6 settembre 2004

La tragedia di Beslan

Mi hanno chiesto di scrivere un pezzo per “Il giornale del Popolo”. Preferibilmente un argomento di interesse locale. Ci sto provando. E’ almeno mezz’ora che sono davanti al monitor, con le dita sulla tastiera, pensando a qualche possibile argomento: l’estate labicana, il bilancio comunale, i parcheggi, il piano regolatore, la scuola. Ecco, la scuola. Un argomento di grande interesse per la collettività. La scuola è uno dei servizi pubblici di cui abbiamo maggiore bisogno. E’ il posto al quale affidiamo i nostri figli a partire dai tre anni. Di cose da dire ce ne sarebbero, per carità. Però proprio non ci riesco. La parola scuola evoca in me le strazianti immagini di Beslan e dell’edificio scolastico dove è avvenuta una delle tragedie più inquietanti che abbiano colpito l’Europa dalla fine della seconda guerra mondiale. E’ strano il meccanismo che sovrintende alle nostre emozioni. Se ci parlano di mille morti, diecimila morti, centomila morti reagiamo sì con amarezza e sbigottimento, ma il fatto di non dare nomi e volti alle vittime rende il nostro dolore come ovattato, sterile, astratto. Se invece abbiamo la possibilità di conoscere una storia, vedere un’immagine, condividere un frammento individuale di quella mostruosità, veniamo sopraffatti dallo sgomento, dall’impotenza, dall’incredulità. Ci chiediamo come sia possibile che esseri umani possano compiere terribili efferatezze ai danni di altri esseri umani, addirittura, come in questo tristissimo caso, nei confronti di incolpevoli bambini, quelli destinati troppo spesso a pagare un tributo di sangue altissimo per colpe che non hanno.
La violenza difficilmente nasce per caso. La violenza nasce, progredisce e prospera in situazioni ben precise e determinate. La violenza nasce dall’odio, dell’odio si nutre e con l’odio si rafforza. La violenza genera odio e l’odio genera altra violenza. E’ una perversa spirale la cui prevedibilità dovrebbe essere ben chiara a chi governa i destini del mondo e che pensa di portare ordine, democrazia e giustizia facendo ricorso esattamente allo stesso modello culturale che si dichiara di voler combattere. Non c’è giustificazione per quello che è avvenuto a Beslan. E non c’è giustificazione per tutte le ingiustizie e gli orrori perpetrati – magari proprio in nome della giustizia – ai danni delle popolazioni civili in molti luoghi della terra. Compresa la Cecenia, dove l’inaudito numero di morti – si stima che siano tra i centomila e i trecentomila i ceceni morti negli ultimi anni, per mano delle forze militari russe – ha innescato indubbiamente un crescendo di rabbia, rancore, frustrazione e odio che chissà quanto altro dolore potrà portare. Sarebbe sbagliato mettere sui due piatti di una bilancia gli orrori, gli stupri, le violenze, le torture, le uccisioni compiute da una parte e dall’altra per decidere chi ha ragione. Non ci può essere ragione che giustifichi la barbarie. La barbarie come strumento per combattere la barbarie altro non è che l’accreditamento della barbarie medesima come strumento per ottenere un obiettivo. E se siamo disposti ad accettare un simile, tragico principio (a cui spesso si è portati ad attribuire persino valore etico o morale) rischiamo di doverci preparare ad accettare qualunque cosa.

Alle colonne d'Ercole

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La mia ultima avventura