8 giugno 2016

Ma dove vai, bellezza in bicicletta?

“Ma guarda ‘sta deficiente!”. Roma, 7 giugno 2016, ore 18 e 50, via Cernaia, il traffico è reso più caotico del solito da una pioggia piuttosto intensa. In effetti l’avevo già notata, la "deficiente": era appena ripartita dopo l’incrocio e la guardavo un po’ preoccupato perché i motorini la superavano a destra e a sinistra rischiando di farle perdere l’equilibrio. Arrivata in prossimità della fermata dell’autobus commette l'imperdonabile errore per il quale l’autista dell’autobus dove mi trovo io pensa bene di riempirla di insulti. L’autobus che ci precede è fermo e lei all'inizio si sposta a sinistra con l’intenzione di superarlo ma, nel momento in cui si rende conto che l’autobus sta ripartendo e non farebbe in tempo a sorpassarlo, decide di attendere per poi rimettersi a destra. L’energumeno che guida il mio autobus non gliela perdona e, insieme agli insulti, compie una manovra tanto pericolosa quanto inutile, infilandosi in velocità tra lei e il marciapiede in uno spazio di appena pochi centimetri più largo per poi frenare bruscamente alla fermata e aprire le porte.

Nei pochi chilometri di tragitto da largo Chigi a qui avevamo incontrato, nell'ordine, diverse automobili che percorrevano allegramente la corsia preferenziale, un’automobile privata che aveva pensato bene di parcheggiare (con le quattro frecce lampeggianti, però) alla fermata di via del Tritone per far scendere una signora esattamente di fronte al negozio scelto per lo shopping, un non meglio quantificato numero di automobili, furgoni, scooter parcheggiati in doppia e tripla fila su via Barberini, per oltrepassare i quali sono stati necessari dieci minuti di attesa, un autobus turistico fermo, sempre in doppia fila, in via Vittorio Emanuele Orlando per caricare un gruppo di visitatori della città eterna e relativi bagagli (e noi sempre lì in rassegnata attesa). Fino a quel momento il Charles Bronson dell’ATAC non aveva dato alcun segno di disappunto per il consistente numero di violazioni del codice della strada che, oggettivamente, avevano contribuito ad aumentare il tempo di percorrenza della vettura n. 7698 della linea 492. Solo alla vista della ciclista si è materializzata in lui l’incontenibile esigenza del rigoroso rispetto della sua personale interpretazione delle norme che regolano la circolazione stradale. Un’interpretazione in base alla quale, suppongo, che essere donna e alla guida di una bicicletta siano due colpe di estrema gravità. In effetti neanche io saprei dire cosa sia peggio.

2 giugno 2016

Sensi di colpa

Cosa si prova di fronte allorrore di una ragazza barbaramente uccisa da chi probabilmente sosteneva di amarla o, quantomeno, di averla amata? Rabbia? Indignazione? Frustrazione? Impotenza? Angoscia?

Sì, è più o meno questa la gamma di sensazioni che ci pervadono quando arriva una notizia così. A me, inevitabilmente, si aggiunge qualcosaltro: il senso di colpa. In qualche misura mi sento responsabile anche io. Einsensato? Solo apparentemente.

Ricordo perfettamente il mio stato danimo dopo aver visto film come Schindler's List o Balla coi lupi. Al netto dello strazio emotivo di quelle pellicole, io avvertivo una incomprimibile sensazione di corresponsabilità «sineddochica». Come italiano per il fattivo contributo del mio paese alla persecuzione e allo sterminio degli ebrei, come europeo/occidentale per il massacro e genocidio delle popolazioni indigene americane, come essere umano per il cruento saccheggio degli ecosistemi e della biodiversità.


Poi leggo di Sara, una ragazza di 22 anni, strangolata, cosparsa di alcol (o benzina) dallex fidanzato e bruciata solo perché voleva decidere da sola della sua vita. Il senso di colpa per loccasione è come appartenente al genere maschile, mediamente incapace di distinguere tra amore e smania di possesso. Finché continueremo a pensare che il problema sia dei singoli, degli individui, di quelle miserabili teste di cazzo che non sopportano lidea che la “propria” donna in realtà sia semplicemente una persona, sulla quale non possono rivendicare alcun diritto di proprietà, saremo ben lontani dal trovare una soluzione. Il problema non è di alcuni maschi. Il problema è nella cultura maschile, una cultura ancora adesso intrisa di violenza e sopraffazione. La stessa cultura che porta altri miserabili a pronunciare frasi del tipo “difendiamo le nostre donne”, come se con noi, maschi italiani, fossero al sicuro. Eppure in Italia le donne uccise dalla violenza di genere (per tacere di quelle vittime di violenza psicologica, molestia, stupro) - una ogni due giorni - sono, per la stragrande maggioranza dei casi, vittime dei propri mariti, compagni, amanti, padri. Normalmente italianissimi e spesso persone socialmente e professionalmente affermate. No, il problema continuiamo ad essere noi maschi e la nostra vulnerabilità. Sembra un paradosso, ma è proprio la nostra debolezza - non fisica, per carità, ché ci sentiamo tanto virili (da vir, uomo, etimologicamente vicino a vis, forza) - a renderci così pericolosi. Noi maschi dobbiamo esserne consapevoli, dobbiamo sentirci in colpa per ogni Sara, dobbiamo iniziare a chiedere scusa e, soprattutto, dobbiamo essere parte attiva in un cambiamento culturale che ci porterà a non dover più chiedere scusa a Sara e alle altre donne vittime della “nostra” violenza.

Alle colonne d'Ercole

Alle colonne d'Ercole
La mia ultima avventura