18 aprile 2023

Orsi, natura e presunta umanità

Una componente rilevante dell’economia del Trentino è il turismo e l’elemento prevalente di attrazione turistica è la natura. È sufficiente farsi un giro tra i siti di promozione turistica e si vede che le parole più usate sono – oltre a “natura” – che svetta al primissimo posto – montagna, boschi, prati, fiumi, laghi, animali, ossia la natura in tutte le sue possibili declinazioni. La “natura”, quindi, è un fattore imprescindibile dell’offerta turistica e per questo i trentini cercano di tutelare e valorizzare un patrimonio che porta lavoro, ricchezza e benessere all’intera collettività.


20 morti all'anno per punture di insetti


La fruizione del bene “natura” non è però esente da rischi. Ne siamo tutti consapevoli e di fronte alle numerose disgrazie che si verificano pressoché quotidianamente si reagisce con un certo fatalismo. Secondo i dati del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico soltanto nel 2022 ci sono state ben 504 vittime da incidenti in montagna. Ogni settimana in pratica nelle nostre montagne muoiono 10 persone. Le cause possono essere molteplici e molto spesso è l’imprudenza un fattore determinante. Muoiono sciatori, escursionisti, mountain biker, cercatori di funghi. Possono scivolare su un sentiero, cadere in un burrone, essere travolti da una valanga, punti da un’ape, morsi da una vipera, caricati da una mucca in un alpeggio. Ogni volta, alla dovuta costernazione per la perdita di una vita umana si accompagna l’inevitabile fatalismo: poteva succedere, è successo. Non si va necessariamente alla ricerca di una responsabilità (che spesso è proprio della vittima). Qualche volta si chiede di individuare misure di maggiore prevenzione e sicurezza, ma senza troppa convinzione, anche perché in molti casi è proprio il mancato rispetto delle misure esistenti a mettere in pericolo le persone (basti pensare ai numerosi incidenti degli sciatori che si avventurano nei cosiddetti “fuori pista”). Quasi mai, dunque, si cerca giustizia, responsabilità, un colpevole, al quale infliggere una punizione severa e adeguata. “Quasi” mai. Perché un momento in cui abbiamo bisogno del capro espiatorio (da sacrificare) c’è. Ed è quando il “colpevole” è il lupo (o l’orso) cattivo. Noi, per, pudore lo definiamo “problematico”. Che poi è problematico semplicemente perché non rispetta le “nostre” regole e quindi, per stare sicuri, dobbiamo metterlo in condizioni di non nuocere. Fermo restando che i primi a non rispettare le regole siamo proprio noi. Perché magari non gestiamo in modo adeguato i rifiuti, che facilmente attraggono gli animali selvatici, oppure non seguiamo adeguatamente le indicazioni su come tenere gli animali domestici o gli apiari, altri elementi di richiamo, oppure che – incuranti dei cartelli di avviso - entriamo in un bosco, magari correndo, dove è nota la presenza di animali normalmente elusivi, ma che possono diventare aggressivi in determinate circostanze (ad esempio in presenza dei cuccioli, come nel caso di JJ4).

Ecco, in questo caso, scatta la caccia al mostro. Si perde ogni senso di ragionevolezza e si addita l’animale (al quale è semplicemente da idioti pensare di applicare le nostre categorie dell’etica e del diritto) come il male assoluto. Ma davvero si può essere così grotteschi e puerili da scaricare su un animale selvatico la nostra piena responsabilità, che inizia soprattutto con l’incapacità di gestione delle nostre stesse scelte?

Già, le “nostre” scelte, perché gli orsi in Trentino erano estinti. Per essere più precisi li avevamo massacrati senza tanti complimenti perché disturbavano il nostro modello economico. Poi sono subentrate altre valutazioni e – sempre con un occhio attento alle esigenze economiche – abbiamo pensato bene di reintrodurli, perché così il nuovo business – quello della natura – si arricchiva di una componente molto attraente. Perché avere orsi, lupi, cervi, daini nei boschi li rende molto più interessanti dal punto di vista turistico. In più, il progetto di ripopolamento era lautamente remunerato dalla Commissione Europea e quindi nessuno si è fatto troppi problemi su cosa comportasse realmente impegnarsi nella realizzazione del progetto “Life Ursus”. Intanto ci becchiamo i soldi e buttiamo lì qualche orso. Si mettono un paio di cartelli e finisce lì. Se poi non dovessimo essere capaci, facciamo presto a dare la colpa agli orsi e li ammazziamo tutti.

La dinamica mi ricorda quella di un evento di quasi vent’anni fa che mi era rimasto impresso. Un giovane perse la vita in un incidente stradale. Probabilmente a causa della velocità eccessiva era uscito di strada ed era andato a schiantarsi contro un albero. Anche in quel caso serviva un capro espiatorio, qualcuno (o qualcosa) contro cui riversare un bisogno di giustizia (o meglio vendetta). E chi era questo qualcuno (o qualcosa)? L’albero, anzi gli alberi. “Problematici”, evidentemente. E così, nottetempo, un gruppo di amici e compaesani della vittima dell’incidente stradale pensarono bene di tagliare qualcosa come 200 alberi lungo i lati della strada. Una vera e propria devastazione ambientale e paesaggistica, frutto di una “giustizia sommaria” senza alcun senso.

Adesso abbiamo una mamma orsa, privata dei suoi cuccioli (che potrebbero non essere ancora in grado di sopravvivere da soli), rinchiusa in una gabbia e condannata a morte. Perché per la nostra sicurezza non basta averla messa in condizioni di non nuocere. Meglio ucciderla, così siamo più sicuri. E poi anche per una forma ancestrale di giustizia: lei ha ucciso, lei deve essere uccisa. Anzi, per avere ancora più giustizia dobbiamo ammazzarne qualche altro di orso. Facciamo 10, così rispettiamo proporzioni care a chi governa.

E ricordiamoci: noi siamo l’umanità, le bestie sono loro.

24 marzo 2020

2 a 0. Palla al centro.


Sono passati esattamente 10 anni. Era il 24 marzo del 2010, quando l’allora Vice Sindaco di Labico, Alfredo Galli, aveva annunciato in pompa magna l’intenzione di passare alle maniere forti per mettere a tacere le critiche – giudicate “calunnie” da Galli – dell’opposizione di allora (di cui ero il capogruppo). La questione che aveva particolarmente irritato Alfredo Galli era un articolo del sottoscritto, nel quale veniva fatta un’accurata ricostruzione di uno “strano” permesso di costruire che aveva consentito ad Alfredo Galli ed al fratello di edificare serenamente in piena zona agricola. Nell’articolo venivano riportati in modo meticoloso e circostanziato gli elementi di dubbia legittimità dell’iter che aveva portato al rilascio del permesso di costruire e che in nessun modo, nonostante una richiesta di chiarimento in consiglio comunale, avevano ottenuto una soddisfacente spiegazione da parte degli amministratori dell’epoca.

Così Galli, dopo aver criticato per anni la politica fatta per via giudiziaria, annunciò una denuncia in sede penale e una richiesta di risarcimento danni in sede civile. La prima non vide mai la luce, non si è mai capito perché, ma la seconda ha dato vita ad un procedimento che mi ha visto coinvolto come parte convenuta perché, ad avviso dell’attore (il termine è giuridico, evitiamo un’altra bega giudiziaria, mi raccomando) il mio scritto – contenente, sempre a suo avviso, affermazioni “non veritiere” - sarebbe stato lesivo della sua onorabilità. Per tale ragione chiedeva un risarcimento quantificato in 50mila euro.

Iniziò così una lunga avventura in tribunale che si concluse – almeno così pensavo – il 3 novembre 2014 con una sentenza molto chiara in cui il Giudice, in buona sostanza, affermava che il mio articolo costituiva “espressione di diritto di critica politica”, “di indubbio interesse pubblico”, “pienamente rispettosa della dignità personale del Galli” e che pertanto la sua istanza andava rigettata. Il tutto al modico costo di 4.500 euro a carico di Alfredo Galli.

Qualcuno più cauto, dopo una simile batosta, avrebbe archiviato la sconfitta senza troppo clamore. Peccato che Galli, che all’epoca era tornato a ricoprire il ruolo di Sindaco, abbia fatto valutazioni diverse. Non saprei dire se sia stato il timore del contraccolpo politico della sentenza, un cattivo consigliere o uno scatto di orgoglio, ma poco dopo Galli ha comunicato l’intenzione di ricorrere in appello, con una scelta più temeraria che coraggiosa.

E così è iniziato un nuovo capitolo della vicenda giudiziaria che ha visto me e Alfredo Galli su fronti contrapposti. Vicenda che ha avuto il suo (secondo) epilogo qualche settimana fa con una nuova sentenza, questa della Corte d’Appello di Roma, la quale contiene affermazioni di indubbio interesse.

In primo luogo viene premesso che perché si possa parlare di diritto di cronaca è necessario che si parta da “un diligente lavoro di ricerca”, “l’utilità sociale dell’informazione” e la “forma civile” della narrazione, improntata quindi a lealtà e chiarezza e priva di offese gratuite. Inoltre la sentenza afferma che la libertà di espressione politica non è elemento sufficiente per legittimare il contenuto di uno scritto, il quale deve avere il requisito essenziale della veridicità. Punto sul quale il Giudice si è soffermato con grande attenzione, riscontrando la precisa ricostruzione della vicenda da parte mia ed evidenziando che, a fronte di quanto riportato nel mio articolo, Alfredo Galli “non abbia replicato alcunché” e che gli addebiti da me segnalati “devono aversi per incontroversi”, in base all’articolo 115 del codice di procedura penale. Insomma, visto che Galli non è stato in grado di contestare nel merito, non c’è ragione per dubitare della veridicità di quanto ho scritto. Circostanza rafforzata dalla presenza – nella documentazione allegata – di un’autorevole perizia di parte che ricostruisce in modo impeccabile l’intera vicenda sotto il profilo giuridico-amministrativo. Infine, in sintonia con il giudice di primo grado, viene confermata pienamente la sussistenza dell’ulteriore requisito della continenza verbale, poiché mi ero limitato ad esporre i fatti, astenendomi dal formulare commenti di sorta.

Insomma, un’altra legnata (in senso metaforico, per carità) per Alfredo Galli, il quale è stato condannato anche ad un ulteriore rimborso delle spese di lite, pari a 6.500 euro.

Due a zero. Palla al centro. Dal Palaciocci è tutto.


P.S. - Un ringraziamento particolare va all'avvocata Simona Simeone, che mi ha assistito con straordinaria dedizione e competenza  in tutti questi anni.

16 gennaio 2020

Colle Fagiolara, una voce fuori dal coro


Sono davvero contento che nel nostro territorio, con la chiusura della discarica di Colle Fagiolara, si sia chiuso positivamente un pezzo di storia, a coronamento di un impegno di alcuni - pochi, determinati e coraggiosi, ai quali vanno i miei sinceri complimenti - che sono diventati molti e che hanno permesso un cambiamento quasi insperato per un territorio che qualcuno aveva definito “a bassa reattività sociale”, ossia incapace di opporsi a scelte di pianificazione ed infrastrutturali giudicate sbagliate. Con questa premessa potrei limitarmi a salire sul carro festante dei vincitori (forse con qualche ragione) e fare il mio piccolo post (auto)celebrativo.
Invece no. Non perché abbia cambiato idea, tutt’altro. Vorrei soltanto aggiungere un elemento di riflessione, perché l’eliminazione di una discarica (che costituisce il più basso gradino nella gerarchia europea della gestione dei rifiuti) è indubbiamente un ottima notizia, ma se non è accompagnata da politiche adeguatamente virtuose, rischia di essere solamente lo spostamento di un problema. In pratica se siamo stati abbastanza bravi -  grazie ad una serie di misure di “economia circolare” (riduzione “a monte” dei rifiuti, recupero, differenziata, riciclo) - a non avere più bisogno di quella discarica, allora abbiamo ottenuto un vero successo. Ma se l’equivalente dei rifiuti che venivano conferiti in quella discarica dovrà andare da qualche altra parte (un termovalorizzatore, una discarica in un altro comune, in un’altra regione o, peggio, all’estero) l’entusiasmo dovrebbe essere accompagnato da qualche attenta considerazione sull’efficienza del sistema.
In questo momento il sistema rifiuti in Italia è inadeguato. E lo è con livelli di inefficienza variabile a seconda della latitudine e degli ambiti territoriali (in genere va meglio al Nord, ma non mancano situazioni apprezzabili al centro e al sud). Nel Lazio la situazione è senz’altro critica - anche se ci sono regioni che stanno peggio (ma questa è una magra consolazione) - e al momento non mi sembra che si possa parlare di “autosufficienza” nella gestione dei rifiuti (e quindi qualcun altro se ne dovrà fare carico).
Per quanto riguarda il nostro ambito territoriale (diciamo Valle del Sacco e Monti Prenestini), sarà il caso di farsi un esamino di coscienza per capire quanto (e se) siamo bravi. Quindi mi pongo alcune domande. Gli enti locali del nostro comprensorio pubblicano regolarmente i dati della raccolta differenziata? E questa raccolta differenziata quanto è efficiente? Ci sono, tra noi, comuni virtuosi (con percentuali superiori all’80%)? E quanti sono al di sotto del limite del 65% imposto dal quadro normativo? Come siamo messi con il principio di autosufficienza e di prossimità? Spero di conoscere le risposte, ma non troppo presto, non vorrei sciupare questo bel momento.

15 ottobre 2019

Il giro delle fonti. Chi semina e chi raccoglie.




Nel giro di poche settimane ho partecipato a due iniziative di pulizia organizzate a Labico. La prima, durante la quale abbiamo levato un bel po’ di immondizia lungo via della Marcigliana, ha visto la presenza di molti ragazzi, che hanno dato il proprio contributo con un impegno ammirevole. La seconda iniziativa si è svolta lungo il percorso delle fonti, un bellissimo itinerario tra storia e natura, che solo grazie all'abnegazione più che ventennale di Ruggero Mariani si è riusciti a recuperare e rendere fruibile. Ricordo ancora nitidamente il mio primo “giro delle fonti”, che risale a quasi 20 anni fa, con Ruggero a fare da guida, che illustrava ogni singola testimonianza del passato con competenza e passione. Per diversi anni, nonostante l’impegno di Ruggero, quel piccolo patrimonio naturalistico e storico – la cui valorizzazione non era certo una priorità delle passate amministrazioni - è stato un po’ trascurato. Solo di recente, grazie al fondamentale aiuto di altri straordinari volontari (tra tutti Simone Massari) e di alcune associazioni locali, il percorso delle fonti è stato restituito a Labico in tutta la sua bellezza. Anni di incuria però hanno lasciato il segno e lungo il sentiero era facile imbattersi in rifiuti di ogni genere ed è nata quindi l’idea di organizzare una bella passeggiata di “pulizia”, in occasione della giornata nazionale del camminare promossa da Federtrek.
E’ stata una bellissima giornata, complice un sole quasi estivo, che ha visto una nutrita e convinta partecipazione di tante persone, compresi molti amministratori, accomunate dalla voglia di riprendersi e godersi quel pezzettino di natura a pochi passi da casa. Il senso di sconforto alla vista di tutti quei rifiuti abbandonati è stato ampiamente compensato dal fatto di non sentirsi soli in quel piccolo gesto di impegno civico. E vorrei ringraziare uno ad uno tutti quelli che hanno sottratto una mezza giornata ad attività sicuramente più piacevoli per dare il proprio apporto ad un’iniziativa che non è soltanto (e già non sarebbe poco) la pulizia di un sentiero, ma è anche qualcosa che ci serve per essere comunità, qualcosa che ci fa capire che dobbiamo sentire nostro anche ciò che non ci appartiene individualmente, ma che è un bene di tutti, un bene comune da preservare tutti insieme. E un grazie particolare va a quei genitori con i bimbi piccoli, che forse saranno riusciti a collaborare poco alla raccolta, ma il cui contributo è stato ancor più importante, perché hanno messo un semino di valore nei propri bimbi. Un semino che, con le giuste cure, germoglierà e ci regalerà una generazione più attenta e sensibile di quanto non lo siano state le precedenti, a cominciare dalla mia.

P.S. - La foto è del 2017

13 settembre 2019

Stradarolo



La salita porta da Genazzano a S. Vito Romano. E’ quella che in gergo ciclistico viene definita “pedalabile”, che in sostanza significa che la puoi percorrere senza necessariamente sputare sangue e brandelli di polmoni. Questo la rende adatta anche a qualche, seppur affannato, scampolo di conversazione.
A - Hey, Tullio.
T. - Eh!
A. - Volevo dirti una cosa.
T. - E dilla!
A. - Ho avuto un’idea!
Qualcosa che assomiglia ad una scossa elettrica percorre la spina dorsale di T. Lo fa un paio di volte, dal basso verso l’alto e dall’alto verso il basso, a sottolineare la criticità della situazione. Le idee di Satta! Le idee di Satta fanno paura. Quando si è, ad esempio, piacevolmente riuniti e vengono pronunciata le temibili parole “Ho un’idea”, la maggior parte con malcelata indifferenza cerca di frapporre tra sé e l’autore della frase una ragionevole distanza di sicurezza (che peraltro non è mai abbastanza sicura, da quando hanno inventato il telefono). In bici non si scappa, salvo impegnarsi in un ingiustificabile scatto in salita, e così…
T. - Ah!
A. - La vuoi sapere?
T. - …
A. - Eh?
T. - Sì, sì, certo (deglutisce). Dilla.
A. - Ho pensato…  realizzare… evento artistico… piazze, vicoli… Zagarolo, Genazzano… danza, musica… mongolfiera… autobus… teatro… senzaleauto… sentieri… luci, drappi… poesia… pizzica… tango… libri… tovaglia... biciclette… lanterne… ferrovia…
Così, per 3750 metri, che alla penosa media di 8,7 km/h, corrisponde a 25 minuti e 51 secondi di appassionata illustrazione di un’idea fantastica (nel senso letterale del termine).
T. - …
A. - Che ne pensi?
T. - Bello è bello…
A. - Pero?
T. - Non ho detto però
A. - Era sottinteso
T. - Ok, però mi sembra irrealizzabile


Ebbene, benvenuti a Stradarolo!


Se proprio volete saperne di più, a vostro rischio e pericolo:

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Alle colonne d'Ercole

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La mia ultima avventura