24 novembre 2013

Scusi, posso fare una domanda?

Quello dei rifiuti è indubbiamente un tema centrale per le amministrazioni locali. La sempre crescente produzione dei rifiuti unita alla mancanza di una strategia complessiva che punti sia alla loro riduzione, sia ad una efficace raccolta differenziata, affida ai pubblici amministratori una responsabilità enorme, in base alla quale si possono misurare le loro capacità, la loro preparazione ed il loro impegno. Non è un caso se ci sono realtà dove si registrano grandi progressi, con percentuali di raccolta differenziata che superano abbondantemente l’80 per cento ed altre dove non si raggiunge il 10 per cento. Non credo che gli abitanti delle città più virtuose siano generalmente più virtuosi: probabilmente hanno degli amministratori più sensibili e motivati, che sono stati in grado di avviare un nuovo percorso culturale.
L’argomento è molto sentito e spesso ci sono cittadini e associazioni che provano a incoraggiare l’amministrazione a muoversi nella giusta direzione. A Labico, ad esempio, l’ha fatto l’opposizione consiliare e, in effetti, nel 2008, è partita una raccolta differenziata porta a porta. Ma, a distanza di ben cinque anni, poco si sa sui risultati raggiunti. Un’associazione culturale – Labicocca – ha promosso un convegno per sensibilizzare la popolazione, insistendo sull’importanza dei dati della produzione dei rifiuti e della raccolta differenziata, che ha chiesto inutilmente all’amministrazione. Lo stesso si può dire per il consigliere di minoranza Maurizio Spezzano, che in più occasioni ha chiesto i dati (a partire dal 2008), senza ottenere risposta.  Non contento ha provato a chiedere i dati a Lazio Ambiente, la società per azioni interamente posseduta dalla Regione Lazio che gestisce la raccolta dei rifiuti in alcuni comuni del Lazio (tra cui Labico). La risposta è stata un diniego, anche molto sbrigativo. Spezzano ha mandato una nuova lettera, facendo riferimento, tra l’altro, alla convenzione di Aarhus e la risposta è stata nuovamente liquidatoria, condita stavolta da una velata minaccia di procedere alle vie legali, per un presunto testo diffamatorio nel blog dello stesso Spezzano.
Cerco di ricostruire la questione. Intanto stiamo parlando di un tema di assoluta rilevanza per la collettività, la cui gestione può determinare importanti conseguenze per l’ambiente, la salute dei cittadini e anche per le loro tasche, visto che sono i cittadini a pagare il conto. Al di là delle norme, questi sono dati che basterebbe l’uso del buonsenso a rendere pubblici e facilmente visionabili. Le norme, però, ci sono. Dalla normativa sulla trasparenza nella pubblica amministrazione, al testo unico ambientale – il cui articolo 189 impone al Sindaco di comunicare i dati sulla raccolta dei rifiuti -, alle leggi regionali, alle direttive e convenzioni internazionali. A volte, probabilmente, non sono sufficientemente chiare e, con un po’ di malizia, ci si può aggrappare a qualche cavillo interpretativo per “non fare” ciò che dovrebbe essere pacifico solo guardando la ratio della norma, ossia l’obiettivo che essa vuole perseguire. La maggiore responsabilità per la mancanza di trasparenza ce l’ha, in tutta evidenza, il sindaco, ma l’atteggiamento di Vincenzo Conte, amministratore unico di Lazio Ambiente, appare decisamente irritante.
Vincenzo Conte è un politico locale del PDL, nominato in extremis al vertice dell’azienda di proprietà della regione da una Polverini ormai al tramonto, sommersa dalla vergogna della vicenda Fiorito. Al momento della scelta il PD parlò di “nomina illegittima” e di una “vera assurdità”, nonché “dannosa per l’erario”. Infatti – a quanto risulta – Conte percepisce la bellezza di 130mila euro all’anno (l’emolumento, sempre alla faccia della trasparenza, non è visibile sul sito di Lazio Ambiente) per guidare la società.  Insomma, con queste premesse, Conte avrebbe fatto bene ad avere un atteggiamento più rispettoso dei cittadini e delle istituzioni, invece si arrocca su inspiegabili sottigliezze semantico-giuridiche pur di non rendere noti dati di rilevante interesse pubblico. Pubblico come la società che lui dirige, pubblico come il lauto emolumento che percepisce, pubblico come il compito che gli è stato affidato. Tra l’altro, per tornare alla norma che il suo zelante direttore cita per nascondere i dati alla cittadinanza, la risposta di diniego, in riferimento al decreto legislativo n. 195 del 2005 (in materia di accesso del pubblico all’informazione ambientale), si limita a richiamare il contenuto del punto n. 1 della lettera a) del comma 1, dell’articolo 2, nel quale non sono citati i rifiuti. Peccato che non abbia avuto la pazienza, e forse l’umiltà, di proseguire nella lettura della norma. In tal caso avrebbe potuto leggere anche il punto n. 2 della lettera a) del comma 1, nel quale, non solo si fa un generico riferimento ai “fattori che incidono o possono incidere sugli elementi dell’ambiente”, ma anche l’esplicita indicazione dei rifiuti come fattore di interazione ambientale. Con un altro po’ di pazienza (e altrettanta umiltà) avrebbe avuto modo di leggere anche il punto successivo, che individua qualunque atto – e specifica “anche di natura amministrativa” – che possa incidere sia sugli elementi (punto 1), sia sui fattori (punto 2). Il combinato disposto di queste e altre norme sembra davvero facile da comprendere e l’intenzione del legislatore appare sufficientemente manifesta. Un’altra lettura utile potrebbe essere il recente documento dal titolo “Politica per la salute, la sicurezza e l’ambiente”, pubblicato proprio da Lazio Ambiente un paio di mesi fa, nel quale, tra gli impegni che la società assume solennemente, c’è anche quello di “Promuovere il dialogo e il confronto con tutti i portatori di interesse (lavoratori e loro rappresentanti, organi di controllo, autorità pubbliche, cittadini, associazioni. ecc.) attivando adeguati strumenti di partecipazione e tenendo conto delle loro istanze. Comunicare in modo trasparente le prestazioni delle attività aziendali”. E chi ha firmato questo bel documento? Proprio lui, l’amministratore unico della società, il dott. Vincenzo Conte.

Dunque, la reazione scomposta di Conte sembra davvero irragionevole, così come appare sgradevole il ricorso alla classica minaccia di querela – tipica dei potenti - con il chiaro obiettivo di cercare di intimidire chi cerca di occuparsi della tutela dell’ambiente e della salute dei cittadini. Sarei curioso anche di conoscere cosa ne pensa chi – come il consigliere regionale Agostini del PD – aveva aspramente criticato la nomina di Conte durante la campagna elettorale. Di fronte a questo atteggiamento così supponente dell’amministratore delegato di Lazio Ambiente, mi aspetterei, da parte di chi governa la Regione, una chiara presa di posizione per schierarsi senza se e senza ma dalla parte dei cittadini. A meno che, anche in regione, non siano troppo preoccupati per la tenuta delle larghe intese per occuparsi dei diritti della collettività.

3 novembre 2013

Grazie, basta così.

Nei giorni scorsi Labico è stata tappezzata con i manifesti della lista “Rinnovare per Labico”, in cui si dà notizia di una sentenza di assoluzione (in primo grado) per la questione dei pasti pagati dalla collettività e forniti gratuitamente ad un’azienda privata per decisione del sindaco Galli. Non è certo l’unica e neppure la più grave delle tante penose vicende che caratterizzano l’azione politica dei nostri amministratori. Per evitare che l’uso urlato di slogan riesca nel tentativo di distogliere l’attenzione dai fatti, ci troviamo costretti a ricostruire, ancora una volta, la questione.
Tutto nacque nell’estate del 2008 quando venne portata in consiglio comunale una delibera per dare un contributo finanziario ad una struttura privata. Nella premessa di quella delibera c’era scritto, nero su bianco, che il comune già forniva – a quella struttura – cinque pasti giornalieri. Si era potuto scoprire così che, nel mese di novembre del 2006, una non meglio precisata direttiva comunale autorizzava l’erogazione dei cinque pasti giornalieri a favore della struttura privata, senza che venisse siglato alcun accordo tra il Comune e il centro di infanzia sulle modalità di erogazione dei pasti e sul modo in cui questi pasti avrebbero potuto costituire un vantaggio per le famiglie dei bambini che frequentavano la struttura. Insomma un vero e proprio “regalo” da un soggetto pubblico ad un privato che veniva fatto, guarda caso, proprio a pochi mesi dalle elezioni amministrative comunali. Buona parte degli atti relativi a quel periodo sono privi di protocollo e qualcuno potrebbe dubitare della loro autenticità. Non è un caso che l’erogazione gratuita dei pasti all’azienda privata sia stata interrotta in gran fretta quando sono stati sollevati dubbi sulla correttezza della procedura (la sospensione, a differenza dell’atto autorizzativo, è avvenuta con documento protocollato). Se il sindaco fosse stato davvero convinto della bontà della sua azione amministrativa non avrebbe modificato di una virgola la situazione. Invece c’è stata una continua correzione di rotta. La delibera fu ritirata e corretta tre volte prime di essere approvata e la polemica tra opposizione e maggioranza divenne molto accesa, al punto che – dopo la pubblicazione di un volantino della maggioranza dai toni particolarmente aggressivi - il gruppo di opposizione decise di chiedere alla magistratura di valutare se la procedura seguita per l’erogazione dei pasti presso una struttura esterna fosse corretta. Non abbiamo denunciato nessuno e tantomeno abbiamo diffamato qualcuno. Abbiamo semplicemente svolto il compito di controllo che qualunque cittadino - e, a maggior ragione, se è consigliere comunale - ha il pieno diritto di esercitare. Del resto prima il pubblico ministero, poi il giudice dell’udienza preliminare hanno giudicato illegittima la procedura seguita per concedere la fornitura dei pasti ed è iniziato un procedimento per individuare eventuali responsabilità penali. Ma questo a noi interessa ben poco. La nostra battaglia per la legalità l’abbiamo vinta nel momento in cui l’amministrazione – proprio per la nostra azione di controllo – è stata costretta a fare tutto alla luce del sole e seguendo un iter procedurale corretto. Non è un caso che il nuovo capitolato d’appalto della mensa preveda la possibilità che vengano forniti pasti alle strutture private (mentre prima non era possibile) e non è un caso che per fornire i pasti e ed erogare risorse pubbliche ad un privato sia stata necessaria una delibera di consiglio comunale (mentre prima era stata sufficiente una telefonata direttamente alla ditta che forniva i pasti). Adesso almeno i cittadini possono sapere tutto e giudicare l’operato dell’amministrazione, mentre per ben due anni soldi pubblici venivano spesi a favore di un’azienda privata senza che nessuno ne sapesse nulla. Sulla vicenda processuale preferiamo non pronunciarci, per due ragioni: la prima è che mancano ancora le motivazioni della sentenza, la seconda è che non è – al momento - una sentenza definitiva, quindi potrebbero emergere fatti nuovi.
Sulla questione appare necessario fare qualche altra considerazione. In primo luogo quello che conta – al di là dell’accertamento di eventuali responsabilità penali o amministrative – è il giudizio politico sulle azioni di chi governa un paese. Molte scelte, formalmente legittime, potrebbero essere piuttosto discutibili. Per esempio un’amministrazione comunale potrebbe assegnare gratuitamente un locale di proprietà del comune al titolare di una rivendita di giornali. Un’attività che riveste indubbiamente un qualche interesse per la collettività e che, quindi, potrebbe giustificare la decisione degli amministratori, ma quanti troverebbero da ridire? E se il locale venisse dato senza alcun atto amministrativo? Non sorgerebbero ulteriori perplessità sul comportamento degli organi decisionali? E qual è il confine tra il lecito, l’illecito e il penalmente rilevante? L’unico organo titolato a rispondere a questa domanda è la magistratura e se un cittadino ha dei dubbi ha il diritto-dovere di attivare un suo intervento, nel proprio interesse e in quello della comunità a cui appartiene.
Su questo punto ci agganciamo ad un altro aspetto dello sgangherato attacco della coalizione di maggioranza, quello del costo per la collettività del processo. Intanto ci piacerebbe capire di quali costi stiamo parlando. Ci sono costi per l’amministrazione comunale per il processo? Sarebbe opportuno saperlo, perché la responsabilità penale è personale e non sarebbe elegante che gli amministratori avessero deciso di usare i fondi comunali per sostenere le spese legali di questo processo. In attesa di avere maggiori lumi in merito e considerato che saremmo ben felici se si adottasse la regola secondo la quale chi si è reso responsabile di sprechi della pubblica amministrazione pagasse di suo (anche noi, ovviamente, alla bisogna), facciamo un breve quanto necessariamente incompleto resoconto di alcuni degli sperperi del denaro pubblico degli ultimi anni:

Debiti fuori bilancio. Qualche anno fa il consiglio comunale fu costretto a pagare i costi di una transazione per evitare ulteriori problemi. Anche in quella circostanza il sindaco aveva seguito una procedura molto “singolare” per l’affidamento dell’esecuzione di un’opera. A lavoro ultimato la ditta chiedeva di essere pagata, ma nessuno si è degnato di dare risposta e così, tra solleciti e diffide, si era arrivati ad un costo di gran lunga superiore a cui si sono aggiunte le spese legali sostenute dal comune. Errori su errori dei nostri amministratori e spreco di denaro pubblico. Il conto, ovviamente, alla cittadinanza.
Questione Eiffel. Qualche anno fa è stato sottoscritto un accordo con un privato (il quale, in modo del tutto casuale, ha ottenuto degli appalti e l’inserimento di particelle in zona edificabile nel piano regolatore) per realizzare una sorta di città dell’arte, previo acquisto di un mucchio di ferraglia attualmente “parcheggiato” nella proprietà di un privato cittadino. Costo iniziale dell’operazione: 300mila euro.
Area di sviluppo industriale. Un’altra straordinaria cantonata di Galli e compagnia. Sono arrivati in consiglio comunale spavaldi e baldanzosi con una bella delibera preconfezionata per la devastazione di una vasta area del territorio labicano. Insensibili alle perplessità dell’opposizione hanno approvato l’atto, salvo poi ritirarlo quando hanno capito che gli abitanti di Colle Spina li avrebbero inseguiti con i forconi. Costo dell’operazione 20mila euro. Per il saldo rivolgersi al sig. Pantalone.
Pista ciclabile. Ne abbiamo parlato decine di volte. Il comune aveva annunciato in pompa magna la realizzazione di una bellissima pista ciclabile (la "più lunga della provincia di Roma"...). L’opera è inutile, incompleta (lo sarebbe anche se fosse terminata), ancora in fase di realizzazione, ma già in avanzato stato di degrado e abbandono. Costo previsto: circa 200mila euro.
Biblioteca comunale. Le vicissitudini della nostra biblioteca non sono facilmente riassumibili. Possiamo solo dire che, tra ristrutturazione locali, acquisto libri, pagamento della quota di adesione al sistema bibliotecario, l’ordine di grandezza delle spese sostenute ammonta a qualche centinaio di migliaia di euro. Risultato? Labico al momento non ha la biblioteca.
Depuratore comunale. La vicenda è fin troppo nota e anche qui ci sono indagini in corso della magistratura. Resta il fatto che a causa dell’incapacità dei nostri amministratori ci siamo ritrovati con depuratori inadeguati e fuorilegge (lo dicono i magistrati, non noi) al punto da farne disporre il sequestro. Questa faccenda ci è già costata oltre quattro milioni di euro di debito. Chi lo pagherà?

In effetti, con credenziali così, siamo stupiti anche noi dell’incomprensibile perdita di consensi di Alfredo Galli e della sua coalizione. Davvero molti elettori labicani dimostrano un ben magra gratitudine nei confronti di chi, in tanti anni di duro impegno nelle istituzioni, ha fatto davvero tanto per il paese. Ora però, forse, basta così. Grazie.


Tullio Berlenghi e Maurizio Spezzano

2 novembre 2013

Addio Max, che la pace sia con te

Quando ho conosciuto Massimo era ancora un ragazzo. Un’enorme massa di capelli ricci e neri circondava un bel viso, tondo e solare, da cui trapelava la sincera passione civile e politica che faceva di lui una delle migliori persone che io abbia mai conosciuto. Con lui ho condiviso programmi e progetti ed ho sempre invidiato – oltre alla massa di capelli ricci - la calma e la disponibilità che riusciva ad avere anche nelle situazioni più complesse. Situazioni in cui magari tu lo guardavi con aria preoccupata ed interrogativa come a dire “e adesso che si fa?” e lui rispondeva al tuo sguardo con un’espressione rassicurante, arricchita da un’occhiata impertinente e dal suo immancabile sorriso sornione.
Con Massimo ho percorso un lungo tratto di strada. Siamo stati colleghi. Abbiamo vissuto insieme la travagliata storia politica dell’ambientalismo e del pacifismo. Insieme abbiamo fatto molte battaglie (Massimo mi perdonerà la metafora bellica) e insieme le abbiamo perse, buona parte almeno. Eravamo, anzi, siamo amici. Amici non per caso, ma per scelta. Una scelta nata dalla sintonia culturale e dalla condivisione degli ideali. Massimo era meticoloso, ordinato, esigente. Con se stesso prima che con gli altri. E le sue aspettative in politica erano talmente alte da vivere con spirito critico anche la più valida delle proposte politiche. Non amava i compromessi e le trattative, che, a suo avviso, svilivano gli ideali. Nella categoria dei sognatori lui era il più sognatore di tutti. E se lo poteva permettere. Per la coerenza che caratterizzava il suo pensiero. Per molti di noi – sognatori o presunti tali – era un punto di riferimento. Si sa, il mondo ambientalista è pieno di contraddizioni. Il famoso “arcipelago” ha sempre avuto difficoltà a parlare un linguaggio comune. Massimo, invece, era la perfetta sintesi della cultura ecologista. Ambientalista, vegetariano, pacifista, portatore dell’etica del rispetto e della solidarietà. Non lo scopro adesso, ché Massimo non c’è più. Queste cose ce le dicevamo nelle chiacchierate dei momenti di disillusione della vita politica (un po’ sempre quindi). E, quando cercavamo di immaginare come dovesse essere il nostro punto di riferimento ideale, il pensiero andava immediatamente a Massimo ed alla sua straordinaria integrità morale.
Anche quando i nostri destini lavorativi si sono divisi, non abbiamo mai smesso di stare in contatto. “Che fai, ti nutri?”. Con queste quattro parole mi telefonava per propormi di pranzare insieme. Non servivano altre parole. Avevamo da sempre questo appuntamento fisso almeno una volta alla settimana: io, Andrea e lui. Sempre puntuale, sempre sorridente, anche quando arrivavi trafelato con dieci minuti di ritardo…

Sono stato a casa di Massimo e Dora e ho pensato che chiunque la riconoscerebbe subito. E non solo per le bellissime foto appese dappertutto. Un’altra passione in comune quella della fotografia, solo che lui le foto le sapeva fare. Ovunque c’è l’impronta di Massimo. Dalle bandiere della pace alle spillette, dai libri alle pile di documenti ordinati con cura quasi maniacale. Ieri la mia attenzione si è soffermata su un cartoncino con la scritta “il mio è un papà speciale”. Certo, è un regalo piuttosto diffuso. E mi sa che persino io ho ricevuto qualcosa del genere. Però quel cartoncino lì diceva la sacrosanta verità. Massimo era una persona davvero speciale. Una di quelle persone che – ad avercene – sono in grado di rendere migliore questo mondo. Una persona il cui esempio può insegnare molto. Una persona che ha dato alla vita e agli altri molto di più di quello che ha ricevuto.  Grazie Max. Per salutarti uso le parole di Gaber: “Ma io ti voglio dire che non è mai finita, che tutto quel che accade fa parte della vita”.


Alle colonne d'Ercole

Alle colonne d'Ercole
La mia ultima avventura