fanno fatica ad essere comprese. E avremmo avuto qualche problema anche a far capire il valore della nostra azione dimostrativa durante il consiglio comunale del 29 luglio, proprio perché l’atto stesso determina – per forza di cose – la rottura di un equilibrio e un po’ di “confusione” (tra l’altro causata, come vedremo, proprio dalla volgare arroganza del sindaco). A dare pieno riconoscimento al valore della nostra battaglia ci ha pensato Daniele Flavi - presunto giornalista, da anni retribuito collaboratore dell’amministrazione comunale per garantire quell’informazione di parte che tanto piace ad una certa politica – con la sua fantasiosa ricostruzione di quanto successo durante il consiglio comunale di questa mattina. Già l’attacco dell’articolo – “Lei non sa chi sono io” - è una pura menzogna, una miserabile falsità: Luca Frusone, giovane deputato della Repubblica non ha mai pronunciato quelle parole e Daniele Flavi lo sa benissimo. A dimostrarlo ci sono proprio le riprese video che Galli non vuole autorizzare ma che noi abbiamo fatto comunque e che pubblicheremo sul web. Dalle immagini si capisce perfettamente che a dare in escandescenza è proprio Galli – già indispettito dal fatto che Maurizio Spezzano osava chiedere il rispetto del Regolamento – che aggredisce verbalmente Luca Frusone, reo di voler riprendere il consiglio comunale (non si è mascherato da finto cameramen, come afferma falsamente il Flavi: si è semplicemente messo a riprendere la seduta). Tralasciamo, perché irrilevanti, le sue congetture sul lavoro di Tullio Berlenghi (che non è l'“aiutante” di nessuno…), ma vorremmo rassicurarlo su un solo aspetto: Tullio continua ad essere – orgogliosamente e caparbiamente – un ambientalista. Facciamo anche notare che il presidente del consiglio comunale è Alfredo Galli perché, ancora una volta, sta abusando del suo potere e presiede l’assemblea in violazione delle modifiche statutarie che lui stesso volle quando il sindaco era Giordani e che Galli – che comandava anche quando era vicesindaco – non considerava adatto al ruolo (né di presidente né di sindaco, infatti il sindaco lo faceva comunque lui). Però non si preoccupa nemmeno di modificare statuto e regolamento, tanto per lui le norme non valgono. E’ lui ad applicarle ed è lui ad interpretarle. E quando non ci sono, se le inventa. Come la famosa legge sulla stampa, che secondo lui andrebbe applicata ai nostri bollettini informativi, dimostrando il totale analfabetismo giuridico e democratico suo e di alcuni suoi “aiutanti” molto zelanti. Inoltre non è affatto vero che Frusone sia stato “allontanato” per motivi di ordine pubblico. Frusone se n’è andato per una sua decisione, visto che è un parlamentare della Repubblica e l’aula della Camera era convocata per la conversione di un decreto-legge.

Peccato che il premio Pulitzer labicano ometta l’unica vera notizia della giornata, ossia che la maggioranza è stata costretta a ritirare il punto all’ordine del giorno per il quale era stato convocato il consiglio, ossia l’approvazione della delibera relativa alla società servizi comuni, all’interno della quale si prevedeva il marchingegno ideato dai nostri creativi amministratori per assumere un paio di persone in un ente locale, aggirando la normativa in materia di pubbliche assunzioni. Il trucchetto sembra semplice: si chiede alla società servizi comuni di procurare determinate figure da inserire all’interno del personale. La società ha un po’ più di “mano libera” e “sceglierà” – guarda caso, magari con qualche procedura paraconcorsuale – proprio le persone indicate dall’amministrazione, che, nel frattempo, ha “liberato” i posti con alcuni aggiustamenti interni. Tutto perfetto. E lo conferma Giorgio Scaccia – sempre il più lesto a capire le situazioni – quando, preoccupato per la richiesta di rinvio dell’opposizione, dichiara candidamente che “ci sono due persone che stanno lavorando gratis”, riconoscendo, indirettamente, che quei posti sono già prenotati, con buona pace delle aspettative di centinaia di giovani che hanno bisogno di lavorare e che magari credono nell’imparzialità e nella correttezza della pubblica amministrazione. Certo, non c’è da stupirsi se Galli non vuole le riprese. Frasi come quelle di Scaccia sono delle ammissioni belle e buone delle quali, senza la registrazione, non rimarrà alcuna traccia. Così come diventano facili le cronache menzognere dei cronisti di regime – “uno show veramente indegno che la nostra democrazia non merita” -. Di indegno a Labico non c’è lo “show” di chi si batte per la trasparenza e la democrazia (quella vera). Di indegno a Labico ci sono certi amministratori e certi loro tirapiedi. Se poi davvero ce li meritiamo è tutto da vedere.

Tullio Berlenghi, Maurizio Spezzano, Stefano Gandola, Ilario Ilari, Matteo Di Cocco, Alessandra Quaresima, Maria Carmina Rossi, Johanna Pesola, Leonardo Saracini, Stefano Simonelli e tutti coloro che credono nei valori della democrazia e della legalità e che vorranno sottoscrivere questo articolo.

26 luglio 2013

Non nominate l'innominabile



Ho apprezzato molto l’intervento di Corsaro in difesa di un principio molto importante: quello che attribuisce ai parlamentari una piena libertà di espressione del proprio pensiero, a maggior ragione se questo pensiero viene manifestato nel luogo centrale della democrazia: il Parlamento. Corsaro ha sentito il dovere di fare questo intervento per contestare l’atteggiamento preventivamente censorio che la presidenza della Camera (e anche quella del Senato) stanno ponendo metodicamente in essere ai danni degli esponenti del movimento cinque stelle (per gli altri gruppi politici, a quanto pare, vige la libertà di espressione). Ecco il testo dell’intervento:

MASSIMO ENRICO CORSARO. Signor Presidente, il mio è un richiamo al Regolamento, precisamente sull'articolo 60, comma 3. Nel mentre, mi devo congratulare con il collega del MoVimento 5 Stelle, perché è riuscito ad ottenere, dalla parta di sinistra dell'emiciclo, esattamente la reazione che si era predeterminato di conseguire (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
  Vorrei segnalare, onorevole Presidente, che l'unico punto del Regolamento della Camera dei deputati in cui è citato il Presidente della Repubblica dice testualmente che il Presidente della Camera, nell'esercizio evidentemente del governo dell'Aula, può proporre la censura con interdizione di partecipare ai lavori parlamentari per un periodo da due a quindici giorni di seduta, se un deputato fa appello alla violenza, provoca tumulti o trascorre a minacce o a vie di fatto verso qualsiasi collega o membro del Governo o usa espressioni ingiuriose nei confronti delle istituzioni o del Capo dello Stato.
  Ora, bisogna che ci intendiamo, anche per sapere se veramente all'interno del Parlamento c’è una censura preventiva rispetto ad alcuni atti o ad alcune figure, che pure nella quotidianità della politica hanno un peso e un rilievo sostanziale (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). È assolutamente fuori di dubbio, onorevole Presidente, che non solo nei compiti istituzionali del Presidente della Camera, ma nell'interesse di tutti i parlamentari per la tutela della credibilità delle istituzioni, si debba stigmatizzare, colpevolizzare e sanzionare chiunque manchi di rispetto con atti e con pronunciamenti ingiuriosi nei confronti del Capo dello Stato, e siamo i primi a difendere e tutelare la sacralità delle istituzioni. Ma citare in un'argomentazione politica le posizioni assunte o più ancora le dichiarazioni virgolettate del Capo dello Stato, che, giustamente e legittimamente, nella quotidianità politica, non fa mancare la sua voce, il suo peso e la sua determinante sensibilità, credo che non possa essere espunto dalla corretta quotidiana valutazione e confronto politico tra le parti (Applausi dei deputati dei gruppi Fratelli d'Italia e MoVimento 5 Stelle)!
  Quindi, bisogna che ci chiariamo, signora Presidente, una volta per tutte, se c’è qualcuno che ha diritto a non essere citato, ma che quotidianamente fa parte della politica con le sue legittime argomentazioni, e ci deve essere spiegato perché, e, se è così, la prego di indire puntualmente la convocazione di una Commissione per la modifica del Regolamento, in cui si scriva che il Presidente della Repubblica non può essere nominato, perché questo non fa parte dell'attuale Regolamento (Applausi dei deputati dei gruppi Fratelli d'Italia e MoVimento 5 Stelle).

Intervento ineccepibile, ma la Boldrini non ci sta e replica così:

  PRESIDENTE. La ringrazio. Credo che la Presidenza abbia agito correttamente, lei vada a vedere il verbale e poi faremo le dovute conclusioni.

“Vada a vedere il verbale” afferma dunque la Boldrini, facciamolo. Colletti a un certo punto inizia a muovere una ferma critica al comportamento del Presidente della Repubblica, usando l’arma dell’ironia, cosa avvenuta decine di volte in passato, senza che nessuno abbia avuto nulla da eccepire su presunte offese al capo dello Stato. Vediamo un passaggio dell’intervento.


ANDREA COLLETTI. Ho presentato un emendamento – giustamente dichiarato inammissibile dalla Presidenza, ma lo sapevo già – in cui finanziavo la Presidenza della Repubblica con 70 mila euro. Lo finanziavo al fine di contrattualizzare un docente di diritto costituzionale che potesse vagliare la costituzionalità dei decreti-legge. Eh sì, perché ci sono dei requisiti per poter firmare un decreto-legge, è la Costituzione che lo dice, e allora colui che firma ed emana questi decreti-legge deve ricordarsi che la penna con la quale firma la deve intingere nell'inchiostro della Costituzione. (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Ed invero, ed invece, l'attuale Presidente della Repubblica, che in realtà funge anche da Presidente del Consiglio dei ministri e forse anche da capo indiscusso del PD e del PdL, dovrebbe rileggersi questo libello, è proprio qui, glielo possiamo anche regalare (mostra copia della Costituzione) e capire che non siamo una monarchia costituzionale con a capo re Giorgio I, ma siamo in una Repubblica parlamentare…

Certo la critica è evidente, ma non sembra trascendere nell’insulto. La Boldrini però si inalbera subito  (applaudita dai gruppi di maggioranza, sempre più in sintonia)…

 PRESIDENTE. No, però lei non può parlare così del Presidente della Repubblica, lei lo sa questo. Ne abbiamo già discusso in altre occasioni.
(Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Popolo della Libertà, Scelta Civica per l'Italia).

Colletti cerca di difendere il suo diritto ad esprimere la propria opinione.

ANDREA COLLETTI. Perché no ? È scritto nella Costituzione: Repubblica parlamentare.

Niente da fare, la Boldrini fa un’affermazione che non ammette replica, anche se è una pura falsità.

PRESIDENTE. Sì, però lei sa che non può chiamare in ballo il Presidente della Repubblica e anche questo fa parte del Regolamento.

Insomma, secondo la Boldrini il Regolamento affermerebbe che il Presidente della Repubblica non possa essere “tirato in ballo”. Non è scritto da nessuna parte sul regolamento e qualcuno dovrebbe informarla. Colletti prova a continuare, affermando che non lo nominerà più…

ANDREA COLLETTI. Allora non lo chiamerò.

PRESIDENTE. D'accordo, la ringrazio di questa cortesia.

ANGELO CERA. Non è cortesia !

(L’appello alla correttezza istituzionale è di Angelo Cera, il gentiluomo che qualche settimana prima aveva apostrofato con “Coglione“, “mezzo coglione”, “paraculo“, “ti do un pugno che ti ammazzo“. un altro deputato del Movimento cinque stelle.)


ANDREA COLLETTI. Allora non lo chiamerò, dirò l'innominabile.
(Proteste dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Scelta Civica per l'Italia)

ANDREA COLLETTI. E noi rimarremo qui giorno e notte per .....
(Proteste dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Scelta Civica per l'Italia)

Probabilmente condizionata dalle proteste dei deputati PD la Boldrini censura nuovamente Colletti, reo, a questo punto, solo di un riferimento al presidente della Repubblica.

PRESIDENTE. Lo abbiamo già richiamato. Ho già richiamato il collega Colletti a non tirare in ballo il Presidente della Repubblica, l'ho esortato a non farlo. Prego continui.

Colletti però prosegue…

ANDREA COLLETTI. Grazie Presidente. Ed allora, invece di fare ogni tanto un monito con il ditino alzato, l'innominato, dovrebbe ogni tanto anche guardarsi allo specchio e ricordo....(Proteste dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Scelta Civila per l'Italia)

Nuovo richiamo della Boldrini che minaccia di levargli la parola…

PRESIDENTE. Se lei continua io sono costretta a toglierle la parola

Colletti si scusa e prosegue, pur esprimendo le proprie perplessità…

ANDREA COLLETTI. Mi perdoni, non ho nominato nessuno (Proteste dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Scelta Civica per l'Italia), mi scusi non ho nominato nessuno, ho solo citato un libro che dovrebbe conoscere, un personaggio delle favole, quasi. Ad ogni modo non lo nominerò più, non si preoccupi, non so neanche chi sto nominando in realtà, quindi non posso nominare chi non ho nominato......

Ancora la Boldrini lo invita ad usare un modo “appropriato”:

PRESIDENTE. Continui in un modo appropriato

Colletti dunque prosegue il proprio intervento

ANDREA COLLETTI. Ebbene, già nel marzo 2012, ho letto un richiamo al precedente Governo all'uso della fiducia solo per giustificabile necessità per tutelare le prerogative del Parlamento ed ha assicurato una stretta sorveglianza dei presupposti per l'emanazione di ulteriori decreti-legge.
(Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle)
Ora forse dovremmo far rileggere queste dichiarazioni a tutta l'Aula ma anche a tutte le Istituzioni. E qui mi richiamo a un'altra citazione: «siamo ormai al Governo che espropria il Parlamento, compresa la sua maggioranza, così non si può andare avanti, in pratica siamo al sostanziale commissariamento del Governo e del Parlamento» lo dice l'illustre esponente democratico Gianclaudio Bressa, non noi. E quindi questo commissariamento va bene quando c’è un vostro Governo e va male quando c’è un Governo degli altri ? Questa si chiama ipocrisia istituzionale (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
Allora, noi siamo qui, da quarantott'ore, forse di più, saremo qui anche dopo per tutelare anche i parlamentari della maggioranza affinché si rendano conto che possono anche non essere solo dei meri passacarte, altrimenti che ci stanno a fare qui ?

La Boldrini proprio non vuole sentire critiche alla maggioranza e interrompe nuovamente Colletti, stavolta senza nemmeno appellarsi a qualche norma regolamentare. Diciamo che trova semplicemente di cattivo gusto criticare i parlamentari di maggioranza. Non sta bene. Non è elegante.

PRESIDENTE. Però perché bisogna sempre passare per questo tipo di considerazioni ? I parlamentari sono qui per svolgere le loro funzioni, ognuno in un modo che ritiene opportuno, d'accordo ? Ognuno nel proprio modo, non c’è bisogno sempre di sottendere...

Colletti stavolta proprio non ci sta…

ANDREA COLLETTI. Mi perdoni Presidente, ma non si può criticare in questa Aula, a quanto pare?

PRESIDENTE. Si , ma...

ANDREA COLLETTI. E allora mi faccia criticare...

PRESIDENTE. Si, però sono ore e ore di critiche in questo senso. La prego.

A quanto pare è un problema quantitativo, cinque, dieci minuti di critica, va bene, ma qualche ora proprio no…

ANDREA COLLETTI. E ce le meritiamo tutte le critiche !

PRESIDENTE. Colleghi, per favore, lasciamo concludere. Prego, vada avanti e si astenga per quanto possibile da questo tipo di considerazioni.

Alla fine, bontà sua, concede a Colletti la possibilità di concludere, esortandolo, però, “ad astenersi da quel tipo di considerazioni”… quale tipo, di grazia?

Lascio, senza ulteriori commenti, il resto dell’intervento di Colletti, molto disturbato dai deputati della maggioranza, nei confronti dei quali la Boldrini è molto più tollerante e si limita solo ad un “la prego” verso il più intemperante dei contestatori… Non credo serva aggiungere altro.

ANDREA COLLETTI. Dalle critiche non mi posso astenere e neanche dalle considerazioni, visto che siamo qui per questo, per fare le nostre considerazioni e valutazioni (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

Ebbene, porre la questione di fiducia è la dimostrazione della divisione di questa maggioranza. Forse i colleghi del Partito Democratico dovrebbero pensare meno al congresso e di più al bene del Paese (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle – Proteste del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Colleghi, colleghi, per favore lasciatelo concludere. Colleghi, per favore, comportatevi in un modo adeguato a quest'Aula (Il deputato Fiano si avvicina ai banchi del gruppo MoVimento 5 Stelle) ! Onorevole Fiano, la prego, la prego, ritorni...

EMANUELE FIANO. Se me lo dice lei, si.

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Fiano. Colleghi, per favore, abbiate la compiacenza (Commenti)... Non è un bello spettacolo, posso assicurarvi. Basta ! Basta ! D'accordo, basta !

ANGELO CERA. Presidente, lei è inadeguata !

PRESIDENTE. La richiamo all'ordine, onorevole Cera ! Cera, la richiamo all'ordine ! Si contenga ! Siamo alle dichiarazioni di voto, adesso, è in corso una dichiarazione di voto, può continuare per favore ? Continui !

ANDREA COLLETTI. Grazie, Presidente (Commenti).

PRESIDENTE. Colleghi, vi prego, lasciamo continuare l'intervento.

ANDREA COLLETTI. Dopo questo indecente teatrino, spero di avere il tempo che mi è stato sottratto da alcune «lievi» proteste (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle – Proteste dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Allora, possiamo lasciare continuare ? Prego, vada avanti.

ANDREA COLLETTI. Ebbene, ho una proposta da fare al Governo. Che il Governo magari, anche con dei decreti-legge, pensi forse a fare un decreto-legge sul congresso del PD o di Forza Italia 2.0 (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle – Proteste dei deputati del gruppo Partito Democratico) e faccia meno decreti-legge per il Paese, visto che ogni volta che fa un decreto-legge fa solo danni.
Ed ora, anche collegato al nostro comportamento qui sul decreto del fare al nostro ostruzionismo (o «costruzionismo»), vorrei dire che, se davvero credete che potete modificare la Costituzione a vostro uso, abuso e consumo, allora forse non avete capito che noi saremo qui, giorno e notte, a difendere la Costituzione (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle – Applausi polemici dei deputati del gruppo Partito Democratico) !
E la forza di essere qui ogni giorno a lottare per la nostra Carta costituzionale e per la nostra Repubblica (Commenti) ci è data dal fatto che lottiamo per una causa giusta, perché ci mettiamo passione nelle cose che facciamo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) ! Non ci fermeremo e non indietreggeremo mai per il bene del Paese, della collettività e della Repubblica italiana (Commenti) !

E per ultimo vorrei dire: caro Matteo, vinciamo noi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) !


20 luglio 2013

Cento parole in memoria di Peppino Impastato


Qualche settimana fa Andrea Satta mi ha chiesto di scrivere 100 parole sulla mafia per ricordare Peppino Impastato. L'idea - mi ha spiegato Andrea - è quella di fare dei pizzini di solidarietà da usare come cartoline. Pizzini con 100 parole, 100, come i passi. Io ci ho provato. Ho scritto il mio pizzino (di 100 parole) e un messaggio di accompagnamento (sempre di 100 parole). Adesso ho visto che le cartoline ci sono, compresa la mia. Il testo (anzi i due testi) li trovate qui sotto:

Premessa:

Non vivo direttamente il problema della mafia. Però sono convinto di poterne cogliere l'essenza. Del resto, la mafia non è semplicemente la lupara. La mafia inizia dai piccoli gesti, dai comportamenti. E di quei gesti e di quei comportamenti si nutre. E' in quel modello socio-culturale che trova il terreno fertile. Per permettere a quel modello di affermarsi non serve essere uomini di mafia. Basta adeguarsi a determinate dinamiche. Pensando che siano solo, appunto, piccole cose. Le cento parole mi sono venute così. Pensando alla mafia minore che permea la nostra cultura, ma che non ci mette molto a diventare mafia.
Pizzino:
Piccole cose. Ampliare la mansarda? Non serve il permesso, basta una telefonata. A buon rendere. Quella pratica? E quella visita alla ASL? Conosco la persona giusta. Un’oliatina e via. Non è corretto? Non pensarci. Devi eliminare la copertura in eternit? Trovo uno che te ne disfi in mezza giornata. Tuo figlio ha bisogno di lavorare. Ma niente, cosa vuoi che sia. Ti dico io cosa devi fare. Una piccola cosa. Metti una croce lì. Tu hai un’esigenza, la si risolve. Ti si chiede solo un po’ di gratitudine. Una piccola cosa. La dignità, dici? Anche quella è una piccola cosa.

19 luglio 2013

Come volevasi dimostrare


Tanto per fugare gli ultimi dubbi di qualche scettico, il nostro ineguagliabile sindaco, Alfredo Galli, ha dimostrato - con lo stile istituzionale e l’eleganza dell’agire che tutti gli riconoscono – le due patologie che lo affliggono e che – forse per il cinico incedere degli anni – sembrano essere vieppiù peggiorate negli ultimi tempi: la cronica intolleranza alle regole della convivenza democratica e l’acuta idiosincrasia alla vera opposizione politica. E’ stato sufficiente diffondere (in poche decine di copie) un volantino col quale abbiamo espresso il nostro rincrescimento per una sua presunta (adesso un po’ meno presunta) affermazione sulla presunta (questa sì, decisamente tale) illegalità delle pubblicazioni di “Legalità e Trasparenza”. Ricorda un po’ Sergej Nazarovič Bubka, lo straordinario atleta russo del salto con l’asta, nelle sue memorabili performance sportive, quando era capace di battere il suo primato mondiale anche due volte nella stessa gara. E tutti gli spettatori rimanevano lì, estasiati ed ammirati, a vedere quel portentoso fenomeno stracciare record in continuazione. In quel caso il record da battere era l’altezza dell’asticella. Si misurava col sistema metrico decimale ed era facile (anche per i non addetti ai lavori) coglierne la grandezza. Nel caso di Galli il record che riesce puntualmente a superare non è agevole da misurare: è quello del ridicolo. Ogni volta pensi che abbia raggiunto il massimo e che fare di più sarà veramente difficile. Come quando ci aveva intimato di fare poca cacca. Ci era sembrato davvero si fosse raggiunto l’apice. Eravamo persino usciti sul Vernacoliere, che ci aveva solennemente, quanto meritatamene, spernacchiato. Invece no. Anche il pezzo di cinema di pochi giorni fa con la sua requisitoria contro le pubblicazioni clandestine – a cui hanno potuto assistere solo pochi avventori (e quella la consideriamo la vera scorrettezza di Galli: certe performance dovrebbero essere patrimonio dell’umanità e andrebbero registrate e trasmesse in mondovisione) – non appariva facile da eguagliare. Invece, appena un paio di giorni dopo, ecco l’imponderabile. Affida agli uffici l’onere di scrivere nientepopòdimeno che un’ordinanza urgente – sono questioni gravi, certo – per intimare – badate bene – “ai titolari di tutti gli esercizi di Labico a non accettare ed esporre qualsiasi giornalino periodico o no stampato in modo non conforme alla attuale legge vigente” . A dare forza alla severità dell’atto, oltre alla minaccia di confisca del materiale e di applicazione delle sanzioni di legge (e qui il delirio di onnipotenza è assoluto) ecco pronti i riferimenti normativi del caso: la ben nota legge sulla stampa del 1948, in base alla quale aveva già sporto denuncia (vanamente, neanche a dirlo) un paio di anni fa. E ancora oggi il ricordo di quella denuncia scatena irrefrenabili moti di riso in chi – tra funzionari di pubblica sicurezza e organi giudiziari – aveva avuto la ventura di leggerne il farneticante contenuto.
A parte un po’ di sana ironia questo episodio non può e non deve essere declassato a folklore locale. Alfredo Galli – e qui bisognerebbe confrontarsi con la propria coscienza quando si ha una matita in mano – non è la macchietta del paese (anche se sta facendo di tutto per meritarsi il ruolo), ma è la massima autorità cittadina, amministra – omettiamo il “come” per carità di patria – il nostro territorio, le nostre risorse, le nostre strutture pubbliche e la legge gli attribuisce importanti “poteri”, sempre al fine di esercitare al meglio la sua funzione. Una gestione impropria di questi poteri rappresenta un danno per la collettività e un pericolo per i diritti dei cittadini. E l’ordinanza del 18 luglio 2013 (sempre che possa essere considerata tale, vista l’anomala forma dell’atto, ma riteniamo superfluo cavillare sui dettagli) rappresenta una violazione gravissima di un diritto costituzionale, quello sancito dall’articolo 21 sulla libertà di espressione. E a renderlo ancora più grave intervengono due elementi ulteriori: l’abuso di un suo potere per una finalità che nulla ha a che vedere con il proprio ruolo e la subdola forma di intimidazione posta in essere nei confronti dei terzi (ossia gli esercenti le attività commerciali) che non vanno confusi con gli autori del presunto illecito (ossia noi), mettendoli nell’odiosa condizione di diventare complici di un palese arbitrio, perché costretti a rispettare un’ingiusta disposizione della ben poco autorevole autorità locale. Non avendo il coraggio di affrontare i suoi interlocutori in alcuna sede, l’ardimentoso primo cittadino cerca di cavarsela con mezzucci arroganti quanto vigliacchi come un’ordinanza contra legem. Di fronte a questa aggressione alla democrazia non possiamo certo tacere e faremo tutto il possibile per difendere e riaffermare diritti conquistati poche decine di anni fa e costati un sacrificio enorme di un’intera generazione e che ha chiuso definitivamente le porte al fascismo. Qualcuno informi Galli: siamo un paese libero, nonostante lui.


Tullio Berlenghi e Maurizio Spezzano

14 luglio 2013

Una cosa è certa


Una cosa è certa

Una cosa è certa. L’opposizione che preoccupa Alfredo Galli si chiama Legalità e Trasparenza. Tra denunce, cause civili, intimidazioni di vario tipo Galli ha dimostrato – con le sue scomposte reazioni – di soffrire molto la nostra azione politica. Non stupisce quindi sapere che, nei giorni scorsi, alla vista della nostra pubblicazione “Agorà” in un locale pubblico del paese, sia andato su tutte le furie. La sola idea che qualcuno possa muovere delle critiche nei suoi confronti, abbia la supponenza di vergarlo nero su bianco e finanche l’ardire di diffonderlo nel “suo” paese, gli fa perdere il lume della ragione. Sembra – a sentire le chiacchiere del paese – che, alla vista dell’odioso oltraggio (ossia Agorà), abbia iniziato a lanciare contumelie, asserendo che quella pubblicazione sarebbe illegale con una velata accusa di connivenza (se non di complicità) nei confronti del gestore del locale per non aver prontamente provveduto ad eliminare l’illecita pubblicazione. Strano che il primo cittadino – a cui la legge attribuisce importanti responsabilità in merito alla pubblica sicurezza – di fronte ad un evidente (almeno a suo dire) illecito non abbia avviato una procedura per il ripristino della legalità. Avrebbe potuto – e dovuto – chiamare gli organi preposti e far sequestrare il corpo del reato, nonché avviare un’azione giudiziaria nei confronti dei responsabili. Niente di tutto questo. In compenso, subito dopo la sua uscita si è notata la sparizione delle numerose copie di Agorà. Che buffa coincidenza.
Ora è difficile ricostruire con esattezza l’episodio, che però parte da un dato di fatto inconfutabile: la convinzione del sindaco che la nostra pubblicazione sia illecita. Comprensibile persuasione da parte di chi interpreta in modo così distorto il concetto di democrazia da pensare che aver vinto le elezioni con poco più di un quarto dei voti dei cittadini labicani significhi essere il sovrano del paese, nei confronti del quale non sono ammesse le critiche. Non è un caso che abbia promosso azioni civili e penali nei confronti dei suoi detrattori, non è un caso che abbia abusato del suo potere per proibire con miserabili giustificazioni le riprese dei consigli comunali, non è un caso che – lui sì, violando apertamente la legge che pretende di insegnare agli altri – non abbia calendarizzato le mozioni dell’opposizione e abbia atteso oltre un anno per rispondere alle interrogazioni (ma non in consiglio comunale, sottraendosi, come sempre, al confronto). E allora noi, instancabili, lo interroghiamo nuovamente – per il momento in forma libera, riservandoci di porre le medesime domande nelle sedi proprie – per chiedergli: davvero ha nuovamente affermato che Agorà sarebbe illegale? E, in tal caso, perché non ne ha fatto disporre il sequestro? Perché non ha il coraggio di affrontare in nostra presenza – in consiglio comunale o in un dibattito pubblico - la presunta illegittimità della nostra pubblicazione? Teme di fare l’ennesima brutta figura, che è la ragione per la quale fa di tutto per rendere difficile ai cittadini la partecipazione ai consigli comunali?
Per quanto riguarda la sparizione delle copie di Agorà le risparmiamo la domanda e proviamo ad immaginare che siano sparite nel nulla. Del resto, con lei ad amministrare questo paese sono già spariti nel nulla 4 milioni di euro, cosa vuole che siano alcune decine di fogli in formato A4?


Tullio Berlenghi e Maurizio Spezzano

12 maggio 2013

Divieto di critica.



Non è andata bene ad Alfredo Galli. Paradossalmente gli sarebbe convenuto perdere le elezioni, magari addossando la responsabilità di tutti i problemi al sindaco uscente. La bomba depuratori era già esplosa e, con un’adeguata riflessione, non era difficile immaginarne la portata economica – almeno in ordine di grandezza – per le casse comunali. Lasciarne la gestione a chi, pur senza averne la responsabilità diretta, si ritrovava col cosiddetto “cerino in mano” sarebbe stato quasi un colpo da maestro. Ma, si sa, una delle regole della politica, o almeno di una certa politica, è che non bisogna mai mollare una poltrona, per nessun motivo. Così, quando Galli – che per l’imminente sconfitta aveva già pensato di mandare avanti un gregario - si è reso conto che l’opposizione era divisa, ha deciso di approfittarne per tornare al potere. Un potere gestito – se possibile – peggio di come l’aveva gestito fino ad ora (sì, lo sappiamo, non era facile). Nell’evidente incapacità di gestire gli enormi danni inferti al paese e al suo territorio, ha pensato bene di sostituire un’autorevolezza mai avuta con un’autoritarietà sconfinante nell’arroganza e nella sopraffazione. E’ ormai un anno che andiamo avanti così, con un’amministrazione che non riesce ad affrontare concretamente i problemi di cui è responsabile e che si limita ad impedire che, di quei problemi, si parli. Per fare questo viola costantemente le norme dell’ordinamento giuridico sul quale ha prestato solenne giuramento: non rispettando i tempi per l’approvazione dei documenti del bilancio, il cui contenuto appare in contrasto con i principi di contabilità pubblica; impedendo riprese e registrazioni dei consigli comunali, per impedire ai cittadini di sapere a chi hanno affidato le sorti della propria comunità; infrangendo le norme che impongono di dare le giuste risposte alle istanze dell’opposizione; instaurando un clima di terrore nel palazzo del Comune, dove chi prova ad agire con correttezza professionale rischia il posto di lavoro. Per chi, invece, non è ricattabile, l’arma è sempre la stessa: “l’intimidazione giudiziaria”. Ci siamo già passati, per avere segnalato un’anomalia sul permesso di costruire che ha consentito al Sindaco Galli di realizzare una bella villa in piena zona agricola e ci stiamo ripassando, per avere espresso delle perplessità su alcune recenti decisioni di Galli. Per il nostro sindaco, evidentemente, non esiste il diritto di critica politica. E’ sempre stato abituato ad opposizioni piuttosto morbide e collaborative e, non a caso, la strada che collega l’opposizione alla maggioranza labicana è sempre piuttosto trafficata. Il sindaco non sopporta, quindi, che qualcuno esprima dei dubbi quando afferma, con tono trionfale, di aver finalmente risolto il problema dei depuratori e di averne ottenuto – dopo un anno di duro lavoro – il dissequestro. Omette di dire che questo scherzetto, del quale ha la piena responsabilità politica e amministrativa, è costato ai cittadini qualcosa come quattro milioni di euro. Non solo omette di dirlo, ma omette anche di inserirlo nei documenti di bilancio, forse perché, se lo facesse, salterebbe il banco. Non lo diciamo solo noi –che siamo stati i primi ad evidenziare tutte le criticità della situazione – lo dice anche un ex segretario comunale. Badate bene: “un ex” e non “l’ex”. Perché a Labico abbiamo visto passare quattro segretari comunali nell’ultimo anno e mezzo. Neanche questo è un caso. Assumere una simile responsabilità in “questo” comune significa maneggiare qualcosa di rovente. E più di qualcuno ha temuto di scottarsi. L’ex segretario, infatti, in una puntuale e circostanziata lettera inviata al sindaco, alla giunta e agli uffici competenti, ha messo nero su bianco la gravità della vicenda depuratori (3,8 milioni di euro al 14 febbraio 2013), mettendo in serio dubbio la legittimità dell’operazione transattiva approvata con delibera di giunta comunale (delibera  che, solo a leggerla, fa drizzare i capelli in testa per la sconcertante approssimazione e superficialità con cui è scritta), nonché la vera e propria drammaticità della situazione debitoria in cui versa il comune e che si continua bellamente ad ignorare. Ovviamente quel segretario è andato via. Così come è andata via la responsabile del dipartimento dell’urbanistica, un tema molto caro al sindaco, per il quale ha bisogno di circondarsi di persone molto, come dire, “in sintonia” con lui. Altrimenti è meglio che facciano altro. Vale per i tecnici, come per i politici. E, infatti, non c’è più nemmeno un assessore all’urbanistica. L’urbanistica è lui, il re sole, anzi mattone. Che poi ci sia un conflitto di interessi, non è rilevante. Anzi, meglio far finta di niente e, soprattutto, meglio non dirlo: potrebbe scapparci un nuovo manifesto, stampato e affisso a spese dei cittadini, e, probabilmente, un nuovo formale richiamo alle forze dell’ordine affinché ripristinino la legalità a Labico. Chissà, potrebbe succedere davvero, ma non siamo certi che sarebbe lui a rallegrarsene.

Tullio Berlenghi e Maurizio Spezzano

Alle colonne d'Ercole

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