27 settembre 2012

Caso Sallusti: chiamale, se vuoi, opinioni.


L’argomento è delicato. Come sempre avviene quando i diritti entrano in rotta di collisione. La libertà di stampa (o di opinione) che entra in conflitto con il diritto alla riservatezza o alla tutela della propria reputazione. Il caso Sallusti sta facendo molto scalpore. Cerchiamo di capire perché.
Nel merito Sallusti è accusato di “omesso controllo” su un orrendo articolo nel quale si attribuiva – mentendo – ad un giudice la responsabilità di un aborto di una tredicenne e veniva auspicata la pena di morte per quel giudice (nonché per i genitori della ragazza e per il medico). Il giudice si è ritenuto, comprensibilmente, diffamato dall’articolo e ha sporto querela.
Nel merito nessuno se la sente di prendere le difese di Sallusti. Erano talmente odiose le affermazioni dell’articolo da renderlo indifendibile. In compenso è partita la corsa alla difesa dei principi, in primo luogo quello della libertà di opinione. A parte il fatto che dire una falsità non è esattamente un’opinione, ma una balla, è impressionante la forza di fuoco dei difensori di Sallusti, che vede uniti politici di sinistra e di destra. I primi per coerenza e i secondi per convenienza, visto che Sallusti è la classica voce filoberlusconiana. L’esercito innocentista assolda anche gran parte dei giornalisti, compresi gli antagonisti di Sallusti, come Marco Travaglio, che snocciola una tesi molto ben articolata, con cui afferma – in buona sostanza –che non ci può essere carcere per le opinioni, ma solo – al limite – corpose sanzioni economiche. In pratica da due potenti caste del paese si è levata una voce sola a difesa del “martire” Sallusti, vittima di una legge liberticida ed ingiusta.
Ora, premesso che, al di là del merito di questa sentenza, sarebbe comunque utile sapere se c’è un limite alla menzogna e all’insulto e, in tal caso, quale sia (così, giusto per regolarsi), faccio un’altra considerazione. Lo stimato – e facoltoso – Sallusti oltre ad avere le spalle ben coperte dal proprio editore, si è ritrovato anche una straordinaria cordata di solidarietà in difesa del suo diritto di “opinione”. Va sottolineato che il diritto “leso” non sarebbe quello di cronaca, perché nessuno ha avuto il coraggio di definire cronaca le stupidaggini scritte nell’articolo, ma di opinione, ottenendo così l’effetto di far sembrare questa condanna un attentato alle libertà individuali.
Cosa succederebbe, invece, qualora venissi condannato io per analoghe fattispecie di reato? Sono stato oggetto, negli ultimi anni, di una denuncia per “stampa clandestina” (incredibile a dirsi, ma esiste ancora, nel nostro ordinamento, questa legge fascista), una querela per diffamazione e una richiesta di risarcimento in sede civile, sempre per diffamazione. La mia “colpa” è quella di portare avanti una battaglia contro il potere (piccolo nel mio caso, ma pur sempre potere) della speculazione, del cemento, delle clientele. Ed ecco che gli strumenti di tutela della legalità diventano una potente arma contro chi quella legalità vorrebbe pienamente garantita e per questo si batte. Dubito che i vari Cicchitto, Gasparri, Schifani si straccerebbero le vesti in un’aula parlamentare in difesa della mia libertà di opinione e del mio diritto di critica politica. Dubito anche  che lo stesso Travaglio e il mondo del giornalismo si preoccuperebbero per le mie sorti.
Supponiamo, però, che passi il – in parte ragionevole – principio secondo il quale il carcere è sempre una pena troppo dura per avere espresso il proprio pensiero: si creerebbe un meccanismo odiosamente iniquo. A fare la differenza saranno i soldi: chi ne avrà in abbondanza potrà offendere o diffamare chiunque (o pagare qualcuno per farlo), con la consapevolezza di dover sostenere un prezzo esclusivamente finanziario. Una sorta di investimento, a fronte del quale magari potrà rafforzare o aumentare il proprio potere. Non è un caso che proprio i politici siano così fecondi nella produzione di querele. Chi non se lo potrà permettere, sarà costretto a rinunciare alle proprie battaglie ed alle proprie idee. Troppo costose in uno stato di diritto, in cui anche le opinioni diventano soggette alla legge del mercato.

26 settembre 2012

Prediche appassionate da pulpiti improbabili


E’ insopportabile questa corsa a smarcarsi da tutto e da tutti. A sentire le dichiarazioni di autorevoli esponenti politici c’è da rimanere sconcertati. Fanno un po’ tutti finta di non conoscersi. Parlano male gli uni degli altri. Le accuse e le invettive volano. I più furbi stanno zitti, sperando che nessuno li noti (e li butti nel calderone).  E nel frattempo si apre una ridicola gara a chi è (o almeno si sente) più puro degli altri. Ascoltare la Polverini in versione “grillina” a lanciare anatemi contro la malapolitica del “suo” consiglio regionale lascia esterrefatti. Per non parlare di Berlusconi che tuona contro gli usi impropri della poltica. O della Santanché che dà del maiale a Fiorito. No, dico, ci sarà un limite al ridicolo. Che si debba riformare la politica è chiaro ed evidente, ma che a farlo siano più o meno le stesse persone che hanno determinato quel sistema o, per convenienza, a quel sistema si sono facilmente adattate non è credibile. Ma il problema non si risolve certo sostituendo le prime file dei partiti – come Alfano sta proponendo – con un personale politico non diverso culturalmente, ma semplicemente iscritto alle liste di attesa del potere: le seconde file, i quadri, i portaborse, ossia gli stessi pronti a ricevere una dirigenza, una presidenza, un posto in qualche consiglio direttivo. Dove sarebbe il cambiamento? In realtà sarebbe come dare una mano di vernice fresca ad una parete ammuffita; nell’arco di breve tempo la muffa prenderebbe il sopravvento. Certo, gli impresentabili – e non sono pochi – è meglio che se ne stiano a casa, ma bisognerebbe avere il coraggio di cambiare molte cose. E non ci si può riuscire – realisticamente – in pochi mesi. Però sarebbe utile dare dei primi segnali. A cominciare dall’introduzione di incompatibilità vere tra ruoli. Cosa che non si è mai voluta fare concretamente, perché la forza della casta dipende molto dalla capacità di accaparrarsi incarichi di vario tipo. Consiglieri regionali o deputati non dovrebbero poter fare i sindaci o gli assessori comunali. Invece, con la scusa di riformare la politica in nome del taglio dei costi, alcuni doppi incarichi si “impongono” con legge. E’ il caso della provincia, i cui consiglieri potranno essere eletti solo tra i consiglieri comunali. Io diffido di quelli che sono contro il sistema solo perché sono fuori dal sistema. Non ho nessuna garanzia che, una volta dentro, si comporteranno meglio. Lo dimostrano i leghisti che esibivano il cappio contro la corruzione e che hanno sperperato in modo ignobile i soldi del partito (in modo forse lecito, ma comunque vergognoso). Lo dimostra Fiorito che ha dichiarato di essere stato uno di quelli che lanciavano le monetine a Craxi. Fiorito, all’epoca, era dunque un “moralizzatore” della politica. Per non parlare del direttore delle poste “pusher” che, poco prima di essere arrestato, twittava veleno contro la casta e la corruzione. Non lasciamoci abbindolare da chi urla di più la propria indignazione, come sta facendo, ancora adesso, proprio Renata Polverini, che continua ad accusare tutto e tutti, come se non fosse stata al vertice di un sistema marcio, del quale – nella migliore delle ipotesi – non è stata capace di accorgersi. In nessuno dei due casi, connivenza o inconsapevolezza, può essere giustificata. Nel primo per ovvie ragioni e nel secondo perché denota inattitudine a svolgere un ruolo così importante.
Allora bisogna provare a ricominciare, ma proponendo un mutamento concreto, mentre la sensazione è che partiti e raggruppamenti stiano ragionando con i soliti, triti e consunti, schemi della politica: candidature, alleanze, accordi, assessorati, controllo del potere. Se queste sono le premesse non cambierà molto e chi ha bisogno dei “favori” della politica dovrà solo cambiare referente. Voglio sperare che chi si candiderà alle prossime elezioni sia portatore di una proposta differente, basata ovviamente sui contenuti – e io auspico politiche di tutela del territorio, di lotta alle diseguaglianze sociali, di interventi decisi sulla mobilità sostenibile, di revisione del modello di sviluppo, ecc. – ma, in primo luogo, su meccanismi che consentano di ridurre le barriere tra il palazzo e i cittadini. E la prima operazione deve essere quella della trasparenza. Una trasparenza vera, con la pubblicazione di tutti gli atti e la rendicontazione analitica di tutte le voci di spesa. Per tutti gli organi e gli enti istituzionali. Poi serve un’anagrafe degli eletti (i primi a proporla, e ad attuarla, sono stati i Radicali), che dovranno rendere conto del loro operato ai cittadini e informali su ogni possibile conflitto di interessi che li riguardi. Saranno in molti a non volerlo fare. E qualche furbo lo prometterà, ma poi si dimenticherà l’impegno assunto. Bisognerebbe che, a ricordarlo, ci siano i cittadini, che dovranno essere un po’ più vigili e dinamici che in passato. Meglio esercitare un controllo costante durante il mandato che lasciarsi andare a meste quanto inutili lamentele postume.

23 settembre 2012

La carboneria al potere


In fondo bisogna capirli. Provate voi a ritrovarvi ad amministrare un paese che avete mandato allo sfascio per la vostra inettitudine, per le vostre clientele, per la vostra arrogante incapacità. Provate voi ad andare in giro per una strada piena di buche (i lavori commissionati da?), a camminare su un marciapiede da terminare (l’appalto chi l’ha controllato?), passando davanti ad una scuola che cade a pezzi (i lavori pubblici, ah già) schivando a malapena un autospurgo pieno della produzione fecale dei vostri amati concittadini, dei quali ignoravate l’incomprensibile propensione a liberarsi dei prodotti della digestione (e che avete anche cercato di limitare con apposito provvedimento  sindacale). Eh. Duretta, vero? La maggior parte delle persone direbbe: “Ebbene sì, ho fatto un guaio dietro l’altro. E’ meglio che mi metta da parte”. Una persona normale, forse. Non chi ha una fatale attrazione per il potere, corroborata dalla consapevolezza che – attraverso il potere – si gestiscono piani regolatori, appalti, forniture, posti di lavoro. Affari, insomma. No, meglio patire un po’, ma rimanere saldamente incollati alla poltrona (Polverini docet).
Certo, ormai non ci crede più nessuno alla favola della buona amministrazione, anzi, come ebbe modo di dire l’ex sindaco – uno talmente affezionato al suo paese da aver fatto perdere le tracce -, del comune “virtuoso”. Già, talmente virtuoso da essere con i debiti fino al collo. Sulle cause dei debiti abbiamo già avuto modo di parlare e di conseguenza, poiché non hanno nessuna intenzione di far pagare i guai a chi li ha combinati (sarebbe masochismo), cerchiamo di capire dove si dirigerà la celebre cucurbitacea usata nella penisola ellenica per fare l’insalata. Ecco. Indovinato. A pagare non sono gli amministratori incapaci, che continuano senza pudore ad incassare il loro stipendio, ma anche i guai che causano, saranno – guarda la sorpresa – sempre i cittadini.
Il problema è come preparare il gentile dono senza dare troppo nell’occhio. Intanto si convoca un consiglio comunale - pare che sia un passaggio necessario (limiti della democrazia) – però meglio evitare di mettere l’aumento IMU sui manifesti e sul sito. Qualcuno potrebbe leggerlo e adombrarsi. Si fa finta di niente. Si mette un punto o due. Poi si integra l’ordine del giorno, mandando l’avviso solo ai consiglieri (quello proprio non si può evitare). Ovviamente – neanche a dirlo – si convoca (aggirando una legge dello Stato) il consiglio nell’orario peggiore per i cittadini (quelli che lavorano, qualcuno c’è) e il gioco è fatto. Fatto. No. Aspetta. “Questi” (i cattivi, che poi saremmo noi) hanno ‘sta fissa di riprendere le sedute. Ma che sei matto? Bisogna inventarsi qualcosa. Chiamiamo il segretario, con tutti i soldi che gli diamo (a onor del vero lo pagano i cittadini…) deve trovare una soluzione. Ecco. Lo statuto dei lavoratori. Eh? Sì, sì. Lavoratori? E noi che c’entriamo? Ah, il segretario è un lavoratore e noi dobbiamo tutelare il segretario. Giusto. Sì, ottimo. Che trovata.
Non contenti hanno poi orchestrato un’indimenticabile sceneggiata in cui facevano tutti finta di non far partire un registratore audio. Sì, esattamente. Un banalissimo registratore. Avete presente quello con stop, record e play? Uno di quei cosi che un bambino di otto anni te lo fa funzionare in tre secondi? Esatto. L’intera classe politica dirigente labicana coadiuvata dal segretario comunale non è stata in grado di far partire un semplice registratore. E così ecco che è improvvisamente saltata anche la registrazione audio del consiglio, tra l’altro deliberata nella scorsa consiliatura e la cui attrezzatura ci è costata anche diverse migliaia di euro. Ma loro sono fatti così, sono dei signori, non badano a spese, specie se i soldi non sono i loro, ma i nostri.
A parte l’idea dello scantinato (ma sarà per la prossima volta) i nostri carbonari, consapevoli della loro impresentabilità, sono riusciti a mettere a segno tutti i trucchi per ridurre al minimo l’impatto “mediatico” della loro stangata sui cittadini. Per farlo hanno calpestato tutto il calpestabile. Diritti, etica, ordinamento giuridico, principi della pubblica amministrazione. E forse, un po’, anche la propria dignità. Senza pensare che – a dare “trasparenza” a questa amministrazione – ci penseremo ancora una volta noi, come abbiamo sempre fatto negli ultimi cinque anni.

20 settembre 2012

Oltre la leggenda (e ben oltre il ridicolo)


E’ uno scherzo. Dai, non è vero. Ti dico di sì. Non ci credo. Ti mando la risposta. Ok, manda… Nooo… Era vero per davvero. Il nostro sindaco, lo stesso che dobbiamo ringraziare per i milioni di euro che stiamo spendendo per il pasticcio dei depuratori, lo stesso che ha invitato la cittadinanza a contenere i propri bisognini, lo stesso che – proprio nel consiglio comunale di domani – salasserà i cittadini per ripianare i debiti che la sua pessima gestione sta facendo accumulare. Proprio lui, ormai lanciato nella difficilissima impresa di battere Giordani nella disciplina olimpica della comicità involontaria, il nostro sindaco, al secolo Alfredo Galli, ha deciso di negare la possibilità di riprendere la seduta consiliare. Ci avevano già provato, in passato. Anche in quella circostanza si erano resi sufficientemente ridicoli con l’ottimo Giorgio Scaccia – probabilmente proprio per questo promosso vicesindaco – che pontificava con la sua megalitica inconsistenza sulla presunta violazione della legge sulla privacy. Per una seduta consiliare, pubblica per definizione. E qui si dovrebbe tornare sulla granitica convinzione dei nostri amministratori di avere trasformato in privato ciò che è – o dovrebbe essere – pubblico. Fatto sta che Galli ha vergato tre ammirevoli righe in cui attribuisce la responsabilità della decisione al segretario (non si sa mai). Pensavamo che il precedente segretario fosse sin troppo disponibile a trovare il modo per avallare le ubbie dei potenti, ma sembra che anche in questo caso lo zelo profuso potrebbe portarci ad assistere ad un sorpasso. La cosa più esilarante è la norma citata a supporto di una proibizione degna della parte più cupa del ventennio: lo statuto dei lavoratori. Sì. Proprio lui. Uno statuto che si sta cercando di difendere con le unghie e con i denti dai continui assalti tesi a ridurre i diritti dei lavoratori e che adesso viene brandito addirittura col fine di negare un diritto. Ossia il diritto di tutti i cittadini di conoscere quello che succede in consiglio comunale e che Alfredo Galli e compagnia cantante (o meglio, anzi peggio, silente) stanno cercando di fare a spese dei cittadini. Compresa la stangata sull’IMU. Riaffiora con forza l’ipotesi che il consiglio si terrà in uno scantinato. Lì non prendono neanche i cellulari.

Il caso Fiorito non è un caso


Il paradosso è che questa ondata di ritorno della politica che insegue – con innegabile successo – il più deteriore dei luoghi comuni, quello dei politici arroganti, volgari, sbruffoni e, soprattutto, arraffoni, l’ha avviata proprio la Lega Nord. Ossia, tra quelli in vita, il più antico partito “antipolitica” dello scenario politico italiano. Il figlio del grande capo eletto, senza merito, consigliere regionale e scarrozzato con tanto di autista a spese del partito. Poi sono arrivati, con una certa trasversalità, altri qualificanti episodi come il tesoriere Lusi (che adesso sta in convento) e le sue spese folli coi soldi dei contribuenti e Formigoni e le sue vacanze milionarie. E adesso abbiamo Fiorito. Che non è – per sua stessa ammissione – la mela marcia. Fiorito non è altro che uno dei tanti. Fiorito fa parte del sistema. Fiorito è il sistema. E qui si rischiano le cadute demagogiche e, appunto, i luoghi comuni. “E’ tutto un magna-magna”. “Sono tutti uguali”. “La politica è sporca”. No. Nonostante la – quasi – evidenza, non è esattamente così. E, soprattutto, non è vero che il “nuovo” sia necessariamente diverso. Il nuovo è diverso fino a quando non entra negli ingranaggi. Dopo potrebbe rimanere diverso o omologarsi. La Lega Nord, ad esempio, si è omologata. E migliaia di persone e decine di movimenti sono passati alla politica, criticandone alcuni aspetti, per poi uniformarsi, più o meno prontamente, all’andazzo generale. Non c’è un soluzione? E’ la politica ad essere sporca? O, forse, dovremmo riflettere sui nostri modelli socio-culturali dominanti? Perché la politica non è fatta solo da quelli che stanno dentro al Palazzo, ma anche – e soprattutto – da quelli che il Palazzo lo guardano solo da fuori, ma del quale condizionano scelte e azioni. Se io realizzo un abuso edilizio, cercherò come referente politico qualcuno che mi prometterà di passarla liscia. E a fronte della sua benevolenza nei confronti del mio peccato veniale (sono quelli degli altri ad essere giudicati severamente, mai i nostri) sarò certamente più indulgente verso le sue umane debolezze. E se, a spese mie e della collettività, se ne andrà in vacanza con l’auto blu, non griderò certo allo scandalo. Pensiamoci tutte le volte che abbiamo a che fare con la “politica”. Se alla parola politica associamo la parola “favore” vuol dire che ne abbiamo una visione distorta. E poco importa che il favore sia un diritto di cui siamo inconsapevoli o un ingiusto privilegio al quale agogniamo, magari, sempre inconsapevolmente, a discapito di un giusto diritto di altri. Siamo noi, da cittadini, a creare il terreno fertile per quelli come Fiorito. E i Fiorito non nascono per caso. Quando, da cittadini, avremo questa consapevolezza, si creeranno i presupposti per un cambiamento di rotta. Le differenze destra-sinistra, progressisti-moderati, riformatori-conservatori, ambientalisti-sviluppisti dovranno venire dopo. Intanto bisognerebbe rilanciare un’etica della politica che impedisca queste squallide derive. Per riuscirci sarà necessario smettere di blandire la politica quando ci fa comodo e biasimarla quando non ci piace più. Nessuno è altro rispetto alla politica, nemmeno quando – colpevolmente – se ne disinteressa. La politica è il frutto dell’atteggiamento e dei comportamenti (anche “omissivi”) di ognuno di noi. E se c’è Fiorito è anche – almeno un po’ – colpa nostra.

19 settembre 2012

Era meglio il nulla


Contrordine compagni. Non faccio in tempo a scrivere un post per esprimere il mio stupore per una convocazione con un solo punto all’ordine del giorno, che, nel giro di poche ore, vengo smentito. Allora meglio rettificare subito: i punti all’ordine del giorno del prossimo consiglio comunale sembra siano diventati due. Ancora una volta la legge viene ampiamente “interpretata”. La norma (che è del 1915 e probabilmente non hanno ancora fatto in tempo a leggerla) prevede che “in caso di urgenza” possano essere aggiunti dei punti all’ordine del giorno. L’”urgenza” in questo caso è determinata dal fatto che intendono aumentare l’IMU. Ma, santa pazienza, 48 ore fa, non sapevano di avere in serbo questo insano proposito? Certo che sì. Il problema è che non è elegante affiggere i manifesti di convocazione del consiglio comunale con la dicitura “punto n. 2 – stangata ai cittadini”. Meglio fare tutto alla chetichella, come al solito. Possibilmente – anche in questo caso aggirando un’altra norma (adottata per ridurre i costi della politica) – con la quale il Parlamento aveva stabilito che i consigli comunali andrebbero convocati “preferibilmente” fuori dall’orario lavorativo. Per ridurre i costi della politica e, aggiungo io, per dare la possibilità ai cittadini di assistere ai consigli. E sarà stata la stessa identica motivazione – da un altro punto di vista – a fare optare per l’orario in cui i cittadini lavorano. Pare che il luogo della convocazione sia ancora da stabilire. Non a Palazzo Giuliani – che darebbe troppo nell’occhio – né nel Palazzo del Comune (troppo prevedibile). Si ipotizza qualche scantinato, al riparo da sguardi indiscreti. Del resto stanno lavorando per noi e non è il caso di disturbarli. Tanto chi li ha eletti e ha riposto in loro piena fiducia sa bene che sono personcine perbene, gente di parola e che rispetterà alla virgola il proprio programma elettorale. Un programma che, ad un certo punto, recita: “Sarà nostra cura, vista la crisi economica e l’alta tassazione a livello statale che colpisce il cittadino, contenere al minimo l’aliquota IMU sulla prima casa.”. O no?

La sfrontatezza del nulla


Qualcosa che mi affascina molto è la sfrontatezza. Ci sono situazioni che andrebbero affrontare con un certo pudore e con evidente imbarazzo. Si pensi a qualcuno che sta amministrando una comunità da oltre vent’anni e che non può certo considerarsi estraneo a tutti i problemi causati proprio dal modo in cui si è deciso di governare lo sviluppo di quel paese. Quel qualcuno dovrebbe abbassare lo sguardo ogni volta che incrocia quello di un cittadino che sarà costretto – con i propri soldi – a pagare gli enormi danni economici (e non parliamo di quelli ambientali) derivanti da una gestione sconsiderata della cosa pubblica. Quel qualcuno dovrebbe sentirsi in terribile imbarazzo al pensiero che prima o poi potrebbe trovarsi a spiegare che, sempre per sanare i guai, si sta pensando di vendere gli immobili di proprietà del comune, ossia di tutti noi. Quegli stessi locali che tante volte sono stati negati alle associazioni senza una plausibile ragione, se non quella di aver voluto amministrare il paese come se fosse una proprietà privata. Ecco, quel qualcuno dovrebbe, quantomeno, dare piena disponibilità di dialogo e di interlocuzione con i cittadini e con i loro rappresentanti, a cominciare dai consiglieri comunali di opposizione. Magari per spiegare le ragioni di alcune scelte, lo stato dell’arte di determinate situazioni più critiche (non solo quella dei depuratori). E non per cortesia istituzionale. Ma semplicemente perché ci sono precise norme di legge – nonché disposizioni statutarie - che prevedono l’obbligo di rispondere alle interrogazioni consiliari e di calendarizzare le mozioni eventualmente presentate. Ebbene il nostro sindaco si è guardato bene non solo dal convocare un consiglio comunale per ottemperare ai propri doveri, ma quando si è trovato costretto a convocarne uno per approvare un atto non più differibile (il rinnovo della convenzione col segretario comunale) ha avuto la sfacciataggine di inserire un solo punto all’ordine del giorno. Lasciamo perdere il bilancio comunale che, come avevo facilmente previsto, verrà rinviato il più possibile, ma almeno avere il senso di responsabilità di confrontarsi sulle numerose questioni sollevate dall’opposizione. Niente da fare. Non è un caso, infatti, che Alfredo Galli abbia deciso di non procedere alla nomina di un presidente del consiglio comunale. Una figura che non c’era e che era stata imposta, nella scorsa legislatura, per sistemare gli equilibri interni della coalizione. I maligni sostengono che servisse anche per togliere la conduzione del consiglio comunale ad un sindaco così poco stimato dalla sua stessa maggioranza da essere stato scaricato dai suoi stessi alleati nella consiliatura successiva. Ovviamente Alfredo Galli fa e disfa come meglio crede e non c’è statuto o regolamento da cui si senta vincolato. Lui è il sovrano - legibus solutus per definizione - e quindi non rende conto a nessuno del suo operato. Sarà per questo che preferisce non rispondere alle interrogazioni, magari è anche convinto che, non affrontandoli, i problemi scompaiano. Una vecchia e consolidata tecnica che, forse, funzionava in passato, quando il confine tra maggioranza ed opposizione era più incerto. Non adesso. Non certo con Legalità e Trasparenza. E le domande continueremo a farle, anche se scomode, anche se indigeste. E i cittadini, ormai, non ci mettono molto a capire che, dietro ad ogni silenzio, non c’è solo l’atteggiamento arrogante di chi diserta il confronto, c’è ben altro: il nulla.

14 settembre 2012

Bilancio comunale? Attendere prego...


Il solo fatto che il termine per la presentazione del bilancio preventivo degli enti locali venga fatto slittare in continuazione mi sembra un segnale di scarsa serietà da parte del Governo centrale. Abbiamo una legge dello Stato che stabilisce, correttamente, che il bilancio preventivo di un ente locale (se si chiama “preventivo” una ragione ci sarà…) deve essere predisposto e approvato prima dell’inizio del suo esercizio, ossia entro il 31 dicembre dell’anno precedente. Esattamente come succede al bilancio dello Stato, la cui approvazione avviene sempre entro il 31 dicembre. E quando questo non succede – ma sono più di vent’anni che non si verifica – si è costretti a ricorrere all’esercizio provvisorio. Ebbene, gran parte dei comuni, sfruttando le deroghe, fa almeno quattro mesi di esercizio provvisorio. Poi, grazie alle deroghe successive, si riesce ad andare ben oltre. Quest’anno i limiti sono stati superati tutti e, di deroga in deroga, si è arrivati a poter presentare il bilancio preventivo entro il 31 ottobre. Ovviamente un comune guidato da amministratori responsabili non prenderebbe neppure in considerazione questa opportunità. Un comune serio il bilancio lo approva il prima possibile, nel rispetto della legge e in applicazione del principio della trasparenza. Un comune serio… E Labico? Labico, a quanto ci risulta, non ha nessuna fretta di portare il bilancio in consiglio. Per un paio di ragioni. La prima è che i nostri amministratori applicano con assoluto rigore il vecchio adagio “Non fare oggi quello che puoi rimandare a domani”. In principio il precetto non era esattamente così, ma questa è la loro reinterpretazione. La seconda ragione è che non sanno proprio come far quadrare i conti, soprattutto dopo la simpatica vicenda dei depuratori.
immagine presa in prestito dal sito progettoperferrara.org
Il paradosso è che, se avessero approvato il bilancio 2012 in tempi normali, avrebbero avuto un po’ più di tempo per individuare delle soluzioni. Invece, complice la concomitante tornata elettorale, hanno preferito rinviare a dopo l’insediamento ogni decisione di tipo contabile.
La cosa divertente è che - dati i tempi - potrebbero approvare in contemporanea bilancio preventivo e assestamento, visto che i termini ormai sono quasi coincidenti e che avrebbe poco senso rivedere i conti dopo una o due settimane. Tanto vale fare tutto insieme. Anzi, magari potrebbero sperare in un’ulteriore deroga e approvare tutto col consuntivo.
Nel frattempo tutte le domande che abbiamo posto ai nostri amministratori sono rimaste senza risposta. Sembra quasi che non si rendano conto della gravità della situazione. Anzi, si comportano come se si trattasse di una disgrazia piovuta dal cielo, della quale loro – poverini – non hanno alcuna responsabilità. In attesa che il sindaco – che sembra sia in vacanza a godersi il meritato riposo – si degni di convocare nuovamente il consiglio comunale, noi cittadini faremo ripartire la nostra battaglia per chiedere che a pagare il disastro dei depuratori siano chi l’ha causato e non chi, come la cittadinanza, ne sta solamente subendo le conseguenze.


Tullio Berlenghi

2 settembre 2012

Sensazioni, suggestioni e intimidazioni


“Suggestive accuse”. Questo il lapidario giudizio sulla nostra articolata relazione di 12 pagine relativa alla vicenda “depuratori”, espresso in una lettera inviata a noi e al sindaco di Labico dalla “SIL SCARL” (e sul mittente torniamo dopo) . Suggestive, sì. Indubbiamente suggestive. Probabilmente noi, Maurizio e Tullio, ci siamo lasciati suggestionare. Magari da un sistema fognario che da anni fa acqua da tutte le parti (acqua è una metafora, in realtà fa ben altro). O forse dal fatto che il depuratore evidentemente non ha mai funzionato come si deve. O magari ci siamo lasciati condizionare dal semplice fatto che la magistratura ha disposto il sequestro dei due depuratori e chiesto il rinvio a giudizio di cinque persone. E probabilmente ci lasceremo impressionare ancora un po’ quando arriveranno le salatissime bollette che si renderanno necessarie per sanare i debiti derivanti da questa situazione, o forse quando scopriremo che i beni immobiliari del comune (e quindi nostri) saranno ceduti ai privati, sempre per far quadrare i conti. Sì, allora, sì. Siamo stati annebbiati da questo clima di suggestione.
Ma, proviamo ad andare con ordine e cerchiamo di interpretare il senso della missiva che abbiamo ricevuto. Sorvoleremo sull’uso molto piuttosto spigliato della lingua italiana e cercheremo di soffermarci sul “senso” (un parolone, in questo caso) delle affermazioni contenute. In primo luogo la ditta SIL SCARL afferma che loro scaricano in un fosso e non sul suolo. Sembra una buona notizia, però non tiene conto di due aspetti. Il primo è che non è affatto in discussione che Centogocce sia una fosso. Il problema è capire se sia un corpo idrico oppure no e la definizione di corpo idrico non è una questione geografica, ma normativa. E la legislazione vigente (d.lgs. n. 152 del 2006) stabilisce che un corpo idrico per essere definito tale deve avere una portata significativa per almeno 120 giorni all’anno, altrimenti viene classificato come suolo. Non lo diciamo noi e neppure il magistrato. Lo dice una legge dello Stato. Il secondo aspetto è contenuto nella stessa lettera che abbiamo ricevuto (nello stesso capoverso in cui si afferma proditoriamente che Centogocce è un fosso) e nella quale si asserisce che Centogocce “è asciutto per più di 120 giorni all’anno”, ammettendo implicitamente (se si conoscono le leggi) che non può quindi essere considerato corpo idrico, ma suolo e, di conseguenza, i valori tabellari degli scarichi diventano altri. Una robusta zappata sui piedi.
Il secondo aspetto nega che vi sia stato uno smaltimento illecito dei fanghi. Un’altra possibile buona notizia. Però non va spiegato solamente a noi, ma alla magistratura, perché è nell’ambito del procedimento penale sui diversi reati ipotizzati (scarico illecito di liquami, gestione illecita di rifiuti, frode) che è stata messa in dubbio la correttezza del comportamento nel trattamento dei fanghi. Noi abbiamo solo riportato i fatti per informare l’opinione pubblica e abbiamo cercato di ricostruire – carte alla mano – l’intera, complessa, vicenda.
Il terzo aspetto riguarda l’accusa di “frode” nei confronti dell’amministratore e del direttore della SIL SCARL, che nella lettera si respinge con forza, sostenendo che tutto veniva effettuato con regolarità. I dubbi, anche in questo caso, sono venuti al Corpo Forestale dello Stato prima, ai tecnici dell’ARPA poi e, infine, al pubblico ministero che ha condotto le indagini. Una manica di buontemponi che, non avendo niente di meglio da fare, ha prodotto una corposa documentazione sui presunti illeciti commessi nella gestione delle acque reflue e dei fanghi di depurazione. Se le cose non stanno così la ditta SIL SCARL farà bene a dimostrarlo, non tanto a noi, che ci siamo limitati a riportare quello che stava succedendo, quanto ai diretti interessati, i quali – ne siamo certi – saranno interessatissimi alle loro spiegazioni, ma temiamo che non si accontenteranno di frasi del tipo “io non c’ero e se c’ero dormivo”.
La lettera chiude con l’immancabile formula intimidatoria nei confronti di chi osa sfidare il potere: la minaccia di richiesta di risarcimento in sede civile. E’ ovvio che le forze in campo sono piuttosto sbilanciate, da una parte c’è chi fa profitto e dall’altra c’è qualcuno che, in maniera del tutto gratuita e volontaria, si dedica alla collettività. Il messaggio, nemmeno troppo velato, è che è meglio farsi gli affari propri. Il paradosso è che la ditta SIL SCARL si sente parte lesa e non esclude che possa chiedere a noi (Berlenghi e Spezzano) i danni. Danni per cosa? “Danni da reato”. Sembra una barzelletta: Di tutti i gravissimi reati ipotizzati dalla magistratura si sono perse le tracce. Ad un certo punto ciò che sembra essere imperdonabile è solo il fatto di averne fatto pubblica menzione. Uno spettacolare capovolgimento della logica e del buonsenso. Ah! Dimenticavamo. La lettera è firmata con uno scarabocchio sotto l’acronimo SIL SCARL. Anche qui è questione di stile. C’è chi mette la propria faccia nelle battaglie per la trasparenza e la legalità e c’è chi la propria faccia preferisce nasconderla dietro una sigla. E forse è una vera buona notizia: in fondo, ma proprio in fondo, un po’ di imbarazzo per aver scritto quella lettera devono averlo provato.

Tullio Berlenghi e Maurizio Spezzano

Alle colonne d'Ercole

Alle colonne d'Ercole
La mia ultima avventura