1 luglio 2018

Odio gli indifferenti, figuriamoci gli stronzi.


Stiamo assistendo ad un cambiamento davvero epocale. Stiamo legittimando il diritto all’odio. Un odio preventivo, nei confronti di qualcuno di cui non sappiamo nulla e che però giudichiamo pregiudizialmente capace di commettere le peggiori nefandezze. Basta girare un po’ sui social per capire quanto questi sentimenti negativi siano molto diffusi, colpendo anche in modo schizofrenico persone apparentemente solidali, sensibili e caritatevoli. Le stesse persone riescono a condividere contemporaneamente post pieni di preoccupazione per lavoratori licenziati, terremotati, cagnolini in cerca di adozione, embrioni alla terza settimana, calciatori non convocati e post intrisi di odio e livore nei confronti di disperati in fuga da qualche dramma.
Il cambiamento a cui stiamo assistendo è che l’indifferenza, ossia la negazione di umana pietà nei confronti di queste persone – un po’ ‘sticazzi, mica mi posso fare carico io dei problemi del mondo – viene man mano sostituita da un sentimento di avversione, livore, odio nei confronti di questi esseri umani.
Però anche odiare non è cosa semplice. Perché per odiare io ho due possibili strade: o mi iscrivo a pieno titolo nel club dei malvagi, quindi il mio odio, la mia avversione sono coerenti con un’indole maligna, oppure cerco una qualche giustificazione alla mia ostilità. Ma visto che nessuno vuole vedersi affibbiare l’etichetta di cattivo, bisogna percorrere un’altra strada. In pratica io continuo ad essere buono (e infatti mi preoccupo per i cagnolini e i terremotati, guarda quanto sono bravo) ma ho una giustificazione per i miei sentimenti negativi nei confronti di altri, che ho bisogno di “classificare” per categoria, razza, orientamento sessuale, credo religioso e via dicendo, imputando ad ogni classificazione qualche elemento negativo. Ed è quindi un fantastico rincorrersi di luoghi comuni: i negri puzzano e stuprano le nostre donne, i musulmani sono terroristi, i rom rubano e non pagano le tasse, ecc. ecc. Tutti pronti a postare news, foto e video che confermino i nostri assiomi. Non importano che siano fasulli o che siano assolutamente fuori contesto. L’importante è che servano ad alimentare questo flusso incontrollato di pseudonotizie che hanno la sola finalità di rafforzare i nostri convincimenti. In tutto questo non ci rendiamo nemmeno conto delle contraddizioni, perché un giorno magari chiediamo che vengano affondate le navi su cui viaggiano questi disperati e il giorno successivo diciamo che quelli che sono annegati erano vicino alla Libia quindi non è colpa nostra (facciamoli morire a casa loro). Perché il problema è complesso, per carità, e non è facile spiegare a chi non ha assolutamente intenzione di approfondire l’argomento che stiamo parlando di un continente la cui aggrovigliata situazione attuale è stata determinata soprattutto dalle scelte predatorie dei paesi ricchi e civilizzati in cui abbiamo la fortuna di essere nati e che quindi abbiamo la responsabilità civile e morale di chi continua a fuggire da guerre e crisi economiche nelle quali continuiamo a giocare un ruolo fondamentale (a cominciare dal business delle armi e dei combustibili fossili). Magari dovremmo domandarci cosa possa spingere una persona ad abbandonare famiglia e affetti per avventurarsi in un viaggio terribile e con prospettive di tortura o di morte per andare magari a spaccarsi la schiena 12 ore al giorno in mezzo ai campi di pomodori. Abbiamo bisogno di poter dire che vengono a fare la bella vita, inventandoci o dando credito a notizie false soltanto per dare un alibi al nostro livore. Eppure sono loro che continuano a morire in mare, compresi i bambini - evidentemente portatori anch’essi di qualche colpa - per i quali riusciamo a non provare alcuna compassione. E per mascherare questo cinismo proviamo a negare l’evidenza, dicendo che è tutta una messinscena. Allora sarà il caso di essere un po’ meno ipocriti: la “linea dura” (se si chiama dura una ragione ci sarà) aggiunge morte e dolore alla morte e al dolore di una situazione già drammatica.  Scegliere quella linea significa scegliere di far morire delle persone. Siamo liberi di farlo. Siamo liberi di smettere di essere indifferenti e di diventare definitivamente ed orgogliosamente stronzi.

P.S. – Il titolo è soltanto un omaggio al pensiero di Gramsci: in realtà sono quasi incapace di nutrire sentimenti di odio.

17 maggio 2018

Appuntamenti di maggio



I prossimi giorni andrò un po' in giro. Ecco un breve riepilogo:

  • Sabato 19 maggio - Milano Technology Hub - ore 14:30 - Workshop su Economia Circolare
  • Venerdì 25 maggio - Frascati - Giornalisti nell'erba - ore 13:00 - Presentazione del saggio "Storia del diritto ambientale"
  • Sabato 26 maggio - Montalcino - Festival Eroica - Presentazione del diario di viaggio "Alle Colonne d'Ercole"
  • Domenica 27 maggio - Ruvo di Puglia - Ruvo Sportiva - Presentazione (a pedali) del diario di viaggio "Alle Colonne d'Ercole"




7 febbraio 2018

All'armi siam fascisti

C’è un inquietante corto circuito della logica ancor prima che del buonsenso in questo dibattito politico arroventato da una campagna elettorale nella quale i partiti stanno facendo a gara per inseguire, o addirittura alimentare, le pulsioni peggiori. Proviamo a mettere insieme due circostanze, da una parte abbiamo un povero mentecatto che prende in mano la pistola che legittimamente deteneva (ok, in teoria l’avrebbe potuta usare soltanto in un’apposita struttura, ma intanto qualcuno gli ha concesso il permesso di possederlo, quello strumento di morte) per usarla contro altri esseri umani con l’intenzione di ucciderli, dall’altra abbiamo autorevoli politici che chiedono di rendere più facile proprio la detenzione di armi, in modo che tutti, a loro avviso, possano avere la possibilità di difendersi.
Al netto delle considerazioni sull’effettiva efficacia di un’arma da fuoco per difesa personale, nessuno considera in modo adeguato che l’aumento della diffusione delle armi non va a beneficio esclusivo delle sbandierate “persone oneste” che hanno bisogno di sentirsi più sicure, ma consentirebbe a chiunque – che so, un esaltato coglione nazista, ad esempio – di tenere in casa pistole, fucili e kalashnikov , con il risultato di avere probabilmente una maggiore sicurezza percepita (la pistola sotto il cuscino come Tex Willer) ma un elevato numero di potenziali assassini pronti ad usare quelle armi per le ragioni più disparate (liti di condominio, momenti di gelosia, divergenze sulla corretta interpretazione del codice della strada). Perché solo un idiota può pensare di dividere i buoni dai cattivi e di armare i buoni in modo che si possano difendere dai cattivi. No, se tu decidi di diffondere l’uso delle armi, armerai tutti e i primi a correre a comprarsi un fucile o una pistola saranno i cattivi, seguiti dagli stupidi, che talvolta sono più pericolosi degli stessi cattivi.

Quello che ripugna è vedere cosa sia disposta a fare certa gente per aumentare di qualche punto percentuale il proprio consenso, il numero degli eletti e la fetta di potere da gestire. Il prezzo da pagare sarà un paese più impaurito ed imbarbarito e paradossalmente molto meno sicuro di adesso (negli ultimi 25 anni gli omicidi sono stati in lento ma progressivo calo). Un prezzo altissimo che, ovviamente, pagheremo noi.



11 gennaio 2018

Labico, sei mesi dopo.


Sei mesi. Pochi per fare un bilancio, ma sufficienti per farsi un’idea di come stia lavorando la nuova amministrazione comunale. Premetto subito, a scanso di equivoci, che il mio è un giudizio di parte, perché ho sostenuto sin dall’inizio l’attuale giunta. A differenza di quanto si possa pensare essere di parte non significa necessariamente essere incapaci di un’autonomia di giudizio. Anzi, nel mio caso essere di parte vuol dire essere ancora più attento e severo sui temi che mi stanno maggiormente a cuore.
Proviamo dunque a fare una prima (e necessariamente incompleta) valutazione per capire se davvero la nuova giunta sta cercando di realizzare quel “cambio di rotta” tanto atteso, come dimostra l’eclatante responso delle urne del giugno 2017.

Squadra. Intanto la composizione della squadra. Un gruppo determinato, affiatato, composto da persone competenti. Per la prima volta c’è anche una vera parità di genere, non soltanto grazie alla doppia preferenza di genere, ma perché abbiamo per la prima volta due donne in giunta, una delle quali è vicesindaco. Una parità non nominale, ma sostanziale, visto che tutte le donne che fanno parte della maggioranza sono molto preparate e determinate.
Visione. Un altro aspetto fortemente innovativo è dato da una visione diametralmente opposta di come si guida una pubblica amministrazione. Siamo passati dall’occupazione del potere fine a se stessa, con il sindaco padre-padrone ed un gruppo di fedelissimi esecutori, alla gestione collegiale della cosa pubblica, con il sindaco che sceglie una squadra in base a capacità e competenze, delega l’azione di governo sui singoli settori, coinvolge tutti nei processi decisionali, ascolta con rispetto suggerimenti e consigli di chiunque abbia sufficiente autorevolezza.
Trasparenza. Anche qui va fatto il confronto (impietoso) con il passato. Ricordiamo tutti che il precedente sindaco aveva vietato le registrazioni audio e video dei consigli comunali, appellandosi persino al “Codice della privacy”, pur di tenere la cittadinanza all’oscuro di quello che succedeva nel palazzo. Ricordiamo addirittura l’episodio in cui aveva chiamato le forze dell’ordine per mandare via un deputato della Repubblica che cercava di riprendere un consiglio comunale. Scene imbarazzanti che per fortuna sono state archiviate, ma non dimenticate. Adesso lo streaming dei consigli comunali è fatto dalla stessa amministrazione. In modo approssimativo, imperfetto, con problemi tecnici di vario tipo, certo. Però la volontà è chiara: questa amministrazione non ha nessuna intenzione di nascondersi e anzi mette tutti i cittadini nelle condizioni di seguire quello che succede nel “Palazzo”, non solo con la diretta video delle sedute, ma anche con le convocazioni in giorni e orari che permettono una maggiore partecipazione.
Privilegi. E’ un segnale, piccolo, piccolissimo, ma decisamente apprezzabile. E’ stato immediatamente eliminato il parcheggio riservato del Sindaco. Uno spazio pubblico era sottratto alla collettività e destinato esclusivamente ad un singolo cittadino, il quale ne usufruiva non solo per gli impegni istituzionali, ma anche semplicemente per andare a messa la domenica. Un privilegio in stile borbonico inaccettabile.
Estate labicana. Qui non mi dilungo (anche perché ne ho già parlato qui), perché il cambiamento è stato talmente clamoroso da aver ricevuto l’apprezzamento pressoché unanime dell’intera popolazione. Vorrei citare solo la straordinaria esperienza delle fraschette, che ha permesso a centinaia di persone di godere tre serate indimenticabili. L’estate labicana ha permesso alle tantissime risorse di cui dispone Labico di esprimere al meglio tutte le proprie potenzialità e anche questo dà la misura del cambiamento: prima le associazioni erano a malapena tollerate, tranne quelle “amiche”, adesso sono tutte, senza distinzioni, coinvolte e valorizzate.
Conti pubblici. Non si potevano fare i miracoli e nessuno l’aveva promesso. Però si è capito subito che il bilancio comunale devastato dalla politica dissennata degli ultimi anni (ricordo soltanto il “buco” causato dalla vicenda dei depuratori) è finito nelle mani di chi ha le qualità per rimetterlo in sesto. Ci vorrà tempo e bisognerà ancora contenere le spese, ma forse una piccola luce in fondo al tunnel si inizia a vedere.
Territorio. C’è ancora molto da fare, indubbiamente. Però anche qui l’amministrazione ha coinvolto positivamente le generose realtà locali e ha permesso che venisse riqualificato e valorizzato lo splendido itinerario delle fonti, in abbandono da molti anni e che è stato “riscoperto” e apprezzato da tantissimi cittadini labicani.


Molti altri temi dovranno essere affrontati e si attendono sfide difficili, in gran parte dovute alla pesante eredità del passato: urbanistica, rifiuti, servizio idrico integrato, opere pubbliche, servizi. Non sarà facile. Intanto mi piace sottolineare che - mentre le passate amministrazioni, una volta vinte le elezioni, si barricavano nel Palazzo comunale per uscirne solo dopo quattro anni e mezzo in vista della campagna elettorale – l’attuale sindaco e la sua squadra incontreranno (domenica 14 gennaio) la cittadinanza per confrontarsi sul lavoro fatto in questi sei mesi e sulle molte cose da fare nei prossimi quattro anni (una la suggerisco io: la biblioteca). Si chiama “partecipazione” ed è una bella parola, perché ci invita ad essere parte attiva di quel delicato processo che è la gestione della cosa pubblica. Ci appartiene e ne facciamo parte, tutti: sindaco, consiglieri, cittadini.

Alle colonne d'Ercole

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La mia ultima avventura