3 ottobre 2016

Vietato esistere

Non è che si possa affrontare un tema complesso e delicato, come quello dei migranti, in poche righe. Bisognerebbe parlare delle cause che spingono le persone a fuggire dai luoghi dove sono nati alla ricerca di qualcosa che a volte è solo la speranza di rimanere vivi. Bisognerebbe parlare di guerre, conflitti, povertà, violazioni dei diritti umani, dittature sanguinarie. Bisognerebbe anche spiegare il ruolo del mondo occidentale in tutto questo, visto che - quando non è proprio la causa – è  almeno indifferente, connivente o complice. Almeno per il momento, non parliamone. Parliamo però di persone. Quelle che, in qualche modo, sono arrivate fin qui e ce le ritroviamo intorno. Sono esseri umani. Sopravvissuti a qualcosa di indescrivibile e terrificante. Tutti i loro beni sono contenuti in un sacchetto di plastica o una borsa (i più fortunati). Non un posto dove dormire, non la sicurezza di un pasto, non un luogo dove potersi lavare. Nulla. Ecco, immaginiamole dunque queste persone, uomini, donne, bambini, disperati e indifesi in un paese che non conoscono, dove si parla una lingua che non capiscono, che cercano di capire se riusciranno a trovare un po’ di nutrimento o un giaciglio di fortuna. Immaginiamo 10, 50, 100 persone a Roma, capoluogo della Regione Lazio, capitale d’Italia. Città benestante di una regione ricca di una delle nazioni “potenti” del mondo. Forse, immaginiamo, le istituzioni dovrebbero occuparsi di loro. Tutte, nessuna esclusa. E se non lo fanno? E se non lo fanno è naturale che ci siano altre persone, consapevoli del proprio benessere, che cercheranno di dare un aiuto. Si chiama misericordia e non c’è bisogno di essere credenti per farla. Basta avere un briciolo di coscienza. E allora ecco che ci ritroviamo nella situazione che si è visto negli ultimi anni al Baobab: l’intervento di associazioni, cittadini, volontari per sopperire alla colpevole assenza delle istituzioni. Che non solo si disinteressano, ma che di fatto riconoscono un ruolo ad un sistema di accoglienza nato spontaneamente. Non va bene, ma almeno, in qualche modo, funziona. Almeno si riesce a garantire un’assistenza minima. Inadeguato e insufficiente, ma è quello che - con l’impegno e la disponibilità di poche decine di volontari – si riesce a fare. Fino a quando? Fino a quando la misericordia non diventa illegale. Fino a quando non si decide di sgomberare il Baobab. Fino a quando qualcuno ha pensato bene che non bastava sgomberare il Baobab, ma che non si poteva neppure cercare di dare assistenza ai chi ne aveva bisogno. Fino a quando qualcuno non ha pensato bene di vietare – uso le espressioni bibliche per rendere meglio l’idea – di dare da mangiare agli affamati, di visitare gli infermi, di dare da bere agli assetati, di vestire gli ignudi, di alloggiare i pellegrini. Non si può fare. E’ vietato. Ma non semplicemente “vietato”. Per garantire il rispetto del divieto hanno militarizzato via Cupa (dove si trova il Baobab) con uno spiegamento di forze più adatto a combattere il clan dei Casalesi. Pattuglie di polizia e carabinieri mandate a perlustrare la zona alla ricerca di non si sa bene quali possibili reati. E loro? I pellegrini, affamati, assetati, spesso ignudi, qualche volta infermi? Loro costretti a nascondersi e ad essere invisibili. In una società opulenta e ipocrita che preferisce far finta di non vederli. Vietato esistere, dunque, e proprio nell’anno della misericordia e mentre celebriamo in pompa magna la giornata dei migranti. Ipocriti. Punto.

Alle colonne d'Ercole

Alle colonne d'Ercole
La mia ultima avventura