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5 dicembre 2016

Scusate, vorrei scendere...

C’è un affollatissimo carro dei vincitori dal quale vorrei scendere prima che l’aria diventi irrespirabile, come sul 64 all’ora di punta. Sono contento del risultato del referendum, ma non la considero una vittoria. Non una mia vittoria, almeno. Io ho interpretato il quesito come prevede l’articolo 138 della Costituzione e l’ho fatto col massimo zelo possibile: mi sono letto le proposte di modifica, ho cercato di comprenderne il senso e la portata, ho elaborato una mia valutazione – comprensiva di alcune riflessioni di carattere metodologico – e ho deciso di esprimere un voto contrario. La chiave di lettura di questo referendum si sarebbe potuta limitare a questo: il Parlamento propone una riforma costituzionale e il Popolo – che detiene la sovranità – la boccia, senza conseguenze sul piano politico e degli equilibri parlamentari e di Governo.  Non è andata così: la riforma – imposta con una certa protervia ad un Parlamento dubbioso e recalcitrante – è stata trasformata dal Presidente del Consiglio in un plebiscito sulla sua persona. Ad essa sono stati attribuiti  significati che andavano ben al di là della portata reale delle modifiche alla Carta costituzionale e si è fatta una propaganda eccessiva, arrogante e fuorviante a favore delle modifiche costituzionali. Il Governo ha messo in campo risorse enormi, ha occupato militarmente le TV di Stato come neppure Berlusconi aveva mai fatto, e ha spaccato in due il paese proprio sulla legge fondamentale dello Stato che, per definizione, dovrebbe essere frutto del più ampio accordo possibile, politico e sociale. Questa scelta scellerata ricade con enorme responsabilità su chi ha deciso questo azzardo. Un azzardo da giocatore senza scrupoli che prova ad alzare la posta e a far saltare il banco per accaparrarsi tutto. L’operazione non è riuscita, ma lascia comunque il Paese in una brutta situazione ed è troppo facile lavarsene le mani. Renzi fa bene a dimettersi, ma ci sono un Presidente della Repubblica e un partito che ha la maggioranza in Parlamento che hanno il dovere “politico” di indicare la strada per uscire da questo pantano. Ed è infantile pretendere che la soluzione la trovino gli altri, colpevoli di aver votato no. Gli altri non sono e non vogliono essere una coalizione. Non hanno progetti condivisi e non hanno fatto scelte comuni. Sono, per dirla con parole di Renzi, un’accozzaglia. Se il Presidente della Repubblica non trova le condizioni per proseguire la legislatura si dovrà tornare alle urne. C’è una brutta legge elettorale, anche questa imposta dal premier a colpi di fiducia e che lui stesso avrebbe voluto cambiare, “monca” visto che  nulla dice sull’elezione del Senato (sempre per l’arroganza che ne ha caratterizzato l’agire politico). Con un po’ di buonsenso e di disponibilità al dialogo se ne potrebbe fare una condivisa. Se non ci si riesce – e sarebbe un errore - si dovrà usare quello che c’è. I riformisti potranno costruire una coalizione il cui programma metta nero su bianco le proposte che si intendono portare avanti e puntare a quel 40% di elettori che aveva creduto alla bontà della riforma. Non è poco. Gli altri, se non vogliono restare a guardare, dovranno formulare proposte programmatiche alternative credibili. L’importante è voltare presto questa (brutta) pagina e ricominciare a fare politica (in questi casi si dice sempre “nell’interesse del paese”). Sarebbero da evitare piagnistei, accuse gratuite alla controparte e fosche previsioni da parte dei sostenitori del SI e inutili (e in alcuni casi ridicoli) trionfalismi da parte dei sostenitori del NO. La vera sconfitta di questa partita è stata l’arroganza e non serve sostituirla con l’arroganza di qualcun altro. Piuttosto bisognerebbe riprendere in considerazione un valore che in politica sta scomparendo: il rispetto degli altri, che non sono il demonio, ma qualcuno con cui è necessario dialogare e confrontarsi. La democrazia funziona così.

2 dicembre 2016

Bufale e altri animali misteriosi

La propaganda politica è spesso accompagnata da slogan fantasiosi, da informazioni ingannevoli e, purtroppo, da vere e proprie bufale. Nel turbine della comunicazione ultraveloce del terzo millennio qualunque falsa notizia venga lanciata in rete rischia di propagarsi in pochi istanti contribuendo ad avvelenare e intorbidire un dibattito che già non sta brillando per serietà e chiarezza di informazioni. Il vero problema è che non si possono mettere sui due piatti della bilancia bufale di dubbia provenienza che magari vengono rimbalzate con entusiasmo dai sostenitori fideistici di una o dell’altra parrocchia e bufale “istituzionali” provenienti da esponenti autorevoli e riconosciuti delle forze politiche e sociali in campo. Ad esempio gira una bufala a favore del NO sulla presunta perdita di sovranità che questa riforma costituzionale comporterebbe. Non so chi sia la fonte, ma di sicuro non è un’affermazione di Zagrebelsky, di Smuraglia o della Falcone. Quella bufala è una sciocchezza priva di fondamento e che alla fine rischia di danneggiare la credibilità di chi sta cercando di costruire l’opposizione a questa riforma basandosi sull’analisi puntuale dei suoi contenuti e sui possibili scenari che comporterebbe. Di peso ben diverso è invece la bufala sulla scheda elettorale del Senato. La fonte, in questo caso, è la più autorevole che il fronte del SI possa mettere in campo: il presidente del Consiglio, segretario del partito che propone la riforma (l’unico partito, tra quelli che si sono presentati alle politiche del 2013, a favore del SI), onnipresente imbonitore televisivo nella estenuante propaganda referendaria. In più è stata ripresa dal sito ufficiale del SI (www.bastaunsi.it), che ha addirittura dato una serie di spiegazioni decisamente fantasiose, indicando persino le modalità di elezioni dei senatori, quando la Costituzione (nuova) affida tutto ad una legge statale che ancora non esiste ed è davvero grave che qualcuno ne dia per certa una formulazione, prima ancora che passi dal Parlamento. Non è una caso che la legge costituzionale preveda una norma transitoria per la prima applicazione, completamente diversa da quella ipotizzata sul sito del SI. Il generoso tentativo di andare in soccorso di un premier in evidente affanno si rivela per quello che è - l'è peso el tacon del buso – una toppa peggiore del buco che cerca di coprire. Lo rivelano le numerose incongruenze: 1. La norma costituzionale, al comma 2 del nuovo articolo 57, afferma che “I consigli regionali e i Consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano eleggono, con metodo proporzionale, i senatori fra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno, fra i sindaci dei comuni dei rispettivi territori”. Sono i consigli ad eleggere, altrimenti il legislatore avrebbe usato un termine come “ratificare” o equivalente. 2. Al comma 5 si afferma che le elezioni devono essere fatte “in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi”. Una frase un po’ ambigua, sulla quale molti esperti hanno espresso delle perplessità, proprio per la sua difficile applicazione. In ogni caso il meccanismo indicato sul sito del SI sembra prefigurare un meccanismo bloccato, visto i candidati al senato sarebbero inseriti in collegi uninominali. Facile immaginare – visto che stiamo parlando di una legge tutta da scrivere – che attraverso le candidature multiple la scelta dei senatori potrebbe comunque essere fatta a monte dai partiti. 3. Se il nominativo del seggio uninominale non dovesse essere eletto in consiglio regionale, cosa conterebbe di più, la volontà popolare o l’incompatibilità tra un cittadino comune e il seggio senatoriale della nuova costituzione (in quella attuale l’incompatibilità è tra parlamentare e consigliere regionale, come cambiano le cose..)? 4. L’ultimo comma dell’articolo 57 ribadisce che il sistema elettorale è di secondo grado e afferma che l’attribuzione dei seggi avviene in ragione dei voti espressi e della composizione del consiglio regionale, riportando il potere decisionale in capo ai consiglieri regionali. 5. Nelle regioni che mandano un solo senatore-consigliere (quasi la metà), come si farà, visto che il voto disgiunto potrebbe attribuire il seggio senatoriale ad un consigliere regionale di opposizione e la maggioranza potrebbe – in linea teorica – non ratificare l’indicazione dell’elettorato? Chi decide? La Consulta?  6. E i sindaci? Come si fa a dire che i senatori sono eletti dai cittadini, quando un quinto dei componenti del Senato saranno sindaci? Come facciamo a metterli nella scheda elettorale? Se ne prevede un’altra (quindi una terza)? E quando il sindaco termina il mandato come fanno gli elettori ad indicare la propria scelta per le elezioni suppletive? Si indirà un’elezione con un collegio grande quanto la Lombardia per dare la possibilità ai cittadini di dare la propria indicazione ai consiglieri regionali (che potrebbero anche ignorarla, vedi punto 5)?

23 novembre 2016

L'azzardo costituzionale

Non bisognerebbe mai fare delle riforme sulle regole - che siano quelle elettorali o la Costituzione – basate sulla contingenza, e quindi sulla convenienza, di chi ha, in quel momento, i numeri per decidere (tralasciando valutazioni su come si siano ottenuti quei numeri). Questa riforma della Carta Costituzionale (unita alla legge elettorale imposta al Parlamento con il voto di fiducia) sembra invece frutto di un chiaro calcolo politico. In caso di vittoria del SI alle prossime elezioni per il Parlamento tutto sarà nelle mani di un solo partito, il cui consenso stimato si aggira intorno al 30 per cento.
Quel partito, in caso di vittoria (peraltro probabile) alle elezioni, avrà la possibilità di mettere una persona di fiducia alla Presidenza della Repubblica (prima carica dello Stato), una persona di fiducia alla Presidenza  della Camera (che col nuovo assetto diventa la seconda carica dello Stato), una persona di fiducia alla Presidenza del Senato (terza carica dello Stato), un numero compreso tra otto e dieci (bisognerà vedere come verranno gestiti i rapporti di forza nei due rami del Parlamento) persone di fiducia alla Corte Costituzionale (dove quindi avranno la maggioranza assoluta). Verranno pertanto occupati tutti i ruoli di garanzia e di controllo con buona pace di quell’equilibrio tra i poteri che è alla base delle sane istituzioni democratiche.
Quel partito, in caso di sconfitta, avrà comunque in mano il Senato e potrà rendere la vita piuttosto complicata al Governo perché avrà la possibilità di bloccare tutte le leggi per le quali rimarrà il bicameralismo paritario. Tanto per fare un esempio potrebbe bloccare la legge europea, col rischio di esporre l’Italia all’avvio di un rilevante numero di contenziosi e determinare un’instabilità politico-economica di cui il Governo sarebbe chiamato a farsi carico.

Sono certo che se questa operazione – strategicamente molto astuta – l’avesse condotta un Silvio qualunque adesso avremmo le piazze piene di persone preoccupate e indignate. Ora invece, buona parte di quelle stesse persone è impegnata a cercare di spiegare a me e ad altri gufi che in fondo questa riforma non è poi così male: del resto non sentivamo tutti l’insopprimibile esigenza di cancellare il CNEL?



Nota (scritta 24 ore dopo il post). Ad essere precisi per eleggere il Presidente della Repubblica la maggioranza dovrebbe contare, oltre all'ipotizzabile minore partecipazione al voto dei nuovi senatori, sulla collaborazione di qualche parlamentare di altri schieramenti. Sarà un numero di senatori sufficientemente esiguo da poter immaginare che si riusciranno a raggiungere facilmente "accordi politici" i cui contraenti trarranno sicuramente congruo vantaggio.

26 luglio 2014

#avevaragionesilvio

Che il nostro Paese stia vivendo un momento difficile, sul piano economico e sociale, mi sembra un dato difficilmente contestabile. Che questa difficoltà si superi con delle non meglio precisate riforme è possibile, ma tutt’altro che certo, anche perché – spesso – le riforme con cui si vorrebbe rilanciare l’economia, hanno il non trascurabile effetto collaterale di ridurre diritti e tutele. Che poi le riforme “necessarie” per risollevare le sorti dell’Italia siano quelle costituzionali è davvero tutto da dimostrare. Al di là della sua reale efficacia, lo spirito riformista sembra essere, chissà perché, un’intramontabile arma di seduzione di massa, brandita ogni volta con entusiasmo e convinzione e molte forze politiche e coalizioni hanno promesso ricette salvifiche basate su nuovi e più funzionali assetti del nostro sistema costituzionale. L’ultimo, in ordine di tempo, è l’attuale presidente del consiglio, Matteo Renzi, che sta spingendo la sua proposta di riforma costituzionale con una veemenza davvero incomprensibile. Sia per il discutibile contenuto della proposta, sia per il metodo con cui si sta procedendo: si usa la forza dei numeri, con una propensione al dialogo vicina allo zero e giustificando l’esigenza con affermazioni del tutto prive di fondamento. In questi giorni ho spesso sentito frasi del tipo “E’ il paese che ce lo chiede”. “Gli italiani stanno aspettando le riforme” e via discorrendo. A fare queste affermazioni non è il Presidente del Consiglio nominato a seguito di una indiscussa vittoria alle elezioni, alle quali la sua coalizione aveva portato un programma di governo che conteneva esattamente “questa” proposta di riforma costituzionale. Premesso che anche così io avrei le mie perplessità - ché le regole non le può scrivere una parte (ancorché vincitrice alle elezioni), ma devono essere ampiamente condivise (soprattutto in considerazione del fatto che le regole devono essere un elemento di garanzia per tutti) - l’attuale presidente del Consiglio “non” ha vinto le elezioni (ad essere precisi era uscito anche sconfitto alle primarie). Non le ha vinte il suo partito e non le ha vinte la sua coalizione. In più la sua coalizione non è compattamente in maggioranza, ma una parte (segnatamente SEL) è all’opposizione e contesta questa proposta di riforma. Il suo partito ha condotto una battaglia elettorale contro una coalizione (PDL), una parte della quale è entrata in maggioranza (quindi con buona pace delle proposte programmatiche di entrambi) e tutti, dico tutti, risultano eletti in forza di una legge elettorale dichiarata incostituzionale e con una ripartizione dei seggi alterata dal premio di maggioranza. Né l’ampia e indiscussa affermazione del PD alle elezioni europee può diventare il passepartout per fare qualunque cosa. Lo stesso Renzi aveva dichiarato – correttamente - che le europee non avevano una relazione diretta con la politica nazionale e che, in caso di insuccesso, avrebbe mantenuto la guida del governo.  Sicuramente il governo è stato rafforzato dall’ottimo risultato, ma questo non solo non lo rende onnipotente, ma non sana certo i numerosi vizi che ne hanno caratterizzato la genesi. In una situazione di questo tipo sarebbe comprensibile solo una riforma che metta d’accordo l’80 per cento del Parlamento. Non certo una riforma che si basa su un accordo segreto con un alleato quantomeno “imbarazzante” e che trova una ferma opposizione sia in una parte significativa dell’emiciclo, sia nel Paese (checché ne dicano Renzi e, purtroppo, i troppi media sensibili al potere).
Sempre a proposito del metodo, non dobbiamo dimenticare la precedente proposta di modifica costituzionale, che dieci anni fa un Berlusconi in gran spolvero (e corroborato da una solida maggioranza) impose con la forza al Parlamento, attirandosi le accuse e le critiche degli stessi che adesso usano le medesime armi per far passare le proprie scelte. Con la piccola differenza che Berlusconi le elezioni politiche le aveva vinte sul serio. Solo il referendum popolare permise la cancellazione di quella modifica costituzionale, così tanto criticata dall’allora centrosinistra. Quando Ciampi firmò la legge il coordinatore della segreteria DS, Vannino Chiti, dichiarò "Il fatto che il presidente della Repubblica abbia controfirmato la legge elettorale voluta dalla destra nulla toglie né alle critiche né ai rilievi che il centrosinistra ha sollevato né alle critiche severe di metodo" aggiungendo che "La destra, calpestando ogni regola di rapporto con l'opposizione si è confezionata una legge non pensando all'Italia ma ai suoi ristretti interessi".
Ma la critica era anche nel merito e se quella di Berlusconi era un attentato e quella di Renzi è la panacea di tutti i mali c’è qualcosa che non quadra. Perché, in tal caso, qualcuno deve avere cambiato idea, visto che adesso gli avversari dell’epoca sembrano andare d’amore e d’accordo. Proviamo a vedere alcuni punti della proposta, magari confrontandoli con quella di Berlusconi.
La prima differenza è all’articolo 55. Mentre Berlusconi riduceva il numero dei parlamentari in entrambi i rami del Parlamento - in ossequio alla bufala sui costi della politica, mentre la progressiva riduzione degli eletti è  soprattutto un taglio alla rappresentanza ed alla democrazia – lasciandoli entrambi elettivi, Renzi trasforma il Senato in un organo di rappresentanza di secondo livello, con l’evidente obiettivo di ridurre la rappresentanza diretta dei cittadini ed aumentare il potere degli eletti nelle autonomie locali (il suo ambito naturale di riferimento).  La logica è quella di avere pochi eletti con molte leve del potere e minori meccanismi di controllo. I doppi incarichi sono da sempre una delle più preoccupanti forme di inefficienza e creano sgradevoli cortocircuiti e conflitti di interesse. Chi svolge con scrupolo il proprio ruolo di eletto, anche se è un semplice consigliere comunale, non ha molto tempo per dedicarsi ad altro e una vera importante riforma sarebbe proprio quella di impedire i doppi incarichi. La riforma di Berlusconi prevedeva delle limitazioni, quella di Renzi, no.
Renzi lascia inalterato il numero dei deputati, mentre Berlusconi li avrebbe ridotti da 630 a 518. Come ho detto non mi entusiasma il principio, ma, sotto questo aspetto, quella riforma era più coerente. E addirittura riduceva l’età di eleggibilità a 21 anni. Un altro aspetto non disprezzabile della riforma berlusconiana era l’introduzione di una maggioranza qualificata per le modifiche regolamentari, proprio per evitare i colpi di mano di maggioranze prepotenti (ed è quello che dovrebbero pensare tutti quelli che si ritrovano ad avere in mano le leve del comando: una contrazione dei principi democratici potrebbe in futuro penalizzarli).
Per il resto, con modalità e meccanismi differenti, entrambe le riforme costituzionali puntano non tanto (o almeno non solo) alla governabilità – anche comprimendo i diritti dell’opposizione -, ma ad un quadro istituzionale verticistico in cui sempre meno persone decidono per tutti, il Parlamento viene ridotto ad un organo di ratifica delle decisioni assunte dal Governo e lo spazio per il dissenso (anche quello interno a partiti e coalizioni) e sempre più ristretto e soggetto a facili ricatti. Questo anche grazie ad una proposta di legge elettorale terribilmente simile a quella dichiarata incostituzionale che permette alle segreterie dei partiti di decidere i parlamentari.

Sappiamo che in politica si cambiano con una certa disinvoltura coalizioni ed alleanze e, con loro, si cambiano o, meglio, si ammorbidiscono idee e convinzioni. E il ventennio berlusconiano ci ha regalato un lento quanto inesorabile avvicinamento dei due schieramenti avversi e distanze che un tempo sembravano siderali adesso si sono praticamente annullate. Mi piacerebbe sentire solo qualcuno dei leader che dieci anni fa (un’era geologica in politica, mi rendo conto) tuonava contro la riforma costituzionale di Berlusconi (tra cui lo stesso Renzi, come evidenzia il Fatto di oggi) dire: "scusate, abbiamo sbagliato, in fondo le riforme di Berlusconi (e lo stesso Berlusconi) non erano poi così male", magari con un bell’hashtag: #avevaragionesilvio.

26 luglio 2013

Non nominate l'innominabile



Ho apprezzato molto l’intervento di Corsaro in difesa di un principio molto importante: quello che attribuisce ai parlamentari una piena libertà di espressione del proprio pensiero, a maggior ragione se questo pensiero viene manifestato nel luogo centrale della democrazia: il Parlamento. Corsaro ha sentito il dovere di fare questo intervento per contestare l’atteggiamento preventivamente censorio che la presidenza della Camera (e anche quella del Senato) stanno ponendo metodicamente in essere ai danni degli esponenti del movimento cinque stelle (per gli altri gruppi politici, a quanto pare, vige la libertà di espressione). Ecco il testo dell’intervento:

MASSIMO ENRICO CORSARO. Signor Presidente, il mio è un richiamo al Regolamento, precisamente sull'articolo 60, comma 3. Nel mentre, mi devo congratulare con il collega del MoVimento 5 Stelle, perché è riuscito ad ottenere, dalla parta di sinistra dell'emiciclo, esattamente la reazione che si era predeterminato di conseguire (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
  Vorrei segnalare, onorevole Presidente, che l'unico punto del Regolamento della Camera dei deputati in cui è citato il Presidente della Repubblica dice testualmente che il Presidente della Camera, nell'esercizio evidentemente del governo dell'Aula, può proporre la censura con interdizione di partecipare ai lavori parlamentari per un periodo da due a quindici giorni di seduta, se un deputato fa appello alla violenza, provoca tumulti o trascorre a minacce o a vie di fatto verso qualsiasi collega o membro del Governo o usa espressioni ingiuriose nei confronti delle istituzioni o del Capo dello Stato.
  Ora, bisogna che ci intendiamo, anche per sapere se veramente all'interno del Parlamento c’è una censura preventiva rispetto ad alcuni atti o ad alcune figure, che pure nella quotidianità della politica hanno un peso e un rilievo sostanziale (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). È assolutamente fuori di dubbio, onorevole Presidente, che non solo nei compiti istituzionali del Presidente della Camera, ma nell'interesse di tutti i parlamentari per la tutela della credibilità delle istituzioni, si debba stigmatizzare, colpevolizzare e sanzionare chiunque manchi di rispetto con atti e con pronunciamenti ingiuriosi nei confronti del Capo dello Stato, e siamo i primi a difendere e tutelare la sacralità delle istituzioni. Ma citare in un'argomentazione politica le posizioni assunte o più ancora le dichiarazioni virgolettate del Capo dello Stato, che, giustamente e legittimamente, nella quotidianità politica, non fa mancare la sua voce, il suo peso e la sua determinante sensibilità, credo che non possa essere espunto dalla corretta quotidiana valutazione e confronto politico tra le parti (Applausi dei deputati dei gruppi Fratelli d'Italia e MoVimento 5 Stelle)!
  Quindi, bisogna che ci chiariamo, signora Presidente, una volta per tutte, se c’è qualcuno che ha diritto a non essere citato, ma che quotidianamente fa parte della politica con le sue legittime argomentazioni, e ci deve essere spiegato perché, e, se è così, la prego di indire puntualmente la convocazione di una Commissione per la modifica del Regolamento, in cui si scriva che il Presidente della Repubblica non può essere nominato, perché questo non fa parte dell'attuale Regolamento (Applausi dei deputati dei gruppi Fratelli d'Italia e MoVimento 5 Stelle).

Intervento ineccepibile, ma la Boldrini non ci sta e replica così:

  PRESIDENTE. La ringrazio. Credo che la Presidenza abbia agito correttamente, lei vada a vedere il verbale e poi faremo le dovute conclusioni.

“Vada a vedere il verbale” afferma dunque la Boldrini, facciamolo. Colletti a un certo punto inizia a muovere una ferma critica al comportamento del Presidente della Repubblica, usando l’arma dell’ironia, cosa avvenuta decine di volte in passato, senza che nessuno abbia avuto nulla da eccepire su presunte offese al capo dello Stato. Vediamo un passaggio dell’intervento.


ANDREA COLLETTI. Ho presentato un emendamento – giustamente dichiarato inammissibile dalla Presidenza, ma lo sapevo già – in cui finanziavo la Presidenza della Repubblica con 70 mila euro. Lo finanziavo al fine di contrattualizzare un docente di diritto costituzionale che potesse vagliare la costituzionalità dei decreti-legge. Eh sì, perché ci sono dei requisiti per poter firmare un decreto-legge, è la Costituzione che lo dice, e allora colui che firma ed emana questi decreti-legge deve ricordarsi che la penna con la quale firma la deve intingere nell'inchiostro della Costituzione. (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Ed invero, ed invece, l'attuale Presidente della Repubblica, che in realtà funge anche da Presidente del Consiglio dei ministri e forse anche da capo indiscusso del PD e del PdL, dovrebbe rileggersi questo libello, è proprio qui, glielo possiamo anche regalare (mostra copia della Costituzione) e capire che non siamo una monarchia costituzionale con a capo re Giorgio I, ma siamo in una Repubblica parlamentare…

Certo la critica è evidente, ma non sembra trascendere nell’insulto. La Boldrini però si inalbera subito  (applaudita dai gruppi di maggioranza, sempre più in sintonia)…

 PRESIDENTE. No, però lei non può parlare così del Presidente della Repubblica, lei lo sa questo. Ne abbiamo già discusso in altre occasioni.
(Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Popolo della Libertà, Scelta Civica per l'Italia).

Colletti cerca di difendere il suo diritto ad esprimere la propria opinione.

ANDREA COLLETTI. Perché no ? È scritto nella Costituzione: Repubblica parlamentare.

Niente da fare, la Boldrini fa un’affermazione che non ammette replica, anche se è una pura falsità.

PRESIDENTE. Sì, però lei sa che non può chiamare in ballo il Presidente della Repubblica e anche questo fa parte del Regolamento.

Insomma, secondo la Boldrini il Regolamento affermerebbe che il Presidente della Repubblica non possa essere “tirato in ballo”. Non è scritto da nessuna parte sul regolamento e qualcuno dovrebbe informarla. Colletti prova a continuare, affermando che non lo nominerà più…

ANDREA COLLETTI. Allora non lo chiamerò.

PRESIDENTE. D'accordo, la ringrazio di questa cortesia.

ANGELO CERA. Non è cortesia !

(L’appello alla correttezza istituzionale è di Angelo Cera, il gentiluomo che qualche settimana prima aveva apostrofato con “Coglione“, “mezzo coglione”, “paraculo“, “ti do un pugno che ti ammazzo“. un altro deputato del Movimento cinque stelle.)


ANDREA COLLETTI. Allora non lo chiamerò, dirò l'innominabile.
(Proteste dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Scelta Civica per l'Italia)

ANDREA COLLETTI. E noi rimarremo qui giorno e notte per .....
(Proteste dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Scelta Civica per l'Italia)

Probabilmente condizionata dalle proteste dei deputati PD la Boldrini censura nuovamente Colletti, reo, a questo punto, solo di un riferimento al presidente della Repubblica.

PRESIDENTE. Lo abbiamo già richiamato. Ho già richiamato il collega Colletti a non tirare in ballo il Presidente della Repubblica, l'ho esortato a non farlo. Prego continui.

Colletti però prosegue…

ANDREA COLLETTI. Grazie Presidente. Ed allora, invece di fare ogni tanto un monito con il ditino alzato, l'innominato, dovrebbe ogni tanto anche guardarsi allo specchio e ricordo....(Proteste dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Scelta Civila per l'Italia)

Nuovo richiamo della Boldrini che minaccia di levargli la parola…

PRESIDENTE. Se lei continua io sono costretta a toglierle la parola

Colletti si scusa e prosegue, pur esprimendo le proprie perplessità…

ANDREA COLLETTI. Mi perdoni, non ho nominato nessuno (Proteste dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Scelta Civica per l'Italia), mi scusi non ho nominato nessuno, ho solo citato un libro che dovrebbe conoscere, un personaggio delle favole, quasi. Ad ogni modo non lo nominerò più, non si preoccupi, non so neanche chi sto nominando in realtà, quindi non posso nominare chi non ho nominato......

Ancora la Boldrini lo invita ad usare un modo “appropriato”:

PRESIDENTE. Continui in un modo appropriato

Colletti dunque prosegue il proprio intervento

ANDREA COLLETTI. Ebbene, già nel marzo 2012, ho letto un richiamo al precedente Governo all'uso della fiducia solo per giustificabile necessità per tutelare le prerogative del Parlamento ed ha assicurato una stretta sorveglianza dei presupposti per l'emanazione di ulteriori decreti-legge.
(Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle)
Ora forse dovremmo far rileggere queste dichiarazioni a tutta l'Aula ma anche a tutte le Istituzioni. E qui mi richiamo a un'altra citazione: «siamo ormai al Governo che espropria il Parlamento, compresa la sua maggioranza, così non si può andare avanti, in pratica siamo al sostanziale commissariamento del Governo e del Parlamento» lo dice l'illustre esponente democratico Gianclaudio Bressa, non noi. E quindi questo commissariamento va bene quando c’è un vostro Governo e va male quando c’è un Governo degli altri ? Questa si chiama ipocrisia istituzionale (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
Allora, noi siamo qui, da quarantott'ore, forse di più, saremo qui anche dopo per tutelare anche i parlamentari della maggioranza affinché si rendano conto che possono anche non essere solo dei meri passacarte, altrimenti che ci stanno a fare qui ?

La Boldrini proprio non vuole sentire critiche alla maggioranza e interrompe nuovamente Colletti, stavolta senza nemmeno appellarsi a qualche norma regolamentare. Diciamo che trova semplicemente di cattivo gusto criticare i parlamentari di maggioranza. Non sta bene. Non è elegante.

PRESIDENTE. Però perché bisogna sempre passare per questo tipo di considerazioni ? I parlamentari sono qui per svolgere le loro funzioni, ognuno in un modo che ritiene opportuno, d'accordo ? Ognuno nel proprio modo, non c’è bisogno sempre di sottendere...

Colletti stavolta proprio non ci sta…

ANDREA COLLETTI. Mi perdoni Presidente, ma non si può criticare in questa Aula, a quanto pare?

PRESIDENTE. Si , ma...

ANDREA COLLETTI. E allora mi faccia criticare...

PRESIDENTE. Si, però sono ore e ore di critiche in questo senso. La prego.

A quanto pare è un problema quantitativo, cinque, dieci minuti di critica, va bene, ma qualche ora proprio no…

ANDREA COLLETTI. E ce le meritiamo tutte le critiche !

PRESIDENTE. Colleghi, per favore, lasciamo concludere. Prego, vada avanti e si astenga per quanto possibile da questo tipo di considerazioni.

Alla fine, bontà sua, concede a Colletti la possibilità di concludere, esortandolo, però, “ad astenersi da quel tipo di considerazioni”… quale tipo, di grazia?

Lascio, senza ulteriori commenti, il resto dell’intervento di Colletti, molto disturbato dai deputati della maggioranza, nei confronti dei quali la Boldrini è molto più tollerante e si limita solo ad un “la prego” verso il più intemperante dei contestatori… Non credo serva aggiungere altro.

ANDREA COLLETTI. Dalle critiche non mi posso astenere e neanche dalle considerazioni, visto che siamo qui per questo, per fare le nostre considerazioni e valutazioni (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

Ebbene, porre la questione di fiducia è la dimostrazione della divisione di questa maggioranza. Forse i colleghi del Partito Democratico dovrebbero pensare meno al congresso e di più al bene del Paese (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle – Proteste del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Colleghi, colleghi, per favore lasciatelo concludere. Colleghi, per favore, comportatevi in un modo adeguato a quest'Aula (Il deputato Fiano si avvicina ai banchi del gruppo MoVimento 5 Stelle) ! Onorevole Fiano, la prego, la prego, ritorni...

EMANUELE FIANO. Se me lo dice lei, si.

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Fiano. Colleghi, per favore, abbiate la compiacenza (Commenti)... Non è un bello spettacolo, posso assicurarvi. Basta ! Basta ! D'accordo, basta !

ANGELO CERA. Presidente, lei è inadeguata !

PRESIDENTE. La richiamo all'ordine, onorevole Cera ! Cera, la richiamo all'ordine ! Si contenga ! Siamo alle dichiarazioni di voto, adesso, è in corso una dichiarazione di voto, può continuare per favore ? Continui !

ANDREA COLLETTI. Grazie, Presidente (Commenti).

PRESIDENTE. Colleghi, vi prego, lasciamo continuare l'intervento.

ANDREA COLLETTI. Dopo questo indecente teatrino, spero di avere il tempo che mi è stato sottratto da alcune «lievi» proteste (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle – Proteste dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Allora, possiamo lasciare continuare ? Prego, vada avanti.

ANDREA COLLETTI. Ebbene, ho una proposta da fare al Governo. Che il Governo magari, anche con dei decreti-legge, pensi forse a fare un decreto-legge sul congresso del PD o di Forza Italia 2.0 (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle – Proteste dei deputati del gruppo Partito Democratico) e faccia meno decreti-legge per il Paese, visto che ogni volta che fa un decreto-legge fa solo danni.
Ed ora, anche collegato al nostro comportamento qui sul decreto del fare al nostro ostruzionismo (o «costruzionismo»), vorrei dire che, se davvero credete che potete modificare la Costituzione a vostro uso, abuso e consumo, allora forse non avete capito che noi saremo qui, giorno e notte, a difendere la Costituzione (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle – Applausi polemici dei deputati del gruppo Partito Democratico) !
E la forza di essere qui ogni giorno a lottare per la nostra Carta costituzionale e per la nostra Repubblica (Commenti) ci è data dal fatto che lottiamo per una causa giusta, perché ci mettiamo passione nelle cose che facciamo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) ! Non ci fermeremo e non indietreggeremo mai per il bene del Paese, della collettività e della Repubblica italiana (Commenti) !

E per ultimo vorrei dire: caro Matteo, vinciamo noi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) !


9 novembre 2012

Diffamazione: difendere un principio o una categoria?



Mi dicono che sulla bacheca del presidente dell'ordine dei giornalisti è apparso un appello per raccogliere dati sulle querele e citazioni in giudizio per diffamazione.




Ho deciso di mandargli questa mail.






Gent.mo Enzo Iacopino,

Su internet gira un suo appello per raccogliere dati di querele/citazioni per diffamazione. Mi piacerebbe rispondere alla sua richiesta. Nei miei confronti è stata annunciata, a mezzo stampa, una querela (peraltro mai vista) e sono stato citato in giudizio per una richiesta di risarcimento danni. E’ successo per aver scritto un articolo su un foglio di informazione locale (tra l’altro denunciato per “stampa clandestina”) in merito al rilascio di un permesso di costruire, sulla cui legittimità avevo espresso alcune perplessità. La controparte è il potentissimo sindaco di un piccolo comune e ha pensato bene di chiedermi 50mila euro. Impensabile fare politica a livello locale con simili “minacce”. Temo, però, che il mio caso possa non interessarle. Non ho scritto su una testata giornalistica (del resto non è facile trovare giornali registrati che si occupano di alcune questioni locali) e non sono un giornalista. Quindi, la sacrosanta battaglia per la difesa di alcuni principi potrebbe, paradossalmente, diventare classista. Anzi - se dovesse passare il meccanismo che tutela i giornalisti professionisti escludendo per loro l’ipotesi di pene detentive, ma solo sanzioni pecuniarie - le “classi” diventerebbero tre. Al livello più basso i semplici cittadini, magari impegnati in difficili lotte su temi ambientali, sociali, culturali e per i diritti, che sarebbero privi di ogni forma di tutela. Poi ci sarebbero i giornalisti “sfigati”, quelli che scrivono per piccole testate oppure portano avanti faticosamente giornali locali di approfondimento e inchiesta. Senza sponsor e senza finanziatori. Loro non potrebbero certo permettersi contenziosi legali e risarcimenti milionari e sarebbero costretti ad una certa cautela. Infine ci sarebbero i giornalisti alla Sallusti (mi perdoni la semplificazione antonomastica). Con le spalle coperte da ricchi editori, non avrebbero problemi a portare avanti campagne realmente denigratorie. Qualcuno disposto a pagare il “disturbo” lo troverebbero sicuramente. Mi piacerebbe che la vostra battaglia – che condivido e appoggio a prescindere – fosse a tutto tondo per la difesa dell’articolo 21 della Costituzione. Se desidera, le mando i miei “dati” per la sua indagine. Altrimenti, grazie comunque per l’attenzione.


Tullio Berlenghi

Alle colonne d'Ercole

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La mia ultima avventura