24 ottobre 2009

Con una scarpa e una ciavatta

Delibere illegittime, assessori dimissionari, diffide del prefetto, equilibri di bilancio saltati, una figuraccia dietro l’altra, eppure la maggioranza – priva di ogni senso del ridicolo – continua ad andare avanti come se nulla fosse.


Cinque mesi dopo le dimissioni di Di Stefano sono arrivate quelle di Prestipino. Dal punto di vista politico i due episodi vanno citati in tandem, visto il rilievo che rivestono in termini di equilibri interni della maggioranza, ma l’accostamento tra i due protagonisti non può che finire qui. Delle dimissioni di Di Stefano infatti, rassegnate a maggio, non si riesce ancora a capire nulla. Abbiamo fatto fatica addirittura a venirne a conoscenza.


Le motivazioni sono “personali” nello scarno testo della missiva. Si dice per ragioni di salute, ma non vorremmo che si usasse un comodo paravento per nascondere altre questioni.


Se una persona non è in condizioni di salute tali da consentirle di svolgere al meglio il suo incarico istituzionale è giusto ed apprezzabile che decida di dimettersi. E questo significa dimostrare senso di responsabilità. Se davvero è così però non si spiega il senso di congelare le dimissioni per mesi e mesi, in violazione della legge e con grave danno per l’attività amministrativa, in attesa che succeda qualcosa. Perché questa attesa giustifica l’interpretazione che viene data dai rumors che provengono dalla maggioranza, secondo i quali le dimissioni sarebbero funzionali a trattative di potere interno.


Del resto l’assessorato di Di Stefano era pesante solo sulla carta, perché la delega all’urbanistica è virtuale - visto che l’urbanistica a Labico viene decisa da altri - mentre il bilancio ha margini di manovra piuttosto modesti. Qualcuno ipotizza che l’obiettivo potrebbe essere la delega agli affari sociali, ma questo comporterebbe non pochi problemi di riassetto complessivo e si spiegherebbe così l’infinito stand-by in cui ci troviamo.


Di ben altro spessore le dimissioni di Vincenzo Prestipino.


Invece delle tre righe vergate a mano e consegnate nel chiuso del palazzo al segretario comunale l’(ex) assessore di Colle Spina all’inizio della seduta ha chiesto la parola, si è alzato in piedi e, con grande coraggio, ha cominciato a leggere una lunga e appassionata lettera. L’aula – talvolta non proprio rispettosa – si è ammutolita. Man mano che le parole di Prestipino si diffondevano le espressioni mutavano e l’iniziale curiosità lasciava spazio, a seconda dei casi, ad incredulità, ammirazione, preoccupazione, indignazione. Con grande lucidità, in pratica, Prestipino ha denunciato che l’amministrazione labicana è governata da un “sistema” e che il potere a Labico è nelle mani di una sola persona, il vicesindaco Galli, mentre il sindaco non è capace di svolgere il suo ruolo.


E il potere di Galli è talmente assoluto da impedire che gli altri assessori abbiano la benché minima autonomia nello svolgimento del proprio mandato. Prestipino insomma avrebbe voluto impegnarsi molto per Colle Spina, ma non gli è stato permesso. E Prestipino, anziché rimanersene bravo bravo ad intascare uno stipendio e a godere di qualche privilegio che la posizione assessorile gli conferiva, ha scelto di privilegiare la propria dignità e di rassegnare le dimissioni. E un’ulteriore prova di coerenza è stata il fatto che non è uscito dalla maggioranza, ma ha semplicemente detto che non ci sono le condizioni per stare in giunta. La sua richiesta è stata chiarissima: o Giordani decide di fare davvero il sindaco e si ristabiliscono metodi trasparenti e democratici di organizzazione interna, oppure lui non è disponibile a fare il passacarte. E un segnale lo lancia anche agli altri membri della maggioranza, in cui, a quanto pare, serpeggia un certo scontento: tirate fuori l’orgoglio se non volete perdere del tutto la vostra credibilità. Un discorso impeccabile, nel quale – a tratti – si possono trovare le stesse critiche che in più di una circostanza noi stessi abbiamo rivolto alla maggioranza.


Ma se le nostre erano “sensazioni” quelle di Prestipino sono “testimonianze” e questo ne rafforza il valore. Sconcertante la reazione di Giordani. Attaccato in prima persona non è stato capace di fare altro se non confermare implicitamente le accuse di Prestipino. Incapace infatti di una qualunque replica ha farfugliato qualcosa come “ne parleremo dopo”, come se dovesse prima attendere istruzioni sul da farsi. Il “dibattito” sulle dimissioni di Prestipino è stato a senso unico. Solo l’opposizione ha preso la parola per chiedere chiarimenti sulla situazione della maggioranza e per denunciare che, proprio a causa dei loro problemi interni, la macchina amministrativa è praticamente ferma e le cose che funzionano si devono all’impegno dei dipendenti. Ormai praticamente tutti i cittadini di Labico hanno capito che l’amministrazione comunale è completamente allo sbando. Gli unici che sembrano non essersi accorti di nulla sono i consiglieri di maggioranza. L’altra questione di grande rilievo affrontata in consiglio era l’approvazione degli equilibri di bilancio. Una cosetta da nulla, la cui mancata approvazione nei tempi stabiliti dalla legge, determina lo scioglimento del consiglio comunale. Il termine di legge era fissato al 30 settembre.


Il nostro però è un comune dove si convocano i consigli in occasione della festa di San Rocco se è funzionale alle esigenze degli speculatori locali, ma per gli equilibri di bilancio il tempo non si trova. Così ci scrive il prefetto per intimarci l’approvazione dell’atto contabile se non si vuole lo scioglimento.


Un figurone insomma. Prima degli equilibri bisogna approvare la ratifica di una variazione di bilancio. Anche in questo caso ci sono delle regole da seguire (la parola “regole” da sola è in grado provocare malessere nei nostri amministratori) e la ratifica va fatta entro 60 giorni. Peccato che dal 7 luglio (giorno di approvazione della variazione) il tempo non si era mai trovato. Nei successivi 30 giorni si sarebbe potuta sanare la situazione. Ma non si è trovato tempo neppure per quello. Insomma l’atto era privo di ogni valore giuridico ed era necessario ritirarlo e adottarne un altro. A questo punto sono saltati anche gli equilibri di bilancio, che dovranno essere approvati in fretta e furia la prossima settimana. Un capolavoro di incapacità, a meno che il vero obiettivo sia quello di far saltare Giordani senza farglielo capire e rimettere in sella il “vero sindaco”, ossia Alfredo Galli. In tal caso complimenti per la strategia. Venerdì lo sapremo. Il consiglio ha poi approvato l’acquisizione di un terreno per realizzare una viabilità alternativa in zona Prato Capitano, dove la viabilità prevista dal precedente piano regolatore era scomparsa. Visto che si trattava di una zona abitata da esponenti politici locali, nessuno si era preso la briga di far rispettare le direttive del piano. Alla fine siamo riusciti ad approvare il comodato d’uso per consentire al nostro parroco di creare una struttura a finalità sociale nei locali del “cantinone”. Noi siamo stati ben lieti di poter dare il nostro assenso anche come segnale di stima per quanto sta facendo don Antonio per la nostra piccola comunità. Siamo  poi passati al regolamento della commissione mensa, concordato in commissione e sul quale, per una svista, erano stati messi quattro rappresentanti dei genitori, invece di sei (in modo da poter coprire tutti i plessi). Per un inconcepibile irrigidimento della consigliera delegata alla pubblica istruzione l’emendamento - suggerito proprio dalle persone che gratuitamente mettono a disposizione il proprio tempo per assicurarsi che ai nostri bambini venga dato cibo di adeguata qualità – è stato respinto. Nella commissione, in compenso, ha preteso di esserci lei. Fuori i genitori dentro i politici. Va bene, così, probabilmente di brutte figure pensavano di non averne fatte ancora abbastanza.


Gli impegni della maggioranza non hanno consentito di rispondere alle nostre interrogazioni né di discutere le nostre mozioni.

Sarà un caso. Abbiamo accettato il rinvio con la promessa che nel prossimo consiglio si concluderà tutto. L’unico problema è che la promessa l’ha fatta il sindaco, non il vicesindaco…

2 ottobre 2009

Obtorto protocollo

“Il protocollo non lo prevede”. Questa la risposta ad un’associazione labicana che desiderava recapitare un regalo (con un simbolo di pace e fratellanza) al Sindaco di Betlemme. Il regalo era accompagnato da una breve lettera, scritta anche in inglese per rendere più semplice il momento della consegna. “Casomai si potrà dare alla cena”. “Quale cena?”.

Ecco, appunto: quale cena? La cena è quella “di gala”. Qualcosa tipo quella della festa delle nocciole di poche settimane prima,organizzata a spese della collettività, ma la cui “cena di gala” era stata riservata alla sola maggioranza e alle sole persone gradite alla maggioranza stessa. Per la cena in onore del sindaco di Betlemme è stata fatta una piccola eccezione: alla cena sono stati ammessi tutti i consiglieri, persino quelli dell’opposizione. Il resto degli invitati è stato scelto sulla base di un rigido protocollo, i cui criteri erano criptici e sconosciuti ai più.

Però, da alcune indiscrezioni - rilasciate da fonti che chiedono il massimo riserbo - siamo riusciti a risalire, almeno in parte, al contenuto del prezioso documento e che siamo lieti di portare alla conoscenza di tutti.

Protocollo di selezione degli invitati alle cene di gala labicane:

- sindaco, assessori, presidente del consiglio, consiglieri di maggioranza (aggiunto a penna: e quelli di minoranza, ma proprio tutti? sì, dai, tutti);

- capi area e capi servizio del comune;

- rappresentanti delle forze dell’ordine;

- selezione di rappresentanti delle associazioni locali da individuare sulla base di valutazioni molto rigorose (quelli che ci stanno simpatici o, almeno, non troppo antipatici);

- imprenditori locali che abbiano un legame di parentela di primo grado con il vice-sindaco;

- imprenditori locali che abbiano un legame di affinità di primo grado con i soggetti di cui al punto precedente;

- imprenditori che abbiano sottoscritto col comune convenzioni di particolare favore (per l’imprenditore, non per il comune);

- collaboratori di fiducia del Sindaco o del vicesindaco;

- altri che non rientrano nelle categorie precedenti, ma che ce li mettiamo lo stesso, ché noi facciamo un po’ come ci pare.

30 settembre 2009

Benvenuto al Sindaco di Betlemme

CONSIGLIO COMUNALE DEL 30 SETTEMBRE 2009
Benvenuto a Victor Batarseh, Sindaco di Betlemme



E’ con grande piacere che intervengo, a nome del gruppo Cambiare e Vivere Labico, per esprimere un caloroso e sincero benvenuto a Victor Batarseh, sindaco di Betlemme.
Intanto ci vogliamo congratulare con il nostro gradito ospite, del quale abbiamo appreso che si è impegnato molto, come amministratore, per combattere la corruzione, per dare trasparenza al proprio governo, per migliorare la vita dei cittadini. Abbiamo letto che, tra le tante innovazioni introdotte da quando si è insediato, ha vietato l’uso delle auto comunali per motivi privati; ha chiuso gli esercizi commerciali privi di autorizzazione; ha fissato nuove regole d’appalto dei lavori pubblici mirate ad eliminare gli sprechi, ha licenziato i dipendenti comunali che erano sulla lista paga e non svolgevano alcun lavoro. Uno dei suoi impegni è stato quindi quello di ripristinare correttezza e legalità nella città da lui amministrata. Impegno difficile ovunque e, a maggior ragione, in un posto dove ci sono problemi ancora più gravi. Il suo è sicuramente un esempio da seguire.
Victor Batarseh viene da Betlemme, un nome che tutti noi abbiamo imparato fin da bambini e che assume inevitabilmente un significato evocativo. Betlemme, infatti, è indicata nelle sacre scritture come il luogo di nascita di Gesù Cristo e rappresenta il luogo simbolo della cristianità. Betlemme diventa inevitabilmente sinonimo di fratellanza, solidarietà, pace.
Purtroppo però la pace a Betlemme non c’è. La pace, quella pace che in molti dichiarano di voler costruire, non c’è né a Betlemme, né a Gerusalemme, né in Palestina, né in Israele. Così come è assente in decine di luoghi del pianeta martoriati dalla guerra.
Non è questa la sede, né il momento per analizzare le cause di uno stato permanente di tensione e di paura. I molti errori commessi, da una parte e dall’altra, che hanno portato talvolta a commetterne di più gravi.
La storia dei popoli e delle loro nazioni è costellata da immense ingiustizie. Il diritto internazionale è spesso costretto a prendere atto delle situazioni di fatto, talvolta palesemente inique, ma difficilmente reversibili. E non avrebbe certo senso, adesso, ripercorrere l’ultimo secolo della storia di quelle terre, con la spartizione dell’impero ottomano al termine della prima guerra mondiale, a seguito della dichiarazione di Balfour. Da allora molti avvenimenti si sono succeduti e la nascita dello Stato di Israele, sancita dalla risoluzione 181 dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, ha rappresentato, nei fatti, l’elemento chiave di un percorso difficile e tormentato. Da allora la convivenza dei popoli è stata irta di ostacoli e segnata dal sovrapporsi di torti e ingiustizie, in una spirale distruttiva di cui hanno pagato il prezzo soprattutto le popolazioni civili, in particolare i bambini. Sono decine le risoluzioni dell’ONU che condannano l’insediamento di colonie nei territori occupati, causando ulteriori tensioni e conflitti. Ancora la risoluzione ONU 1860 del 12 gennaio 2009 ha condannato gravi violazioni dei diritti umani nei territori palestinesi. Noi pensiamo che non sia con la violazione dei diritti umani che si possano risolvere i problemi. In Palestina, in Israele, come nel resto del mondo. Sarebbe ipocrita condannare gli attacchi alla popolazione civile in Terra Santa e giustificarla altrove. La pace e la tutela dei diritti umani non hanno e non possono avere confini.
Spesso per raggiungere un obiettivo giusto si intraprendono le scelte sbagliate, con il risultato di allontanarsi ulteriormente dagli obiettivi che si dichiara di voler raggiungere. Penso alla presenza di un muro di otto metri di altezza che limita fortemente la circolazione e quindi la vita degli abitanti di Betlemme, trasformata così – e sono le parole del nostro ospite – in “una grande prigione circondata dalla polizia israeliana”. Sempre il sindaco di Betlemme ha raccontato di “bambini che vivono a ridosso del muro e che scrivono di volere il miracolo di poter vedere il tramonto”. I muri non servono a proteggere, i muri servono ad alimentare la diffidenza e i conflitti. “Non di muri ha bisogno la Terra Santa, ma di ponti. Senza riconciliazione degli animi, non ci può essere pace”. Queste parole sono state pronunciate più volte da papa Giovanni Paolo II.
Sappiamo quanto sia difficile restituire pace e serenità a chi abita in quei luoghi, ma siamo anche consapevoli della necessità di dare ad ogni popolo il proprio stato, in modo da riconoscere a tutti l’imprescindibile dignità. Bisognerà trovare il modo di farlo anche attraverso una più elastica interpretazione del principio della “triade” (popolo-governo-territorio) stabilito dal diritto internazionale e che appare di così difficile applicazione in una zona dove la frammentazione del territorio è tale da rendere impensabile ricorrere ad una tradizionale demarcazione dei confini. L’obiettivo dovrà essere quello: riconoscere ai due popoli il diritto ad avere ognuno un proprio Stato. Due popoli e due Stati che possano convivere nei valori della fratellanza, della solidarietà e della pace.
E allora vogliamo formulare il nostro convinto augurio che quei valori di fratellanza, di solidarietà e di pace riescano finalmente a trovare la doverosa e duratura accoglienza in Terra Santa. Nell’enciclica “Caritas in veritate” Papa Benedetto XVI afferma che per costruire la pace non è sufficiente il pur fondamentale impegno a livello di governi ed organizzazioni sovranazionali, ma è necessario “sentire la voce e guardare alla situazione delle popolazioni interessate per interpretarne adeguatamente le attese”. E a Betlemme ci sono dei bambini che attendono di poter vedere il tramonto. Noi crediamo che quei bambini a quel tramonto abbiano diritto.

12 settembre 2009

La sagra dell’ipocrisia


Quando abbiamo saputo che l’amministrazione intendeva organizzare una sagra delle nocciole la nostra reazione è stata decisamente positiva. Da tempo sosteniamo che sviluppo e benessere non debbano essere legati alla speculazione edilizia ed al consumo del territorio, ma che si possano tranquillamente coniugare le esigenze economiche e di crescita con una corretta ed equilibrata gestione delle risorse, attraverso la riscoperta e la valorizzazione dell’agricoltura. Dando naturalmente la priorità alle colture tradizionali, come la nocciola. E questa sagra avrebbe potuto essere il primo passo nella direzione giusta.


Non ci siamo stupiti per non essere stati coinvolti nell’organizzazione della conferenza e nemmeno di non essere stati neppure invitati (questione di stile), ma abbiamo comunque voluto essere presenti. In effetti ne è valsa la pena. La stragrande maggioranza degli oratori intervenuti sposava in pieno le nostre tesi. Dai rappresentanti degli agricoltori (coldiretti e confagricoltori) ai docenti universitari (La Tuscia e Perugia) agli esperti a vario titolo dei problemi dell’agricoltura, tutti hanno sottolineato l’importanza di adottare una politica di gestione del territorio di tutela e valorizzazione dei terreni agricoli, qualcuno ha evidenziato il rischio di un modello produttivo e di consumo che aumenti la distanza e i costi (economici, sociali e ambientali) dei prodotti trasportati, qualcun altro ha sottolineato l’importanza di una produzione agricola rispettosa del ciclo biologico e che sia il più possibile protetta dai fattori inquinanti. Si è parlato di energie rinnovabili, di biomasse, di filiera corta, di prodotti a chilometri zero, di tutela delle produzioni locali. Gli unici che sembrava non avessero la più pallida idea di cosa si stesse dicendo erano il sindaco ed il vicesindaco, che però gongolavano placidamente come se la cosa non li riguardasse.


Purtroppo, invece, la sfarzosa – e piuttosto costosa a quanto pare: si parla di diverse migliaia di euro, di soldi pubblici – iniziativa era fine a sé stessa e non c’è, a quanto ci risulta, la benché minima intenzione, da parte dell’amministrazione, di promuovere davvero la produzione agricola. Proviamo a spiegare perché.


Intanto compendiamo che la loro visione padronale della cosa pubblica impedisca loro di coinvolgere tutti i consiglieri comunali nelle iniziative, ma non è chiaro perché, ad un’iniziativa che riguarda la coltivazione delle nocciole, non si invitino gli interessati, ossia i piccoli e medi produttori che faticosamente cercano di mantenere viva una piccola economia locale. L’unico produttore presente era – guarda caso – proprio il Sindaco, che ha pensato bene di allestire stand e palco con la pubblicità della propria attività commerciale. L’iniziativa – pagata con i soldi pubblici – è diventata così un mega spot a favore del ristorante – agriturismo – azienda agricola Fontana Chiusa.


Questione di stile, si diceva. Ovviamente i piccoli produttori non sono potuti neppure intervenire dal pubblico, perché la conferenza era “blindata” e non c’era spazio per dare contributi.


L’altro aspetto che nessuno si è preoccupato di spiegare agli illustri ospiti che hanno partecipato al dibattito riguarda la stridente contraddizione tra quanto affermato da tutti – anche sindaco e vicesindaco che annuivano come i pupazzetti che impreziosiscono i lunotti delle auto – e la “vera” politica territoriale del nostro paese. Una politica che punta alla totale cancellazione dell’agricoltura dal Comune. Basta guardare la disinvolta crescita dell’abusivismo nelle zone agricole (spesso sotto lo sguardo compiacente di chi avrebbe dovuto controllare). Basta guardare il modo scomposto e disordinato con cui è stato redatto il vecchio piano regolatore. Basta guardare il modo rozzo, scomposto e disordinato con cui è stata redatta l’attuale variante al piano regolatore. Con una spaventosa erosione delle zone agricole e la creazione di nuovi insediamenti abitativi a stretto contatto con le poche zone agricole rimaste e i prevedibili conflitti che potranno sorgere. Basta guardare gli effetti devastanti che avrà la realizzazione del casello e della viabilità di collegamento, che rovineranno quel poco che ancora resta delle zone denominate agricole, ma che non è difficile immaginare subiranno ben presto – anche abusivamente – trasformazioni più “consone” al nuovo tessuto territoriale (un ibrido tra borgata e zona industriale).


Ancora una volta il Sindaco ha citato i luoghi della Toscana come esempio da seguire. Ha spiegato che la bravura di chi vive in quei posti è stata quella di preservare il territorio anche quando i terreni agricoli valevano davvero poco e si potevano comprare a buon mercato. Questa voglia di mantenere la propria identità, questo desiderio di tutelare l’integrità del territorio ha portato i suoi frutti. Adesso in zone come la Val d’Orcia o le colline senesi il valore dei terreni (sempre agricoli) è alle stelle.


Ha fatto bene a spiegarcelo. E’ importante per noi sapere che garantire al territorio un’economia rinnovabile come quella ba- sata sull’agricoltura darà in prospettiva maggiore ricchezza, maggiore benessere e maggiore qualità della vita della mera speculazione fondiaria (dove a guadagnare poi non sono i proprietari ma i costruttori senza scrupoli). Ha fatto davvero bene a darci queste illuminanti informazioni. Anzi, per una volta, siamo completamente d’accordo con lui. Ora si tratterà solo di trovare qualcuno che queste cose le spieghi a lui e, soprattutto, al suo vicesindaco.

29 agosto 2009

Il Silenzio degli insipienti continua


Il blitz estivo è riuscito. La convocazione del consiglio comunale, indetta il giorno della vigilia di San Rocco con l’unico obiettivo di poter trasmettere in regione una scandalosa variante al piano regolatore generale, ha prodotto il risultato atteso.


Sin dall’inizio era chiaro l’ordine di scuderia impartito ai consiglieri comunali: alzare la mano al segnale convenuto. Altro non era concesso. Vietato prestare attenzione alle argomentazioni dell’opposizione. Inutile leggere gli atti su cui si era chiamati a votare. Sconsigliato intervenire durante la discussione. E l’andamento della seduta del consiglio ha confermato l’impressione iniziale.


Partiamo dall’inizio. Oggetto dell’approvazione era l’aggiornamento della relazione tecnica alla variante del P.R.G. “a seguito delle osservazioni approvate”. In teoria ci saremmo dovuti trovare di fronte ad una nuova versione della relazione tecnica, con i nuovi dati sulle cubature, sulle estensioni delle zone e sull’individuazione degli standard urbanistici (dalle scuole ai parcheggi). Ovviamente l’aggiornamento avrebbe dovuto riguardare anche tutta la cartografia, in assenza della quale è impossibile individuare la localizzazione di quegli spazi necessari alla collettività. La cartografia però non c’era. E la relazione tecnica era stata modificata in modo del tutto arbitrario, con l’inserimento di elementi mai discussi in consiglio comunale e con l’eliminazione di quelle parti che avrebbero potuto rendere più evidenti i macroscopici errori in essa contenuti. Del tutto inutile è stato il nostro rilievo sulla grave carenza della documentazione e si è deciso di procedere comunque all’esame dell’atto.


Ora è necessario ricordare che negli ultimi due anni il consiglio comunale ha attentamente esaminato le 161 osservazioni presentate e quelle accolte (anche solo parzialmente) comportavano quasi sempre aumenti di cubatura, trasformazione dell’area in zone che aumentassero il valore immobiliare, riduzione degli standard urbanistici. La conseguenza è che la variante risultante da queste modifiche (e che nessuno si è mai preoccupato di quantificare in modo esatto) farà aumentare notevolmente la crescita demografica del paese e, di conseguenza, si sarebbero dovuti individuare ulteriori spazi da destinare ai servizi per la collettività. E tutto questo i nostri amministratori lo avrebbero dovuto mettere nero su bianco in tutti i documenti che costituiscono lo strumento urbanistico, a cominciare dalla cartografia. Il problema è che quegli spazi “loro” non li hanno individuati e, nella variante che – senza vergogna alcuna – si accingono ad inviare alla Regione Lazio, quegli spazi non ci saranno. E i cittadini di Labico non avranno i servizi minimi stabiliti dalla legge nemmeno sulla carta. Ma, del resto, cosa ci si poteva aspettare dagli stessi amministratori che, per aumentare il profitto dei costruttori, negli ultimi quindici anni si sono resi responsabili della cancellazione di quasi tutti gli standard previsti dalla precedente pianificazione urbanistica? Cosa ci si poteva aspettare da un’amministrazione che ha fatto costruire interi nuovi quartieri senza marciapiedi, con le strade troppo strette, con parcheggi pressoché inesistenti? Cosa ci si poteva aspettare da un’amministrazione che, per non dispiacere gli speculatori, non si è mai preoccupata di far rispettare le convenzioni di lottizzazione, che non ha mai assicurato la realizzazione delle opere di urbanizzazione, che obbliga centinaia di cittadini a vivere in case prive del certificato di agibilità? Deve essere chiaro che l’obiettivo di questa amministrazione non è l’interesse della collettività, ma garantire il profitto degli immobiliaristi e, in quest’ottica, si spiegano bene le scelte di chi ha deciso di creare ben due centri commerciali in prossimità del centro storico (uno dei quali spacciato per “Città dell’arte”), senza neppure avere il coraggio di indicare nella relazione tecnica (forse per pudore) l’esatta estensione della nuova zona commerciale. E a nulla è servito indicare in consiglio comunale l’evidente errore del dato numerico (135.981 anziché 182.360).


L’ordine di scuderia era di non ascoltare e di votare. Se su quella relazione avessero scritto che il presidente della Repubblica si chiama Paolino Paperino l’avrebbero votata ugualmente. Anche se i soliti pedanti esponenti dell’opposizione avessero fatto loro notare che non è esattamente così.


Abbiamo calcolato l’estensione dei parcheggi necessaria per rendere un po’ più sostenibile (almeno sul piano della viabilità) l’imminente cementificazione; un calcolo basato sui valori che proprio in quella relazione sono contenuti e che fanno riferimento ad un preciso obbligo di legge. Ebbene a fronte di 28.280 metri quadrati dichiarati (ma non individuati) di nuovi parcheggi ne servirebbero – secondo le “loro” norme tecniche - in realtà non meno di 200.000, quasi dieci volte tanto, e questo significa che corriamo il rischio di vivere in una città con traffico e congestione a livelli romani.


Per non parlare del verde pubblico, vera ossessione negativa dei nostri amministratori, che proprio non si capacitano della presenza di tutti quegli spazi “improduttivi”. E così il poco che avevano individuato nella prima redazione del piano, lo hanno man mano cancellato con l’accoglimento delle osservazioni (il resto lo cancelleranno semplicemente non realizzandolo, come hanno fatto fino ad ora), senza però aggiornare il dato numerico sulla relazione tecnica.


A nulla è valso ricordare che la speculazione edilizia in programma sul campo sportivo porterà qualcosa come 70 famiglie e 140 automobili in una zona già congestionata per la miope capacità programmatoria di questa particolare categoria di amministratori.


A nulla è valso citare precisi riferimenti normativi e sentenze del Consiglio di Stato che impongono la ripubblicazione del piano a seguito dell’accoglimento “delle osservazioni formulate dai privati comportanti una profonda deviazione dei criteri posti a base del piano adottato”.


A nulla è valso ricordare che le osservazioni dell’Ufficio tecnico (e che hanno contribuito allo stravolgimento del piano) erano state frutto di una procedura del tutto illegittima.


A nulla è valso chiedere un contraddittorio agli esponenti della maggioranza. Nessuno dei quali è stato capace di confutare le nostre affermazioni. I pochi interventi che hanno fatto erano o su questioni del tutto marginali o completamente fuori luogo (come chi ha paventato il rischio dello scioglimento del comune in caso di mancata approvazione della variante…).


Il vero problema è che quella relazione probabilmente nessuno l’ha letta, come ha candidamente ammesso l’ex assessore all’urbanistica ma ufficialmente ancora in carica (ché a Labico le leggi dello Stato non valgono…), perché per votare quella relazione piena di errori e di omissioni bisogna essere o piuttosto sciocchi o molto in malafede.


Siamo stati diverse ore a spiegare e ad argomentare le nostre perplessità e le nostre critiche sia sul procedimento adottato per la trasmissione della variante alla Regione (la legge stabilisce una procedura ben definita che non è stata rispettata) sia sul contenuto della relazione. Abbiamo trovato davanti a noi un ostinato muro di gomma. Impassibili anche di fronte all’evidenza, tutti i consiglieri di maggioranza (almeno quelli che hanno ascoltato le nostre parole) hanno preferito fare la pessima figura di votare un atto completamente fasullo piuttosto che sottrarsi alle direttive impartite dall’alto. E la figura apicale a Labico non è quella del Sindaco, anch’egli allineato e coperto alle altrui indicazioni.

24 agosto 2009

Il Silenzio degli insipienti

Non una parola sulle dimissioni di Di Stefano. Silenzio tombale sulla gestione dell’appalto della mensa. Scomposta fuga per non rispondere alle interrogazioni. Una nuova imbarazzante figuraccia della maggioranza.



Dopo un mese e mezzo alla fine sono riusciti a convocare il consiglio comunale. C’erano un paio di delibere di bilancio che non potevano aspettare e quindi “hanno” deciso di svolgere il consiglio l’ultimo venerdì del mese di luglio, con quattro settimane di ritardo rispetto alla data concordata.


Le sedute consiliari rappresentano l’unica opportunità di un confronto pubblico con i nostri amministratori e sono le occasioni che noi utilizziamo per cercare di affrontare importanti questioni.


Con fatica, certo, perché gli esponenti della maggioranza cercano in tutti i modi di “tapparci la bocca” quando solleviamo problemi che riguardano il paese o che mettono in luce alcune “stravaganze” del loro modo di gestire la pubblica amministrazione. In particolare il vicesindaco comincia ad agitarsi sulla propria sedia e cerca di costringere chi conduce l’assemblea a toglierci la parola. La sua argomentazione è sempre la stessa “non è all’ordine del giorno”. Nulla che possa apparire una critica al loro modo di agire dovrebbe mai essere all’ordine del giorno.


Nella loro personale visione della “politica” i consigli comunali dovrebbero servire semplicemente a ratificare le decisioni prese nel “Palazzo”, senza confronto, senza contraddittorio, senza informazione. Un passaggio burocratico per dare una parvenza formale di correttezza procedurale. Nulla di più.


Parliamone ora, dunque, delle questioni che vorremmo affrontare in un contraddittorio pubblico e cerchiamo di capire come mai ogni volta replicano col silenzio o con la fuga.


La prima questione che abbiamo posto è stata quella delle dimissioni dell’assessore Remo Di Stefano. Dimissioni che hanno cercato di tenere nascoste e sulle quali hanno sempre cercato di evitare di esprimere una qualsivoglia considerazione di carattere politico. Per avere copia della lettera di dimissioni abbiamo dovuto fare una richiesta scritta al Sindaco e farla protocollare in Comune. Sono trascorse alcune settimane prima di poterla vedere. Quando finalmente ne siamo entrati in possesso abbiamo scoperto che Remo Di Stefano, correttamente, aveva inviato la lettera a tutti i consiglieri comunali. Peccato che nessuno si sia preso la briga di recapitarla ai destinatari. Chi è responsabile di questa – grave – mancanza? Giriamo nuovamente la domanda agli interessati (in consiglio non hanno risposto, come da copione). In una situazione normale si chiama “omissione di atti d’ufficio” ed è un comportamento ingiustificabile. Questo episodio fa nascere il sospetto che altre missive non ci siano mai state consegnate. E se qualche cittadino ha pensato di scriverci attraverso il Comune potrebbe essere rimasto deluso dal nostro silenzio. Ebbene, si sappia, “qualcuno” ha deciso che ai consiglieri di minoranza non debba neppure essere consegnata la posta. Magari anche in questa circostanza si scaricherà la colpa “agli uffici”. Torniamo alle dimissioni e proviamo a ricostruire la vicenda. Remo Di Stefano ha rassegnato le proprie dimissioni da assessore il 19 maggio scorso. Dimissioni che, secondo la legge e la giurisprudenza, dovrebbero ormai essere efficaci. Non per il Segretario che interpretando a piacimento le norme ha deciso che le dimissioni non valgono fino a quando non vengono ratificate dal Sindaco, inventandosi di sana pianta una disciplina “ad hoc” per la situazione labicana. Abbiamo chiesto lumi anche sull’indennità di carica che, a quanto pare, l’ex assessore sta continuando a percepire. Dall’amministrazione un muro di gomma. Anzi, hanno cercato di fermare il dibattito forzando in modo vergognoso il regolamento comunale. A questo punto abbiamo presentato un ordine del giorno con cui abbiamo chiesto di chiarire pubblicamente la vicenda. E qui la maggioranza è riuscita in qualcosa che va al di là di ogni pudore.


Hanno votato tutti contro (a parte Di Stefano che si è astenuto, in quanto parte in causa). Dunque per i consiglieri di maggioranza bisogna tenere nascoste questioni importanti come il sapere chi e a che titolo ha la responsabilità su materie come urbanistica e bilancio, bisogna occultare il fatto che c’è qualcuno che percepisce uno stipendio senza fare nulla e via dicendo. E il fatto che abbiano votato contro la nostra richiesta di trasparenza dà la misura di come gestiscono la pubblica amministrazione: nell’ombra e senza nulla far sapere ai cittadini. A conferma di questo c’è la seconda questione che abbiamo provato a sollevare: ossia la gestione “carbonara” di una delle questioni più importanti e più delicate che l’ente locale è chiamato ad affrontare: l’appalto per la mensa scolastica. Come abbiamo già avuto modo di dire avremmo voluto che il capitolato venisse gestito in modo trasparente e cercando il contributo di tutti, anche e soprattutto delle persone che, per impegno e competenza, seguono da anni il problema. Nulla da fare. Si sono guardati bene dal portare la questione in commissione (e tantomeno in consiglio) e il Segretario ha risposto alla mia richiesta con una lettera molto dura. In pratica il Segretario – il cui comportamento lo rende sempre meno garante della legalità e sempre più organico alla maggioranza – ha sostenuto una tesi veramente singolare, ossia che un appalto come quello della mensa scolastica è completamente sottratto all’indirizzo dell’amministrazione politica, ma è del tutto affidato al responsabile del servizio. Tesi avvalorata dall’autorevole esperto di diritto amministrativo, il nostro vicesindaco, che mi ha dato una pubblica lezione con un’intervista su un quotidiano locale. Peccato che non sia stato capace di reggere il contraddittorio pubblico a cui l’ho invitato in consiglio comunale. Peccato che né lui né il Segretario (non mi è chiaro se suo o del Comune) siano stati in grado di argomentare leggi, dottrina e giurisprudenza alla mano una sì audace tesi giuridica. Io, nel mio piccolo, mi ero attrezzato con la normativa vigente, sentenze amministrative, analisi dottrinarie, prassi applicativa.


L’unica cosa di cui sono stati capaci è di mettermi a tacere. Non una risposta sul merito, non una replica sui contenuti. Solo l’arroganza del potere di levarmi la parola. Chiunque abbia assistito al consiglio si è potuto rendere conto dell’incapacità di chi amministra di argomentare le proprie tesi. E quando Spezzano ha ironicamente definito “monarchia” il modello di governo adottato dalla maggioranza è stata pronta la replica della capogruppo Ricci che ha detto “la monarchia di chi ha più voti”.


Come se prendere più voti giustificasse ogni cosa, anche il mancato rispetto delle regole democratiche. Altre questioni avremmo voluto sollevare, ma non c’è stato nulla da fare. Siamo passati agli atti di bilancio, sul primo dei quali ancora una volta il vicesindaco faceva pressioni sul Presidente asserendo che non dovevo intervenire (è letteralmente terrorizzato all’idea) ed è stato veramente imbarazzante vedere che nessuno della maggioranza sapeva di cosa si parlava. Non c’era nessuno che avesse voglia di illustrare i provvedimenti. E, solo dopo le nostre insistenze, il Sindaco ha di malavoglia farfugliato qualcosa nel maldestro tentativo di spiegarne il contenuto. Verso le 14 si è capito che non avremmo fatto in tempo ad esaminare gli atti relativi alla variante al P.R.G. e abbiamo chiesto di passare alle interrogazioni. Ero stato fin troppo facile profeta nel pronosticare che non avrebbero mai avuto il coraggio di rispondere. Il Sindaco – un vero acrobata del buonsenso – ha detto che avrebbe dato risposta scritta alle interrogazioni. Per l’ennesima volta smentendo sé stesso, che in diverse occasioni aveva preso il solenne impegno di rispondere in aula a tutte le interrogazioni, se l’è svignata. A rendere ancora più imbarazzante la fuga è stata la motivazione: “motivi istituzionali”. Quali? Abbiamo chiesto. Al momento non gli è venuto in mente nulla. Poi un lampo: “mi devo vedere col Sindaco di Valmontone”. E perché? Insistiamo.


Qui la risposta non è intellegibile. L’imbarazzo è evidente e la sensazione che sia una bugia è piuttosto netta. Ma quando Spezzano dice “adesso telefoniamo al Sindaco di Valmontone” l’irata replica (“telefona a chi c…o ti pare”) cancella ogni residuo dubbio…  

4 agosto 2009

Famolo strano

In più di una circostanza autorevoli esponenti della maggioranza hanno reagito in modo risentito alla pubblicazione del nostro giornale. Ci hanno accusato di avere “un modo strano di fare politica” (testuali parole). Sostanzialmente il fatto di rendere pubbliche faccende da loro considerate private sembra indisporli oltremodo. Peccato che l’amministrazione di un Comune sia questione di pubblico interesse e una sua impropria gestione in forma privatistica non ne legittima la privatizzazione. Ed è in questa anomalia che trova spiegazione la loro scomposta reazione. Proprio non riescono a digerire il fatto che qualcuno cerchi di spiegare ai cittadini cosa succede, proprio non si capacitano delle richieste di correttezza e di trasparenza, proprio non riescono a farsi una ragione dei richiami alla legalità ed al rispetto delle regole. Tutto questo per loro costituisce un modo strano di fare politica. Ma se davvero trasparenza, correttezza, pubblicità, legalità sono delle stravaganze, se un approccio alla politica che si basa su questi principi viene giudicato “strano”, allora non avremo alcun imbarazzo nel dire: “Famolo strano”.

23 luglio 2009

I Verdi si sono persi

Articolo pubblicato su Terra

7 luglio 2009. Regione Lazio. Sede del Consiglio regionale, via della Pisana milletrecento e spicci. Temperatura effettiva 37 gradi all’ombra. Temperatura percepita: al limite dello squagliamento. Uno sparuto gruppetto di cittadini manifesta la propria contrarietà al corridoio tirrenico e alla bretella Cisterna - Valmontone. Verdi presenti: praticamente nessuno. Viene da chiedersi perché. La bretella è un’opera inserita nella celeberrima “legge-obiettivo”, fortemente criticata non solo dagli ambientalisti e dalla “sinistra”, ma anche dalla più ampia e variegata coalizione che all’epoca sedeva sui banchi dell’opposizione. Non si tratta di una semplice opera pubblica, sul cui merito, utilità e specificità si può dibattere. Si tratta di un principio.

Dell’affermazione di un modello - trasportistico, produttivo, di sviluppo, di consumo del territorio, culturale - ben preciso. Un modello che è fortemente avversato dalla visione ecologista e ambientalista e che, fino a qualche anno fa, veniva contrastato anche dai Verdi e da larga parte della sinistra. Fino a qualche anno fa, appunto, non molto in termini di tempo ma un’era geologica in termini politici. Negli ultimi quindici mesi, infatti, sono cambiate molte cose e non serve dilungarsi sull’evento politicamente più significativo: la pressoché totale scomparsa dalle istituzioni di eletti Verdi.

Questo comporta un quadro anomalo, con un partito ancora formalmente attivo ma che appare quantomeno frastornato e che comunque dedica le proprie energie quasi esclusivamente alle strategie per riconquistare una propria rappresentanza istituzionale. Il problema sta tutto o comunque molto - dentro questa parola: rappresentanza. Rappresentanza non può, infatti, essere considerata la semplice indicazione delle persone cui affidare un ruolo elettivo “quale che sia”, ma deve - per l’appunto - essere una rappresentanza di tipo “politico”. Ossia l’eletto deve (dovrebbe) essere portatore di quella visione, strategia e “cultura” di cui il partito dichiara di farsi interprete.

E qual è questa cultura per i Verdi o, in caso di allargamento degli orizzonti, di Sinistra e libertà? è (o dovrebbe essere) una cultura che prevede una profonda riforma del sistema economico e produttivo. Il legame tra economia ed ecologia è stato in più occasioni il tema della nostra azione politica e abbiamo fatto convegni, elaborato documenti, formulato proposte molto serie e concrete. Si parte dalla consapevolezza che il fabbisogno di risorse di cui necessitano i Paesi più sviluppati non può né estendersi all’intero pianeta, né durare ancora per molto. è dunque necessario ripensare il sistema. Convertire la produzione energetica dalle fonti fossili alle rinnovabili. Ridurre e razionalizzare i consumi e ridurre la produzione di rifiuti.

Evitare le produzioni alimentari ad alto consumo di suolo e di risorse idriche. Passare alla filiera corta della stragrande maggioranza dei comparti produttivi. Tutelare e valorizzare le zone agricole. E, soprattutto, ci vuole coerenza tra l’affermazione teorica di questo modello e l’agire politico. Una coerenza che è venuta clamorosamente a mancare nell’approvazione di un’opera pubblica che sposa perfettamente il modello produttivo sviluppista e cancella ettari di quell’agro romano che - a parole - si dice di voler tutelare.

Nel Lazio si sta assistendo a un consumo di territorio drammaticamente preoccupante e chi amministra la Regione, anziché arginare un fenomeno che rischia di compromettere irrimediabilmente l’identità territoriale, oltre ad approvare opere infrastrutturali devastanti prepara anche un “piano casa” decisamente filoberlusconiano che aggraverà ulteriormente la situazione. Il tutto senza pensare minimamente alle conseguenze sulla mobilità di uno sviluppo sempre più dispersivo e incoerente degli abitati e degli ambiti produttivi, promuovendo, di fatto, la forma di mobilità più aggressiva e dannosa: quella su gomma. Tutto questo però sembra sia stato cancellato dal dibattito all’interno dei Verdi, troppo presi a cercare una collocazione politica al proprio involucro per ricordarsi cosa c’era dentro.

15 luglio 2009

Il grande sonno labicano

Uno degli elementi fondanti del “sistema” adottato dagli amministratori labicani è la politica del silenzio. Non si deve sapere nulla, non si deve parlare di nulla. Bisogna ridurre al minimo (purtroppo per loro la legge qualche obbligo lo prevede) l’informazione sull’attività amministrativa. Bisogna addormentare il dibattito politico. E i consigli comunali? Quelli sono un bel problema. Sono un’occasione di confronto con l’opposizione e – nonostante la calcolata scelta di collocarne lo svolgimento in giorni e orari in cui la gente normale lavora – qualche malcapitato cittadino potrebbe finanche assistervi, potendo così toccare con mano l’insipienza di coloro ai quali è stata affidata la gestione della cosa pubblica. L’unica soluzione è non farli. Teoricamente però il Sindaco sarebbe tenuto a rispondere alle interrogazioni presentate dai consiglieri. Invece quella che – agli occhi ingenui di persone abituate al rispetto delle regole e delle istituzioni – potrebbe sembrare una buona ragione per convocare il consiglio diventa un’ottima ragione per non convocarlo affatto. Le interrogazioni infatti contengono quesiti imbarazzanti ai quali al massimo sono in grado di rispondere per iscritto con poche righe in cui non si dice assolutamente nulla, ma è assolutamente da evitare l’idea di presentarsi in una seduta pubblica a cercare maldestramente di sostenere le ragioni di quel nulla. Poi, magari, qualcuno proverà a raccontare la favoletta dell’impossibilità di rispondere alle interrogazioni perché “non c’è tempo” o per colpa dell’”ostruzionismo dell’opposizione”. Sciocchezze. L’ordine del giorno dell’ultimo consiglio comunale conteneva appena tre punti e da un mese siamo completamente fermi, nonostante l’accordo preso nella riunione dei capigruppo di convocare il consiglio il 3 luglio. Da allora nessuna notizia da parte degli amministratori.
Eppure le questioni da affrontare sarebbero molte e importanti. Ad esempio dopo oltre un anno di consigli comunali convocati con una frequenza inusuale (praticamente una media di due consigli al mese, nonostante una pausa “forzata” di due mesi e mezzo per consentire il più ampio possibile dispiegamento di forze a beneficio della candidatura del vicesindaco alle provinciali) per esaminare le 161 osservazioni alla variante al P.R.G. ecco cadere un improvviso silenzio. Noi abbiamo chiesto di darci numeri, dati, cartografia, aggiornamento delle norme tecniche. Nulla. Non si sa nulla. Eppure ci dovrebbe essere un nuovo passaggio in consiglio prima di inviare tutto alla Regione. Niente. Vuoto pneumatico e nessuna risposta. Dell’appalto mensa neppure parlarne. Proprio non è nelle loro corde l’ipotesi di muoversi in modo trasparente e di portare i documenti in commissione per una valutazione più approfondita. Noi, ad esempio, avremmo proposto di coinvolgere quei genitori che – per competenza ed esperienza – erano stati individuati per vigilare sulla qualità del servizio. Avremmo voluto un’amministrazione che collaborasse con la cittadinanza e la informasse delle proprie scelte. Invece hanno preferito chiudersi nelle loro stanze e gestire un appalto pubblico come se fosse qualcosa di personale. Poi, a fronte della mia pubblica censura di questo comportamento, arriva la risposta “piccata” del vicesindaco (ormai autopromosso titolare della sovranità locale a tutti gli effetti) che si mette a dare lezioni di diritto amministrativo. C’è sempre da imparare e prometto che non perderò neppure uno dei suoi seminari. Sempre a proposito del vicesindaco abbiamo scoperto una palese irregolarità nel permesso di costruire, che quando era sindaco, aveva dato a sé stesso in piena violazione della normativa regionale vigente. Ovviamente prima di dare un giudizio definitivo sulla vicenda avremmo piacere di avere qualche spiegazione e per questo abbiamo presentato un’interrogazione al sindaco (formale), che attualmente ha l’interim sull’urbanistica e che all’epoca dei fatti era assessore all’urbanistica. I bookmaker non prendono neppure in considerazione la possibilità che qualcuno si prenda la briga di risponderci. La vicenda non è l’unica ovviamente e molte altre sono le questioni su cui gradiremmo avere qualche spiegazione da parte di chi amministra. Sempre il vicesindaco si è preso la libertà – ancora una volta nelle vesti di primo cittadino – di aggirare sfacciatamente la normativa sugli appalti per realizzare opere di manutenzione stradale che mai si era sognato di considerare durante il mandato e che, guarda caso, a poche settimane dalle elezioni diventavano improvvisamente urgenti ed indifferibili. O ancora, nuovamente con il placet del principe del diritto amministrativo, si affidavano i lavori di restauro del campanile della chiesa in violazione della normativa sugli appalti. Ci piacerebbe anche sapere che fine ha fatto la strada che attraversa la proprietà del sindaco nonché l’atto di permuta che era stato portato con urgenza in consiglio comunale il 6 febbraio e di cui – a cinque mesi di distanza – non si è più avuto notizia. Per non parlare della farsa delle elezioni dell’assessore, che si è dimesso il 19 maggio, ma il cui nome compare ancora nella composizione della giunta. Un’irregolarità amministrativa? Niente affatto replica convintamente il segretario comunale, ormai assuefatto all’idea che Labico sia una zona franca dell’ordinamento giuridico italiano, le dimissioni dell’assessore godono di una disciplina ad hoc e quindi – aggiungo io - l’assessore rimane in carica (e si becca lo stipendio) anche se passa l’estate da dimissionario alle Maldive. Del resto bisogna capirlo: che ci si rimane a fare a Labico se il consiglio non si riunisce e il programma dell’estate labicana è quello che è?

27 giugno 2009

Sulla strada della democrazia


Una delle maggiori difficoltà che incontriamo come opposizione è quella di convincere la maggioranza – o almeno la parte di essa che conta e che decide – della necessità di rispettare alcuni principi democratici. A volte si ha la sensazione che la loro non sia sempre, o che non sia solo, una visione padronale della gestione della cosa pubblica. Talvolta la sensazione è che proprio non abbiano idea di cosa significhi “pubblica amministrazione” e tantomeno siano a conoscenza dei requisiti fondamentali ed irrinunciabili che ad essa si ricollegano.


Principi per il cui rispetto è necessario che l’attività amministrativa si svolga tenendo conto di alcuni diritti dell’opposizione. Il problema è ancora una volta di tipo “culturale”. E’ proprio la parola “diritto” che non trova agevolmente cittadinanza nel “sistema” che si è affermato nella politica labicana. Molti cittadini che hanno avuto a che fare con l’amministrazione locale lo hanno imparato sulla propria pelle. Di fronte ad una qualunque richiesta è raro avere delle risposte precise. Spesso è necessario passare il filtro di qualche amministratore, quando nella stragrande maggioranza dei casi dovrebbero essere gli uffici – sulla base dell’applicazione di un criterio imparziale e di agevole conoscibilità – a stabilire se la richiesta sia oppure no meritevole di accoglimento. Risposte scritte non vengono date facilmente, mentre invece dovrebbe essere la norma. Insomma quello che normalmente è (o dovrebbe essere) una semplice e chiara applicazione di norme e regolamenti diventa una melma appiccicosa in cui il cittadino non riesce a districarsi e finisce col doversi raccomandare al potente di turno. Ed è lì che il diritto diventa concessione. E’ lì che un atto dovuto si tra sforma in favore. E’ lì che si cerca di trasformare il rapporto cittadino-pubblica amministrazione in rapporto suddito – sovrano, alla cui benevolenza è necessario affidarsi.


Tale e tanta è la convinzione di essere nel giusto che si applica il “metodo” anche al rapporto con l’opposizione, alla quale si è disposti a concedere alcuni “favori”, in cambio di una sorta di acquiescenza rispetto alle scelte del manovratore. Credo sia superfluo dire che non siamo mai stati disponibili a simili compromessi, che avrebbero come unico risultato quello di farci perdere quella credibilità politica che siamo riusciti a guadagnare con due anni di opposizione ferma e intransigente, ma al contempo costruttiva e propositiva. E così, lentamente, stiamo riuscendo ad incidere sui meccanismi e sulle dinamiche istituzionali, imponendo il rispetto di regole comuni e condivise. La nomina del Presidente del consiglio comunale sarebbe dovuta andare in questa direzione e sono state necessarie le prime due convocazioni e la nostra ferma protesta di fronte all’iniziale inosservanza degli accordi stabiliti per trovare un punto di equilibrio.


E’ così che abbiamo avuto la prima riunione dei capigruppo per concordare un programma di massima dei prossimi consigli comunali, sulla base di un principio elementare di democrazia: regole e organizzazione dei lavori vengono stabiliti insieme, ci sarà modo e tempo di dividersi sul merito e sui contenuti.


Finalmente poi avremo risposte in consiglio comunale alle nostre interrogazioni e questo permetterà di dare vita ad un confronto pubblico su questioni di grande rilievo per la collettività.


Io non sono ancora sicuro che avranno il coraggio di rispondere a tutte, ma proverò ad essere ottimista.



13 giugno 2009

Giordani: un sindaco “usa e getta”?


Alle modalità della pratica politica labicana bisogna abituarsi. Non intendo, in questa sede, dare un giudizio su come viene interpretato il ruolo di pubblico amministratore da parte degli esponenti della maggioranza, ma provo ad adeguarmi. Bisogna liberarsi della convinzione che tra i valori della politica ci siano requisiti come chiarezza, trasparenza e informazione.

Per chi amministra questo paese tali elementi non sono solo eventuali, ma anche perniciosi per chi controlla il potere. E così a Labico si può assistere ad una “crisi di governo” di cui non si parla minimamente, né la si porta nella sua sede naturale – ossia il consiglio comunale – come abbiamo chiesto noi dell’opposizione. Si attribuiscono le motivazioni delle dimissioni di un assessore a problemi di salute, quando il diretto interessato sembra aver detto cose ben diverse. Dunque, per provare a capire qualcosa delle vicende politiche labicane, non bisogna affidarsi agli strumenti interpretativi tradizionali, ma è necessario cogliere i “segnali”, che in qualche modo vengono lanciati dai protagonisti. La situazione di crisi della maggioranza è ormai fuori discussione e - al di là dell’ammirevole abnegazione di qualche esponente della stessa, disposto a negare anche l’evidenza nel tentativo di sottrarsi all’imbarazzo – non si cerca neanche più di sostenere la linea del “tutto va bene madama la marchesa”, ma si applica la strategia del silenzio o della minimizzazione. In attesa che i nostri amici riescano a ricomporre i frammenti di quella che era considerata una solidissima coalizione, si assiste ad un altro passaggio importante. Il ruolo di Giordani - formalmente sindaco del nostro piccolo comune, ma la cui reale leadership all’interno della compagine di governo non ha mai goduto di particolare considerazione - si sta via via ridimensionando. Stiamo assistendo ad una progressiva esautorazione, con l’evidente scopo di riportare in auge colui il quale non hai mai digerito il fatto di dover cedere la poltrona al suo vice: Alfredo Galli. Il quale, ricordiamolo, aveva subito chiarito i rapporti di forza spiegando in un’intervista che Giordani faceva il sindaco solo perché lui (Galli) non poteva ricandidarsi. A quanto pare però ormai il ruolo di “vice” sembra vada un po’ stretto a quello che qualcuno più o meno scherzosamente aveva definito il “vero sindaco” e la sensazione è che stia iniziando a riprendersi quello che considera un suo diritto naturale. In molte occasioni pubbliche delle ultime settimane è stato sempre lui a rappresentare l’amministrazione comunale, dalle festività della Madonna del Rovo alla cena organizzata dalla società di pallavolo. Per non parlare degli articoli pubblicati nei giornali locali, nei quali – inspiegabilmente si trovano pressoché esclusivamente i virgolettati del vicesindaco. Non sono in molti a pensare che la maggioranza voglia dare un’altra chance a Giordani, la cui unica funzione sembra essere stata quella di occupare una casella preclusa al vicesindaco (la legge vieta di svolgere più di due mandati consecutivi), ma viene il dubbio che questa improvvisa accelerazione sia finalizzata a cambiare il capitano prima della fine del tempo regolamentare. Una semplice lettura di queste vicende ci permette però di intuire a quali maestri del pensiero politico e filosofico si sia ispirato il nostro intramontabile sommo amministratore: Machiavelli e Bentham. Certo il “fine” di Machiavelli forse era un po’ più alto e nobile di quello di Galli e indubbiamente l’utilitarismo pensato da Bentham non si poteva così disinvoltamente tradurre in una concezione “usa e getta” dei rapporti politici e personali, ma forse sarebbe un po’ eccessivo pretendere qualcosa di più. E poi questo consumismo della politica causa dei dubbi laceranti. Ci fa pensare che qualcuno che è servito venga poi messo alla porta così come se nulla fosse. Ci fa riflettere il fatto che una persona abbia ormai svolto la sua funzione e quindi venga buttata via come un paio di vecchie scarpe. Tutto questo provoca in noi un profondo senso di disagio e ci fa ronzare in testa un drammatico enigma: ma dove si butta un vecchio sindaco in un paese in cui non è ancora partita la raccolta differenziata porta a porta?

23 maggio 2009

La giunta perde i pezzi. Una maggioranza allo sbando

A quanto pare le nostre sensazioni sullo stato di salute della maggioranza erano più che fondate. Le divisioni interne sembrano ormai avere preso il sopravvento e all’interno del palazzo comunale si respira un’aria pesante. Il primo a farne le spese è stato Remo Di Stefano, assessore “multidelega” (bilancio e urbanistica) che sbatte la porta e se ne va proprio mentre le materie di sua competenza attraversano un momento cruciale: l’urbanistica con l’invio di una contestatissima variante al piano regolatore generale in Regione e il bilancio quando il consiglio comunale deve approvare il rendiconto dell’anno 2008. Nella discutibile prassi della politica labicana nulla si sarebbe voluto far trapelare rispetto ad un fatto molto grave per la compagine di governo. Qualcuno sostiene che siano in atto anche dei tentativi di ricomporre la frattura prima ancora che la cosa diventi ufficialmente di dominio pubblico. Noi ci auguriamo che non succeda, perché denoterebbe una intollerabile mancanza di serietà politica ed istituzionale da parte della maggioranza. Le dimissioni di un assessore non possono essere gestite come il capriccio di un bimbo che non vuole partecipare più al gioco con gli amichetti. Con un bimbo si parla e lo si convince a tornare sui suoi passi. Per un amministratore pubblico sarebbe a dir poco imbarazzante seguire una strada simile. Se c’è stato un grave elemento di disaccordo (al punto da rinunciare all’incarico) tra l’assessore dimissionario e l’indirizzo politico della giunta è giusto che il consiglio comunale e la cittadinanza ne vengano informati. Nei consessi regolati dai principi della democrazia le crisi di chi governa vanno portate nell’assemblea elettiva di riferimento. E le ragioni della crisi di una giunta comunale andrebbero illustrate in consiglio comunale, che è la sede istituzionale e pubblica dove ha – o almeno dovrebbe avere - luogo il dibattito politico a livello locale.

Noi possiamo solo cominciare ad avanzare delle ipotesi e a fare alcune considerazioni.

Intanto si registra un sostanziale indebolimento di Alfredo Galli, da molti considerato l’indiscusso leader della coalizione, il quale ha fatto di tutto per sottolineare il mantenimento del proprio ruolo a costo di mettere in discussione quello di chi attualmente ricopre la carica di Sindaco. Un Sindaco, Andrea Giordani, che in questi due anni ha visibilmente pagato il prezzo di una carriera politica vissuta all’ombra dell’ingombrante personalità del suo predecessore, ma che adesso non sembra più troppo disposto a svolgere il ruolo di comprimario. Se la politica si limitasse a questi scontri di potere ce ne staremmo volentieri alla finestra a guardare quello che succede, ma, per fortuna, il fine ultimo della politica è un altro: la gestione della cosa pubblica nell’interesse della collettività. Di questo noi siamo da sempre consapevoli ed è su questo che abbiamo costruito un buon lavoro come gruppo di opposizione. Un lavoro ripagato dall’apprezzamento dei tanti cittadini che ci ringraziano per il nostro continuo impegno in nome della trasparenza e della legalità. Peccato che così non sia per l’attuale maggioranza, talmente presa dalla propria resa dei conti interna, dall’aver dimenticato completamente la macchina amministrativa e l’attività consiliare.

E’ passato ormai più di un mese dall’ultimo consiglio comunale e non è dato sapere quando si terrà il prossimo. La ragione è piuttosto evidente: una maggioranza litigiosa e allo sbando, pressata dalle nostre continue richieste di chiarimento e di confronto, rischia di fare uscire allo scoperto tutte le sue contraddizioni, con effetti devastanti sulla stabilità della coalizione. E a quanto pare ormai l’unico collante della maggioranza non è tanto tra i singoli elementi che la compongono ma tra le loro terga e le poltrone che occupano, in alcuni casi da tempo immemore. Ed è questo l’elemento patologico di questa amministrazione, i cui esponenti sono ormai talmente ammaliati dal ruolo istituzionale da essere intimamente convinti che sia quello l’obiettivo, quando invece l’obiettivo – in una politica sana e irreprensibile – è quello della buona amministrazione a beneficio dei cittadini.

Il livello di confusione di questa maggioranza è tale da aver scambiato il fine (la buona amministrazione) con il mezzo (la “poltrona” di amministratore). E se il mezzo diventa il fine, tutti i mezzi rischiano di diventare leciti. In una perversa e machiavellica spirale di degrado amministrativo e istituzionale le cui deleterie conseguenze gravano sull’intera comunità labicana. Il primo – e al momento l’unico – atto di vera responsabilità nei confronti del paese che potrebbe compiere l’attuale giunta comunale è quello di lasciare il campo. Di danni ci sembra ne abbia fatti abbastanza.

16 maggio 2009

Maggioranza in bilico?


La situazione della maggioranza è piuttosto strana. Proprio nel momento in cui la credibilità della coalizione aveva raggiunto il minimo storico succede qualcosa di paradossale. Il Sindaco – a cui vanno i nostri sinceri auguri – è costretto da problemi familiari a lasciare il campo. A qualcuno sta facendo comodo la sua assenza, in modo da poter continuare agevolmente a gestire la macchina amministrativa. I più maliziosi potrebbero sostenere che non cambi molto, ma in realtà cambia moltissimo.
Si può discutere a lungo su quanto davvero Giordani potesse decidere la linea politica dell’amministrazione, soprattutto nella materia in cui il suo alter ego, Galli, ha sempre dimostrato una certa “sensibilità”, ossia l’urbanistica, ma il ruolo politico di Giordani era chiaro e soprattutto veniva esercitato in particolar modo coordinando i lavori delle sedute consiliari. Sarà un caso, ma la nomina del presidente del consiglio comunale è avvenuta dopo oltre un anno e mezzo dalla sua istituzione. Qualcuno ricorderà la gran fretta con cui venne approvata la modifica dello Statuto, per poi lasciarla inattuata. Qualcosa nel Palazzo evidentemente era cambiato. In questo anno e mezzo abbiamo assistito ad un progressivo logoramento della compagine di governo locale e ad una continua perdita di credibilità. Li abbiamo incalzati su tutti gli argomenti e spesso e volentieri abbiamo messo in luce le tante contraddizioni di chi confonde la pubblica amministrazione con l’esercizio del potere. Diversi esponenti della maggioranza – spesso ignari quanto noi delle decisioni che venivano assunte dai maggiorenti e a cui si dovevano remissivamente allineare – hanno in più circostanze manifestato il proprio disagio per questa situazione, faticando non poco a vestire il ruolo di corresponsabili di scelte che passavano sopra le proprie teste. Le tante incongruenze di una variante al piano regolatore ritagliata su esigenze ben distanti dal benessere della collettività non aiutavano certo a mantenere la coesione di una maggioranza sempre più sfilacciata. In una situazione così ci si aspetta che i problemi personali del Sindaco finiscano con il danneggiare la stabilità dell’intera coalizione. Invece, ed è questo il paradosso, l’uscita di scena di Giordani – seppur temporanea – sembra produrre l’effetto opposto. In pratica Galli ripropone in modo meno ambiguo il proprio ruolo di tessitore e sia i portatori di più alte ambizioni sia i “maldipancisti” si sono dovuti rapidamente rimettere in riga.
Per l’opposizione non cambia molto. La nostra battaglia continuiamo a farla con grande chiarezza e trasparenza. Speriamo solo che l’assenza del Sindaco – abilmente strumentalizzata da alcuni esponenti della maggioranza - non diventi un ulteriore alibi per tutte le magagne dell’amministrazione, a cominciare dalle interrogazioni, per le quali lo Statuto prevede una risposta in consiglio comunale e che invece non siamo quasi mai riusciti ad avere. Così come sarà facile cercare di attribuire al Sindaco la responsabilità di questi due anni di mediocre amministrazione. Invece è successa una cosa molto semplice: con un grande lavoro, con un grande impegno, fatto con passione e competenza, un’opposizione compatta e tenace è riuscita in un’operazione che fino a poco tempo fa sembrava impossibile: scardinare il “sistema”. E, si sa, quando si rompe un meccanismo i primi a saltare sono gli anelli deboli.

Alle colonne d'Ercole

Alle colonne d'Ercole
La mia ultima avventura