31 ottobre 2012

Due o tre cose su Di Pietro e Travaglio


Quando leggo i giornali cerco sempre di non perdermi gli articoli dei giornalisti che stimo e dei quali so che, con molta probabilità, condividerò l’opinione e l’analisi. Faccio un paio di nomi: Michele Serra e Marco Travaglio. Sono due straordinari giornalisti. Spesso mi capita, soprattutto con l’amaca di Serra, di leggere esattamente il mio pensiero, scritto – decisamente meglio – da qualcun altro. In questi casi mi sento combattuto tra il piacere di questa “sintonia” e il timore di perdere (o aver perso) la mia autonomia di pensiero. E’ Serra che la pensa come me o sono talmente influenzabile dal fare mie le sue opinioni? Quando capita, quindi, di non trovarmi d’accordo mi sento sollevato. Ah. Meno male. La mia indipendenza è salva. A salvare il mio ego oggi è stato l’editoriale di Travaglio sulla vicenda Di Pietro. L’analisi di Travaglio mi è sembrata un po’ debole, nonostante la sua proverbiale bravura nell’usare la penna, ed influenzata da una sorta di pregiudizio positivo nei confronti di Di Pietro.
La tesi di Travaglio sta prevalentemente nel circoscrivere gli episodi in cui è coinvolto Di Pietro al solo ambito giuridico, evitando, o quasi, di dare un giudizio etico o politico a comportamenti di per se discutibili proprio sotto questo aspetto. Spero che finisca presto questa situazione in cui il principale discrimine di valutazione “politica” è il codice penale, archiviando come marginale tutto ciò che non abbia rilevanza penale. Non può e non deve essere così. Un elettore dell’Italia dei Valori – come di molti altri partiti, a parte Forza Italia – si aspetta qualcosa di più, spero, del semplice rispetto delle leggi. Perché anche aggirare le leggi è lecito e, in caso di indagini, la magistratura sarà costretta ad archiviare.
Faccio un esempio molto pratico. Il finanziamento pubblico dei partiti, nel momento in cui viene erogato ed entra nella disponibilità delle forze politiche, diventa soggetto a norme di tipo privatistico e sarà il partito a decidere come spendere quei soldi. Se, per ipotesi, la Lega Nord decide di pagare macchina e autista al figlio del segretario del partito, non è che ci si possa fare molto. Se sta bene alla dirigenza, agli iscritti e agli elettori che con i soldi pubblici si scarrozzi il pupo del capo, nulla da eccepire. Almeno sul piano giuridico. Lo stesso discorso vale per alcune delle operazioni fatte da Di Pietro. Le quali, come ha evidenziato Travaglio, sono probabilmente tutte legittime, ma rimangono decisamente discutibili – almeno dal mio punto di vista - sul piano dell’opportunità. E il giustificazionismo di Travaglio proprio mi sfugge. Proprio lui che, per dare forza ai numeri mette sullo stesso piano indagati, imputati e condannati. A prescindere dal reato, come se si potesse considerare allo stesso modo un condannato in via definitiva per mafia e, ad esempio, il sottoscritto che è stato sottoposto ad indagine per “stampa clandestina”e per “diffamazione”.  In questo caso invece si tiene conto solo dell’esito di alcuni procedimenti penali che hanno visto imputato Antonio Di Pietro. E dai quali è uscito candido come la neve.  Perfetto. Sono contento per lui. Anche sulla questione della donazione Di Pietro ha scelto – legittimamente – di intascarsi i soldi (del resto non aveva un partito a cui darli). Lo stolto è stato Romano Prodi che, pur non avendo un partito, ha girato le risorse alla coalizione che poi l’avrebbe sostenuto (Prodi si è candidato nel 1996, un anno dopo la donazione). Così come non c’è nulla di illecito nel far gestire tutte le risorse del partito ad una triade composta da marito, moglie e l’amica di famiglia. Proprio nulla. Anzi, in questo modo si circonda di persone di assoluta fiducia. Del resto è vero che quando ha provato a riporre fiducia in altri è andato incontro a molte delusioni. Penso a De Gregorio, Scilipoti, Maruccio, Razzi. La differenza tra me e Travaglio sta tutta qui. Per lui l’unico peccato, veniale, di Di Pietro sono state queste scelte e, forse, la poca trasparenza. Per me un partito incapace di scegliere la propria classe politica e privo – in sostanza – di una vera democrazia interna, non è esattamente l'ideale. Sarò choosy, ma sono convinto che si possa fare di meglio.

30 ottobre 2012

E' arrivato l'uomo nero


L’uomo nero. Non credo sia mai capitato, nella pur breve storia repubblicana, un processo di demonizzazione così feroce nei confronti di un interlocutore politico “nuovo”. Almeno negli ultimi vent’anni ne ho visti nascere tanti. Quasi sempre sono stati accolti con una certa preoccupazione. Spesso sono stati derisi e ostacolati. Ma mai, proprio mai, ho visto una serrata così compatta e unanime, da destra a sinistra, come nei confronti di Grillo e del Movimento Cinque Stelle. Al quale non si sconta nulla di ciò che invece – e in modi e misure di gran lunga peggiori – è stato facilmente perdonato ad altri. E’ un enorme segnale di debolezza. Certo, Grillo fa molta demagogia. Ma chi non l’ha mai fatto prima di lui? E’ una delle armi “facili” di chi non ha – ancora, almeno – in mano le leve del potere. E’ indubbiamente più facile criticare quando non si hanno responsabilità. E lo hanno fatto tutti. A cominciare da Berlusconi, il quale, pur avendo tratto enormi benefici personali dalla degenerazione del sistema partitocratico degli anni ’80, si è accreditato come il castigatore dei partiti, la società civile che “scende in campo” contro i professionisti della politica. E quanti di coloro che adesso stigmatizzano il populismo di Grillo sono saltati lesti sul carro del sogno berlusconiano per elemosinare poltrone, incarichi e potere.
Quanti partiti sono nati come alternativi al sistema e portatori di un cambiamento? Più o meno tutti hanno avuto credito e attenzione, almeno in un lato dello schieramento, come possibili partner di alleanze elettorali. Perché Berlusconi sì? Perché la Lega sì? Perché l’Italia dei Valori sì? Forse perché in tutti loro si è visto un interlocutore possibile. Qualcuno con cui, alla fine, si parla lo stesso linguaggio e si trova una possibile intesa.
Grillo e il Movimento Cinque Stelle no. Loro preoccupano, spaventano, intimoriscono. Ho sentito proprio queste parole: “Grillo mi fa paura”. Perché? Non si sa. Magari si condivide in parte quello che dice, ma no, lui non va bene. Troppo “estremista”. Il linguaggio, ad esempio. Il linguaggio cialtrone, offensivo e razzista della lega è stato tollerato. Quello di Grillo, no. Dov’è la differenza? La differenza – per il momento – è che la Lega, una volta arrivata alle poltrone, è subito diventata più malleabile. Si teme forse che Grillo potrebbe non essere sufficientemente “ragionevole”? E’ questo il problema?
Trovo poco “politico” questo atteggiamento di chiusura preventiva. Un conto è una forza politica dichiaratamente antidemocratica - penso ai vari gruppi di simpatie neonaziste, con le quali, peraltro, da alcuni il dialogo è stato trovato senza troppi problemi - un conto è una forza politica che ha semplicemente delle proposte ed un consenso. Rifiutare il confronto e il dialogo palesa solo un’ingiustificabile immaturità politica, un’insensata paura della “diversità”.
Faccio una precisazione. Non faccio parte del Movimento Cinque Stelle. Ne ho seguito la storia fin dalla sua nascita, con rispetto e con simpatia. Ho apprezzato alcune scelte (soprattutto sui temi ambientali). Ne ho giudicate altre un po’ superficiali e finalizzate alla sola ricerca del facile consenso. Altre le ho considerate difficilmente compatibili con la mia formazione culturale e politica. Ho il timore che le decisioni si basino troppo sul pensiero del suo leader indiscusso e che questa democrazia assoluta in realtà nasconda un meccanismo verticistico, nel quale gli aderenti hanno ben poco potere di incidere sulle scelte “reali” del partito. Poi mi sembra manchi una visione di insieme e che qualche volta la linea politica segua più gli umori del suo leader che una attenta e ponderata valutazione delle problematiche da affrontare (un po’ come le note esternazioni di Berlusconi, capace di cambiare idea dal mattino alla sera e di ricambiarla al mattino successivo, con tutto il codazzo dei miracolati sempre pronto a sostenerlo in queste sue acrobazie della logica e del buonsenso). Questo non basta, a mio avviso, ad avere una preclusione pregiudiziale nei confronti del Movimento Cinque Stelle, la cui “ragione sociale” è meritoria e apprezzabile. In parte è la stessa di Italia dei Valori, che però ha miseramente fallito la sua mission e ha perso ogni residua credibilità. Non bisogna averne paura, ma confrontarsi. E anche loro, ancorché “zitelle acide” (la definizione è la loro) farebbero bene a cercare sempre il dialogo, che è il sale della politica. E loro sono “politica” (l’antipolitica non esiste) nell’accezione piena (e mi auguro positiva) del termine. Sono chiamati ad un ruolo importante e di grande responsabilità. Spero sinceramente che non deludano la fiducia e la speranza guadagnate e che facciano quello che i cittadini si aspettano dai propri eletti: mettersi al servizio del paese. Possibilmente senza salire su un piedistallo.  E magari senza insultare tutti quelli che hanno la sola colpa di avere iniziato ad occuparsi di politica prima di loro. Scopriranno, magari con un pizzico di stupore, che c’è qualche brava persona anche lì. Anche se eletti con un altro simbolo. Non serve, in questo momento, ostentare complessi di superiorità. Adesso serve la volontà e, soprattutto, la capacità di mettere in pratica quella buona politica che in tanti hanno predicato prima di loro e che mai – salvo rare eccezioni – sono stati capaci di attuare concretamente.  Ai “grillini” l’onere della prova. Adesso a Pavia e in Sicilia, tra poco nel Lazio, in Lombardia e nel Parlamento italiano. Spero sinceramente in un miglioramento. Per il momento, buona fortuna.

26 ottobre 2012

Salviamo palazzo Giuliani


La voce circolava da tempo. Qualche esponente della maggioranza l’aveva già ipotizzato: di fronte allo sconquasso dei conti, l’unica è vendere – almeno in parte – il proprio patrimonio. L’immagine non è confortante. La sensazione è quella di vedere un casato nobiliare in declino, che per sopravvivere è costretto a vendere l’antico palazzo di famiglia, quello sul cui frontone è scolpito lo scudo araldico. Uno dei luoghi simbolo della storia di Labico è Palazzo Giuliani e, probabilmente, sarà lui ad essere sacrificato. In diritto, quando si vuole attribuire ponderatezza e responsabilità a chi amministra un bene che non gli appartiene (ed è il caso degli amministratori pubblici) si usa la locuzione “diligenza del buon padre di famiglia”, ad intendere che il rispetto e la cura nei confronti della res publica devono essere i medesimi che avrebbe appunto il “buon padre” nei confronti delle proprietà di famiglia. E’ suo preciso interesse, come persona e come genitore, garantire che quei beni siano utilizzati correttamente e in modo da preservarne il più possibile valore e funzionalità. E la decisione di alienare uno dei beni di famiglia ha senso quando quel bene non serve e il ricavato può servire ad acquistare qualcosa di utile oppure quella vendita serve a risolvere problemi importanti, ma con la consapevolezza che per la famiglia sarà un danno e le future generazioni saranno private per sempre di quel bene. Ma se per un padre le “future generazioni” altro non sono che i figli e i nipoti, per un amministratore con pochi scrupoli le future generazioni sono un concetto astratto, che tra l’altro neanche vota, e quindi non si preoccupa certo di tutelarle. D’altronde, un amministratore coscienzioso non ci avrebbe portati nell’incredibile situazione in cui ci troviamo, con i conti pubblici allo sfascio e il sindaco che ha il coraggio di affermare che “in questo bilancio i cittadini non pagheranno in più per il problema del depuratore”, smentendo il fatto che proprio il documento di bilancio approvato annuncia – pur con estrema vaghezza – un costo che si aggira tra i due e i tre milioni di euro. E se non saranno – non tutti almeno – contabilizzati nel 2012 questo non significa che i cittadini non saranno chiamati a pagare. Che poi Galli si lamenti dei continui tagli degli ultimi Governi – peraltro da lui sostenuti – non cambia di una virgola il problema ed è meglio ricordarlo. La magistratura ha riscontrato il malfunzionamento dei due impianti di depurazione e ne ha disposto il sequestro. Chi ha la responsabilità di un’infrastruttura fognaria e di depurazione che non funzionano? Perché Galli e compagnia cantante continuano a parlare dell’emergenza depuratori come se a Labico si fosse abbattuto un meteorite? Sono talmente tante le anomalie in tutta la vicenda – e noi le abbiamo evidenziate in modo molto circostanziato – da non potersene lavare le mani con tanta disinvoltura.
Ad aggravare la situazione c’è, ad adiuvandum, un’inveterata incapacità di amministrare la cosa pubblica e gli sprechi a Labico non si contano. Pensiamo al fallimento della raccolta differenziata, che non sembra aver prodotto alcun vantaggio in termini di quantità di rifiuti conferiti in discarica, ma il cui costo è aumentato (dal 2008 ad oggi) del 60 per cento. Pensiamo alle cosiddette opere pubbliche, che a Labico sono una continua emorragia di denaro pubblico, dalla finta ciclabile da 200mila euro (ma in bilancio ce ne sono altri 700mila) all’operazione Eiffel per la quale stiamo pagando le rate di un mutuo per avere acquistato della ferraglia di cui il comune non ha neppure il possesso. Pensiamo ai soldi buttati per il progetto ASI, che per fortuna siamo riusciti a fermare, e a quelli per i vari sportelli dai quali non si è mai avuto alcun beneficio per la collettività. Potrei andare avanti per pagine, ma non è il caso di sparare sulla croce rossa. La questione è un’altra, siamo in mano ad una classe politica che gestisce la cosa pubblica – nella sua complessità, dalle risorse economiche al territorio alle infrastrutture ai beni immobili – con una sciatteria sconfortante. Molto è lasciato al degrado e all’abbandono, proprio perché manca quella “diligenza del buon padre di famiglia” che chiunque abbia in affidamento un bene che non gli appartiene sarebbe in grado di usare. A chi amministra Labico manca del tutto questa sensibilità. E non hanno avuto alcuno scrupolo ad inserire, nel bilancio triennale, qualcosa come un milione e 348mila euro di entrate derivanti da alienazione di beni patrimoniali. Ovviamente senza uno straccio di indicazione su cosa vogliono vendere, su che stima sia stata fatta e da chi. Una mente un po’ maliziosa potrebbe pensare che a trarre vantaggio da questa operazione di salvataggio dei conti potrebbe essere qualcuno che opera nel campo degli immobili e delle costruzioni. Chi svende per necessità trova sempre qualche vorace imprenditore pronto all’affare. Chissà, magari ne conoscono anche qualcuno… D’altronde non è che possiamo far loro una colpa se, rispetto al buon padre di famiglia, sono privi di quella benedetta diligenza. Anzi, consci di questa lacuna, hanno anche trovato la soluzione: l’assaltano.

24 ottobre 2012

Non è cattiveria, è pigrizia.


Il Sindaco se la prende comoda. Il consiglio comunale lo convoca alle 9:30 di mercoledì. Cosa importa al sindaco se qualche cittadino che lavora – attività di cui probabilmente serba un lontano ricordo – vorrebbe ascoltare cosa succede in consiglio comunale. Cosa importa se una legge dello Stato stabilisce che i consigli comunali andrebbero convocati “in un arco temporale non coincidente con l'orario di lavoro dei partecipanti”? L’importante è proprio evitare il più possibile che i cittadini si rendano conto dei danni che lui e i suoi accoliti stanno causando al paese. Ed è evidentemente per questo che, dopo che per anni era stata consentita la registrazione video dei consigli comunali, ha deciso di vietarla. La ragione è una sola: si vergogna. Si vergogna lui e si vergogna la sua maggioranza e chi la pensa diversamente, se c’è, si vergogna di avere un pensiero autonomo. Non essendo abbastanza coraggioso da assumersi la responsabilità di commettere un abuso di potere preferisce scaricare la colpa su qualcuno che in qualche modo gli è “debitore” di un signor stipendio. Sto parlando del segretario comunale, il cui rapporto con l’amministrazione è fiduciario e, di conseguenza, la sua permanenza in un comune può in qualche modo essere influenzata dal fatto di essere abbastanza “conciliante”. E il nostro nuovo segretario sembra esserlo persino più del suo predecessore, che su questo non scherzava mica. Infatti, ha tirato fuori dal cilindro la sublime scempiaggine della tutela del diritto del lavoratore (che sarebbe lui) per impedire la registrazione video del consiglio comunale. Torno sull’argomento per dimostrare quanto sia capzioso e subdolo l’appiglio giuridico trovato per giustificare una cosa che ha un nome ben diverso: censura. E il segretario si assume la responsabilità, sul piano etico prima ancora che sul piano del diritto, di negare con un espediente (invero piuttosto debole) i veri diritti dei cittadini: che sono il diritto di essere informati, il diritto della trasparenza, il diritto di cronaca. Negare un diritto, appellandosi ad uno pseudodiritto è una furbata da Azzeccarbugli, che di strada ne fa poca e ridicolizza chi se ne fa scudo. L’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori, evocato (ma non citato, forse per pudore) per ben due volte nella lettera di diniego firmata da Galli recita testualmente: “È vietato l'uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori”. Anche un bambino capisce il senso di questa frase. Si parla di controllo a distanza da parte del datore di lavoro nei confronti del lavoratore. Una pratica che, se consentita, mette in una condizione di inaccettabile soggezione il lavoratore controllato e ne lede inevitabilmente la dignità. Non è certo il caso del segretario comunale, la cui dignità è messa in discussione solo dal fatto di avallare simili forzature giuridiche. E, se proprio avesse problemi di diffusione della sua “immagine”, il nostro sensibile lavoratore potrebbe tranquillamente svolgere la sua mansione mettendosi al margine dell’aula consiliare, fuori dall’inquadratura. Da qui si capisce perfettamente che l’obiettivo del diniego è un altro, non certo la sua tutela. Ma il nostro segretario, così ligio ad una norma che non c’è, non è altrettanto severo nell’applicarne un’altra che lo riguarda direttamente. Parlo della legge 18 giugno 2009 n. 69, la quale, all’articolo 21 afferma che il comune “ha l’obbligo di pubblicare nel proprio sito internet le retribuzioni annuali, i curricula vitae, gli indirizzi di posta elettronica e i numeri telefonici ad uso professionale dei dirigenti e dei segretari comunali”. In questo caso il rispetto della legge va a farsi benedire e la sua lauta remunerazione rimane un mistero. Cos’è? In questo caso si applica la legge sulla privacy? Sul prospetto del bilancio si parla di 74mila euro l’anno. Non è poco, considerando che per molti mesi è venuto due giorni alla settimana, che solo recentemente è passato a tre e che oggi, ad esempio, ha presenziato appena 40 minuti di consiglio. Né stupisce che sia così sensibile ai desiderata del sindaco. Il quale, a sua volta, è un maestro nell’interpretazione delle leggi a suo uso e consumo. Solo questa mattina ha minacciato di cacciare le persone dal consiglio comunale che, a suo avviso, violassero leggi che nessuno ha mai scritto. Ma lui è fatto così. Troppo pigro per leggersi le norme, preferisce interpretarle, quando ci sono, o inventarle, se proprio non ci sono. Poi, anche lui, le leggi vere preferisce aggirarle. Anche in questo caso sarà del tutto incidentale che la sua amministrazione sia indagata per reati ambientali in merito alla vicenda dei depuratori e che lui stesso sia stato rinviato a giudizio per reati contro la pubblica amministrazione. Perché stupirsi, in fondo fa orgogliosamente parte dello stesso partito di Fiorito e di Scajola.

12 ottobre 2012

Galli: dalle virtù virtuali ai disastri reali


Fare il bilancio di previsione a ottobre è un po’ come dare le previsioni del tempo alle sei del pomeriggio. Guarda che oggi probabilmente piove. Ah, bene, grazie. Peccato che mi sia già bagnato. A Labico usa così. Il bilancio di previsione a ottobre, insieme al rendiconto dell’anno prima (ci sono voluti 10 mesi per far quadrare i conti), agli equilibri di bilancio e alle castagne. Queste ultime faticheranno non poco a levarle dal fuoco. Già immaginiamo che avranno anche fretta di approvare tutto in un paio d’ore, ché loro mica hanno tempo da perdere con la democrazia e non possono certo star lì a dare spiegazioni su come fanno a sperperare i (nostri) soldi senza che i cittadini ne traggano apprezzabili vantaggi. Fatto sta che il bilancio di previsione è finalmente arrivato. E allora azzardo un’ipotesi: il sindaco si guarderà bene dal convocare il consiglio sul bilancio in giorni o orari che consentano un’ampia partecipazione della cittadinanza. Si accettano scommesse.

Vediamo, però, cosa dice il documento contabile così faticosamente prodotto dai nostri illustri statisti, gli stessi che fino all’anno scorso spacciavano come virtuoso il bilancio del comune. Sbugiardati da noi in consiglio comunale, in questo bilancio sono costretti ad ammettere che “il nostro ente figura tra i comuni non virtuosi”. Finalmente ne sono accorti.
Evidentemente, nel guardare i conti, dobbiamo partire da un presupposto innegabile: tutto il bilancio, compresa la lunghezza dei tempi di approvazione, ruota intorno alla questione “depuratori” e sarà, inevitabilmente, il filo conduttore di queste considerazioni.
Un primo dato, tanto per avere un’idea, è quello del confronto tra l’entità complessiva del bilancio di previsione e quella che gli amministratori definiscono – ipocritamente – “emergenza depuratori”. Si parla di 9,7 milioni di euro a fronte di “ingenti spese che si aggirano tra i 2/3 milioni di euro” (testuale dalla relazione previsionale e programmatica). A parte la sconcertante approssimazione con cui ci presentano il conto dei guai di cui hanno una piena responsabilità politica e amministrativa, quello che sconvolge è l’ammontare complessivo dei costi che saremo chiamati a sostenere. Una cifra molto vicina ad un terzo dell’intero bilancio. Come si fa a non andare in dissesto con questi numeri? C’è una sola via, quella di truccarli, nasconderli, mascherarli, camuffarli. Già immaginiamo le reazioni di fronte a questi termini. Ma come vi permettete? Questa è diffamazione. Vi quereliamo!
In attesa delle reazioni, proviamo a guardare alcuni elementi del bilancio con cui argomentare meglio le nostre perplessità. Intanto è ben difficile capire dove si annidino (nelle pieghe del bilancio) i soldi dei depuratori. Non parliamo della – decisamente tardiva – spesa necessaria per l’adeguamento degli impianti di depurazione, che rientrano nella parte investimenti e che dovrebbe essere recuperata con i finanziamenti di regione e provincia. Parliamo dei soldi che stiamo spendendo per portare via i nostri liquami dai depuratori dichiarati fuorilegge dalla magistratura. A luglio Galli, in consiglio comunale, aveva parlato di un milione e mezzo di euro. Adesso siamo ad ottobre e la cifra – come ammesso dalla stessa amministrazione - è ben più elevata. Ma dov’è? A rigor di logica dovrebbe essere nella tabella delle spese per servizi istituzionali, alla voce “Fognatura e depurazione”. Una voce la cui componente in entrata – e quindi ciò che pagano i cittadini - è raddoppiata dal 2009 a oggi (da 123mila euro a 230mila euro). Una voce che, in uscita, è praticamente quadruplicata rispetto agli anni passati (si passa dai 133mila euro del 2009 ai 647mila del 2012), ma la differenza, in valore assoluto, è di “appena” 500mila euro. E gli altri (almeno) due milioni? Dove sono stati messi? Certo, prima ancora dell’approvazione del consuntivo, sono stati messi 150mila euro come avanzo di amministrazione, dei quali è già indicata la finalizzazione di copertura dei debiti fuori bilancio derivanti dal sequestro dei depuratori, ma all’appello mancano ancora un sacco di soldi. Sono in bilancio? E, se ci sono, di grazia, dove li avete ficcati?
A rendere ancora più incerto e fumoso il quadro ci sono una serie di voci “fittizie” di entrata, la cui funzione sembra quella di infiocchettare un po’ un ben magro bilancio, la cui lettura potrebbe causare facilmente l’insorgenza di crisi depressive. A ottobre 2012, infatti, si mettono a bilancio qualcosa come 2,5 milioni di euro di entrate in conto capitale da parte della Regione Lazio (tra cui le risorse destinate al completamento della celebre ciclabile). Una somma che, per ovvie ragioni, dubitiamo che arriverà a destinazione nei prossimi due mesi.
Il resto del bilancio è costellato da inevitabili aumenti della pressione fiscale e tributaria sui cittadini, formalmente destinati a migliorare la qualità dei servizi comunali, ma che in pratica serviranno a pagare ben altro. Il dato numerico è inquietante: il prelievo tributario procapite (ossia quanto paga di tasse ogni cittadino, bambini compresi) passa dai 284 euro del 2009 ai 480 del 2012. Nel giro di tre anni le imposte comunali sono aumentate del 70 per cento. La consapevolezza che con quei soldi si paghino i viaggi dei nostri liquami non sembra essere di alcun conforto.
Perché l’amministrazione non ha prodotto uno specifico quadro economico della cosiddetta “emergenza”, in modo da far capire esattamente come stanno le cose e come si intende procedere? La ragione sembra abbastanza semplice. Si cerca di trovare qualche artifizio contabile per far slittare alcune voci di spesa al 2013 e prendere un po’ di fiato. Qualcuno - ingenuamente, pensando ad un atto di riguardo nei nostri confronti - potrebbe apprezzare il gentile pensiero. Non bisogna farsi illusioni. Cercano solo di guadagnarsi un po’ di sopravvivenza politica e incassare qualche altro stipendio. Peccato che, infilando la testa sotto la sabbia o nascondendo i problemi, questi non solo non si risolvono, ma si aggravano. E l’anno prossimo il conto sarà ancora più salato.

11 ottobre 2012

Proposta indecente



Sotto il profilo penale, il reato di cui è accusato l’assessore alla casa della Regione Lombardia è indubbiamente molto grave: si parla di scambio elettorale politico-mafioso. E quando c’è di mezzo la criminalità organizzata è meglio tenere alta la guardia. L’idea che organizzazioni di stampo mafioso esercitino un controllo “diretto” sugli eletti è oggettivamente inquietante e va combattuta individuando strumenti normativi specifici ed efficaci. Ma il voto di scambio non è solo quello di tipo mafioso. C’è un altro tipo di voto di scambio, la cui pratica permea, inquina e altera in maniera allarmante molte tornate elettorali, a tutti i livelli. Anche questo è un reato, punito da una legge dello Stato. Chi di noi non ha mai sentito parlare di voti comprati a 50 euro o con l’equivalente in buoni benzina? Chi di noi non si è mai imbattuto in promesse di posti di lavoro - per chi non ce l’ha, il lavoro -, in ricatti occupazionali - per chi il lavoro ce l’ha, ma la cui continuità dipende dal politico o, che so, da un cognato o un parente -, in avvisi bonari sui rischi che la propria pratica in comune si areni (se è legittima) o in promesse di “oliarne” l’iter, quando è priva dei requisiti. In alcuni casi il reato c’è ed è evidente. In altri il confine tra lecito e illecito è molto più labile. Magari anche nel lessico. Meglio parlare di cortesie, piaceri, aiuti. Per i quali però il politico sarà puntualissimo nel batter cassa al momento del voto. Ormai è difficile trovare qualcuno che dica “se mi dai il voto faccio questo”. D’altronde ci sono modi impliciti per esprimere lo stesso concetto, tra l’altro deresponsabilizzando l’autore della promessa qualora non sia in grado di mantenerla. Stupisce però che ci sia ancora tanta gente disposta a rinunciare alla propria dignità per poche decine di euro, per una cena o per accelerare una pratica amministrativa. Per poi pagare un prezzo ben più alto in termini di cattiva amministrazione, se non addirittura di aumenti delle tasse dovuti ad una pessima gestione della cosa pubblica. Mi auguro che, da domani, ognuno di noi ci penserà bene prima di cedere alla proposta di scambiare il proprio voto e la propria dignità con un “piacere”. Desidero che, da domani, ognuno di noi avrà la consapevolezza che una proposta così è offensiva e indecente. Spero che, da domani, ognuno di noi non sia più disposto a farsi umiliare. Non auspico il ricorso alla magistratura (ché poi mi si accusa di giustizialismo). Ma, almeno, di fronte ad una proposta indecente, si può sempre chiamare la buoncostume.

1 ottobre 2012

Dalle parte dei pendolari. Forse.



Galli sembra proprio vivere sulle nuvole. Sottoscrive una dichiarazione con cui sembra voler prendere a cuore i problemi dei pendolari della tratta Roma-Cassino e si impegna a chiedere un intervento immediato per porre fine ai disagi di chi viaggia in treno.  Ma come mai questo interessamento di Galli al problema? Tutto sembra nascere da un articolo, nel quale chi scrive esprime perplessità sulla riorganizzazione della giunta della Regione Lazio (sostenuta da Galli alle regionali), senza nemmeno considerare che “quella giunta” è stata appena cancellata da un imbarazzante scandalo sull’uso improprio delle risorse pubbliche. L’articolo, in seguito, descrive i problemi vissuti dai pendolari sulla propria pelle. Peccato che l’unico interlocutore interpellato sia una persona la cui mobilità, da oltre vent’anni, è limitata ad un percorso col proprio SUV tra il parcheggio dell’abitazione ed il parcheggio pubblico che si è riservato, sottraendolo permanentemente alla collettività. Dubito che Galli sappia davvero cosa significhi viaggiare in treno e vivere i disagi delle migliaia di pendolari dell’hinterland romano e mi chiedo a che titolo venga consultato. Purtroppo il nuovo paladino dei pendolari (cit.) non si rende neppure conto che l’inadeguatezza delle infrastrutture del servizio di trasporto pubblico dipende, in buona parte, da due fattori. Il primo - di cui lui, come amministratore, ha una responsabilità enorme - è l’espansione urbanistica, insana e bulimica, che ha portato ad un incontrollato aumento demografico di buona parte dell’hinterland romano, senza che chi programmava piani regolatori per soddisfare i portafogli dei costruttori si preoccupasse di adeguare (o fare adeguare) infrastrutture e servizi in virtù del nuovo carico antropico (trasporto pubblico, servizi, scuole, uffici, assistenza). Il secondo è una politica infrastrutturale che continua ad inseguire modelli di sviluppo basati sull’asfalto e sugli investimenti in grandi opere pubbliche, che lo stesso Galli sostiene convintamente, senza pensare che per alimentare quel modello di sviluppo si sottraggono risorse proprio a quei pendolari che lui dichiara di voler difendere. Delle due l’una o l’ipocrisia di Alfredo Galli è da Guinness dei primati oppure non ha nemmeno la più pallida idea di come funziona il mondo al di là dei propri confini comunali. Sarebbe il caso che ne uscisse, di tanto in tanto, per rendersene conto. Magari prendendo sul serio un treno di pendolari. Così, per sfizio.

Alle colonne d'Ercole

Alle colonne d'Ercole
La mia ultima avventura