28 febbraio 2013

L'antipolitica che aiuta la casta


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Trovo insopportabile l’approssimazione con cui, soprattutto in politica, si affrontano questioni complesse e delicate. C’è un pressapochismo di fondo che caratterizza l’azione di chi amministra o governa o si propone di farlo. Una superficialità che porta spesso a conseguenze devastanti. Pensiamo ai sistemi elettorali. Negli ultimi vent’anni ne sono stati introdotti decine, spesso diversi a seconda dell’istituzione da eleggere, ognuno dei quali avrebbe dovuto risolvere i problemi della politica. Manca la governabilità? cambiamo il sistema elettorale. La burocrazia non funziona? Ci vuole un nuovo sistema di voto. La politica non è trasparente? E’ colpa delle regole per votare. E così via. Non mi soffermo sui guazzabugli che, di volta in volta, sono stati creati con l’obiettivo di migliorare le cose, ma con risultati non proprio esaltanti. L’ultima legge elettorale (il famigerato “Porcellum”) era stata giudicata negativamente sin dalla sua nascita in modo unanime, persino dal suo ideatore. Talmente brutta dal guardarsi bene dal cambiarla.
Si parla, inoltre, sempre più insistentemente di ridurre il numero degli eletti, in modo da tagliare i costi della politica. Tra l’altro l’operazione è già in parte iniziata. Il numero dei consiglieri comunali, ad esempio, è stato ridotto con due interventi normativi successivi. E l’inarrivabile Silvio Berlusconi, evidentemente del tutto digiuno di pubblica amministrazione locale, ha affermato – nella campagna elettorale appena conclusa – l’esigenza di “dimezzare” il numero dei consiglieri di qualunque ente locale. Inconsapevole delle conseguenze. Penso al mio comune. Aveva 17 consiglieri prima del 2012. Il loro numero è diventato di otto a seguito dei “tagli” dei due governi precedenti. Applicando la nuova purga berlusconiana il numero dei consiglieri si ridurrebbe a quattro. Sindaco, due assessori e consigliere di opposizione? O magari, per far prima, si leva anche il consigliere di opposizione? Che logica ha un intervento di contenimento della spesa che taglia a casaccio la rappresentanza istituzionale? E quanto si risparmia, sapendo che un consigliere percepisce 17 euro lordi a seduta di consiglio? Saranno quelle poche centinaia di euro all’anno a mandare in tilt il comune? Ma un consiglio comunale ridotto a poche unità non costituirebbe un vulnus democratico e di rappresentanza? E non sarebbe più rischioso che poche persone, con un evidente minore controllo, gestiscano in totale solitudine appalti, convenzioni, piani urbanistici, forniture? Col rischio che un singolo appalto venga a costare decine di migliaia di euro in più? Sempre nel mio comune, solamente quando si è avuta la presenza di un’opposizione numericamente più consistente, più motivata (almeno in parte) e con qualche competenza (almeno in parte) sono stati evidenziati sprechi e inefficienze per centinaia di migliaia di euro. Tutto nero su bianco e in qualche caso con l’avvio dell’azione della magistratura. Poi, ovviamente, se per i cittadini va comunque bene così, non è un problema (fatta salva l’eventuale commissione di reati). Al momento del voto si può sempre, legittimamente, decidere di optare per un’amministrazione sciatta e che privilegia gli interessi di pochi a danno dei diritti di tutti. E’ una scelta e la democrazia, nella sua imperfezione, è anche questo. Però deve rimanere la possibilità che quella parte minoritaria della collettività sia in qualche modo rappresentata e porti le proprie istanze e le proprie proposte nelle sedi istituzionali. Altrimenti la democrazia non sarebbe solo imperfetta, ma monca. Diventerebbe quello che Alexis de Tocqueville definiva la “dittatura della maggioranza”, un’odiosa degenerazione dei principi democratici. Peccato che un’ondata populista, ma non certo moralizzatrice, rischia di portare esattamente a questo, per la gioia di chi ha una visione padronale della gestione della cosa pubblica. E’ un po’ come quelli che, per protesta, decidono di non andare a votare. Loro sono convinti di fare un dispetto alla “casta”. La casta, invece, sorride e ringrazia.

18 febbraio 2013

Al di sopra della legge

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Ormai mancano pochi giorni al termine della campagna elettorale. Il messaggio delle forze politiche è affidato a varie forme di propaganda e, tra queste, il “manifesto”, la cui affissione è regolamentata dalla legge elettorale in modo da garantire l’equilibrio tra i contendenti. In linea teorica i comuni devo predisporre gli spazi per le affissioni e ogni forza politica ha diritto ad un proprio spazio, a cui si aggiungono (se viene fatta la richiesta) gli spazi per i “fiancheggiatori”. Tutto molto semplice.  Peccato che, come spesso succede in Italia (o in una sua parte), quella sulle affissioni è una delle tante norme “fantasma” del nostro Paese. Nessuno si preoccupa di rispettarla e nessuno di farla rispettare. Quello che sconcerta è che chi viola la legge sono le stesse persone che si candidano al ruolo di legislatori e/o amministratori. Ingenuamente uno potrebbe pensare che un aspirante legislatore sia più propenso al rispetto delle regole. Invece, almeno in Italia, no. Chi ambisce a ricoprire un ruolo istituzionale si sente già “al di sopra” delle regole. Spesso la tesi autoassolutoria è che – in fondo – fanno tutti così e quindi per vincere bisogna violare le regole proprio come fanno gli altri. Con questo stesso principio si potrebbe giustificare il doping nel ciclismo: è talmente diffuso che, per vincere, bisogna adeguarsi. Già immagino il commento dei realisti, di quelli che sanno come vanno le cose, di quelli che la politica è questa: cosa vuoi che sia qualche manifesto affisso nei posti sbagliati, magari hanno fatto confusione gli attacchini, mica c’entra il candidato tizio o il partito caio.
Insomma un peccato veniale, sul quale però mi vorrei soffermare. Intanto è la dimostrazione di quanto spesso sia ottusa la classe politica italiana. Chi si candida a governare la regione o il paese lo fa sperperando risorse – normalmente di provenienza pubblica – per stampare migliaia di manifesti coi quali coprirsi a vicenda. Un manifesto che potrebbe durare tranquillamente tutti i 30 giorni della campagna elettorale rischia di non resistere neppure un’ora e quello successivo magari rimarrà attaccato si e no venti minuti. Così per lo stesso spazio – che la legge ha destinato ad una precisa forza politica – si sprecheranno centinaia di manifesti. Una dimostrazione di irrazionalità assurda e totale. Per attaccare quei manifesti vengono pagate – normalmente in nero – delle persone che hanno tutto l’interesse a mantenere questo stato di illegalità assoluta. Le amministrazioni comunali sono incapaci o impotenti o colluse. Quante volte il candidato che attacca i manifesti abusivi è un amministratore comunale? Anzi spesso è proprio il ruolo di amministratore a garantire l’impunità della condotta illegale. Ovviamente una volta che parte la “guerra dei manifesti” nessuno spazio è al sicuro. Quindi per un mese le amministrazioni comunali dovranno rinunciare agli incassi per le affissioni pubblicitarie, visto che gli spazi sono occupati illegalmente dai manifesti politici. Per non parlare dell’incivile aggressione a qualunque altra superficie utile – cassonetti, fermate dell’autobus, muri, recinzioni metalliche, ecc. ecc. – che deturpano irrimediabilmente le nostre città. Magari con slogan che inneggiano al decoro, alla pulizia, all’onestà.  In pratica uno che non rispetta le regole (quindi disonesto), che deturpa il proprio paese (quindi uno zozzone) e che sperpera i soldi pubblici (quindi sciupone) mi chiede fiducia e consenso assicurandomi che governerà onestamente, nell’interesse dei cittadini e nel pieno rispetto del territorio. E’ possibile, ma le premesse sono tutt’altro che incoraggianti.

Alle colonne d'Ercole

Alle colonne d'Ercole
La mia ultima avventura