20 febbraio 2009

Strada pubblica o privato interesse?


 Dopo la deplorevole gestione del precedente consiglio comunale, terminato con la poco onorevole fuga del Sindaco e della maggioranza, il consiglio successivo (6 febbraio u.s.) sembrava dover tornare alla normalità. Il lunedì arriva regolarmente al domicilio dei consiglieri l’ordine del giorno, recante solo i punti rimasti in sospeso la volta precedente, ai quali si aggiungeva l’approvazione di alcuni verbali. Tutto abbastanza regolare quindi (fatta salva la mancanza dell’indicazione delle sedute a cui i verbali facevano riferimento). Attendiamo serenamente il giorno del consiglio, senza preoccuparci troppo degli argomenti in discussione, ormai noti. Peccato che nel pomeriggio di mercoledì ci giungono ben due punti integrativi all’ordine del giorno.
La procedura è ammessa dalla legge solo in situazioni di urgenza. E, comunque, correttezza vorrebbe che si avvisasse la minoranza delle questioni intervenute. Chiamo immediatamente il Sindaco per chiedere chiarimenti, sia sul merito, sia sull’urgenza e scopro che uno dei due punti non è affatto urgente.
Sembra che lo sia però un atto di ratifica di una permuta tra comune e società IRICAV (quella che ha realizzato l’alta velocità) di alcuni terreni. Il Sindaco mi spiega che l’urgenza deriva da una diffida inviata dalla società e che si tratta di una sorta di atto dovuto. Nulla di cui preoccuparsi quindi. Io sostengo però di aver bisogno degli atti. “Te li vai a vedere domani mattina” replica il Sindaco. “Volentieri – ribatto prontamente – peccato che devo andare a lavorare”. Dice che me li manderà subito a casa. Inutile dire che torno a casa e non trovo nulla. La mattina successiva, mi fiondo in comune alle otto e trenta e chiedo di poter visionare gli atti. Mancano sia i verbali che gli atti dei provvedimenti “urgenti”. Faccio protocollare una mia dichiarazione in cui affermo di non aver potuto prendere visione degli atti, come prescrive la legge. Basta questo ad invalidare eventuali determinazioni. Ad adiuvandum mando un’ulteriore nota con la quale diffido Sindaco e segretario (non si sa mai) dal porre all’esame del consiglio gli atti viziati.
Nel frattempo mi vengono inviati gli atti (incompleti peraltro) del punto sulla permuta dei terreni. Inutile dire che c’è il tempo di esaminarli solo nella tarda serata di giovedì. La mattina successiva si va in consiglio. Il Sindaco cerca di risolvere la querelle nata nei giorni precedenti e si appella al nostro senso di responsabilità. Raccogliamo l’appello, ma chiediamo maggiore rispetto del nostro ruolo. Decidiamo di approvare i verbali, nonostante non sia stato possibile rivederne il contenuto. Lasciamo in sospeso la questione “permuta”. Attendiamo l’illustrazione del Sindaco per valutare l’urgenza. Nel frattempo esaminiamo l’ultima osservazione alla variante. Riguarda la reiterazione di uno standard urbanistico. La maggioranza sostiene che si debba mantenere il vincolo nell’interesse della collettività.
Sul principio siamo d’accordo. Peccato che in molte altre circostanze siano state fatte valutazioni completamente diverse e si siano fatti decadere moltissimi standard urbanistici privando la collettività di verde, parcheggi, piazze, magari perché insistevano su terreni di proprietà di qualcuno che sedeva (o siede) proprio in consiglio comunale. In ogni caso ci troviamo d’accordo e si vota all’unanimità. Cogliamo però l’occasione per fare qualche valutazione sulla prosecuzione dell’iter della variante.
Intanto rinnoviamo per l’ennesima volta la richiesta all’assessore all’urbanistica di darci qualche cifra sui cambiamenti apportati al piano dall’esame delle osservazioni.
Adesso non ha più alibi. Non che ci dia la risposta, per carità. Però si dichiara pronto a farci un quadro completo.
Ha incaricato il progettista di fare il punto della situazione.
Attendiamo fiduciosi. Ci teniamo però a ribadire che il piano contiene importanti vizi e che è stata utilizzata una procedura illegittima per apportare alcune modifiche, ossia quella della presentazione delle osservazioni da parte dell’ufficio tecnico durante l’esame delle osservazioni. Citiamo una sentenza del TAR in tal senso, tanto per chiarire che non ci stiamo inventando niente. Chiediamo anche, come stabilito dalla normativa urbanistica, la ripubblicazione del piano, obbligatoria quando – come nel nostro caso – le modificazioni apportate siano di tale portata da innovare completamente la struttura del piano. L’assessore si dichiara contrario, nonostante il nostro riferimento ad una sentenza del Consiglio di Stato. Quisquilie, avrebbe detto Totò.
I due punti successivi riguardano due importanti mozioni proposte da noi in materia di borse di studio e per il rilancio dell’- associazionismo locale. Sono state accolte entrambe all’unanimità (fatta salva l’astensione di Spezzano su quella relativa alle associazioni per sottolineare l’inadeguatezza finanziaria).
Lascio a Benedetto il commento in proposito.
Si procede spediti verso l’ultimo punto. Chiediamo al Sindaco di spiegarci il contenuto della delibera e di chiarire le ragioni dell’urgenza. La spiegazione non è particolarmente approfondita e abbiamo la sensazione che ci sia qualche omissione di troppo. Per fortuna qualcosa eravamo riusciti a leggere e abbiamo provato a dare un quadro della situazione. Intanto le ragioni di urgenza non c’erano. E per due motivi. Il primo è che la famosa diffida era la quarta di una serie di lettere inviate dal consorzio IRICAV a partire da giugno del 2008. Giudicare urgente qualcosa risalente a otto mesi prima equivarrebbe ad un’ammissione di incapacità amministrativa. Il secondo è il contenuto della lettera-diffida: l’IRICAV concede 30 giorni di tempo per adempiere agli accordi intercorsi.
Ovviamente lo facciamo presente, ma esprimiamo comunque le nostre perplessità sull’eccesso di sintesi dell’illustrazione del Sindaco e proviamo a fornire noi – e questo è davvero un ricorrente paradosso – qualche elemento aggiuntivo a beneficio anche dei consiglieri di maggioranza che, a quanto sembra dalle espressioni attente, non avevano piena cognizione della questione.
Per farla breve la società che ha costruito l’Alta Velocità si impegna a cedere al comune di Labico le infrastrutture viarie realizzate in occasione dei lavori, chiedendo in cambio la cessione di una particella di 242 metri quadrati. Un bel vantaggio ci aveva spiegato il Sindaco (circa 5mila metri quadrati di strade a fronte di 242 metri quadrati). Una formalità aveva sottolineato sempre il Sindaco nella sua breve e fumosa illustrazione. Qualcosa però non torna. Perché – chiediamo – non ci ha detto che la zona di cui stiamo parlando è all’interno della “sua” (del Sindaco) proprietà? Perché non si tiene minimamente conto di una strada intercomunale di collegamento tra Carchitti e Labico, da molto tempo sottratta in modo arbitrario all’uso pubblico? Il Sindaco all’inizio reagisce in modo scomposto. Poi si rende conto – coadiuvato in questo dalle nostre argomentazioni - dell’imbarazzante corto circuito del suo doppio ruolo di tutore del pubblico interesse e di portatore di un potenziale tornaconto privato. Nega però che vi sia o che vi sia mai stata una strada.
Non lo aiuta il vicesindaco che si affretta a dire di ricordare che c’era una strada vicinale. In ogni caso si decide di rinviare il punto, dando modo alla commissione urbanistica di effettuare un sopralluogo alla ricerca di una maggiore chiarezza che però non arriva. Il giallo della strada scomparsa è ancora tutto da risolvere.

3 febbraio 2009

Bici... e treni

Eccolo sta arrivando. La carrozza con il vano bici – contrassegnata dall’apposito pittogramma, come spiegano zelantemente gli opuscoli informativi – mi scorre davanti. Le lancio appena uno sguardo distratto. Troppe volte sono caduto nella trappola di inseguirla affannosamente per seguire in modo scrupoloso le direttive sul trasporto delle bici al seguito. La realtà poi è sempre un po’ diversa. Controllori e capitreno sono spesso del tutto ignari della questione. Il vano bici non è quasi mai accessibile, per una ragione o per l’altra. Talvolta ci si trova a doversi affidare alla benevolenza del personale ferroviario per riuscire a portare con sé la bicicletta. Dinamica tipica del nostro paese: il diritto trasformato in concessione. Conviene affidarsi all’esperienza ed affinare qualche tecnica di “sopravvivenza”. La prima regola è quella di evitare di salire su carrozze intermedie. Neppure sulla penultima. O sulla seconda porta dell’ultima. Si scopre, a proprie spese, quanto siano propensi alla mobilità interna i viaggiatori dei treni. Un incomprensibile via vai di passeggeri che erano saliti in coda e vogliono andare in testa e di passeggeri saliti in testa per i quali diventa irrinunciabile raggiungere un vagone di coda. E questo duplice flusso di persone, con bagagli di ogni tipo e tutti molto ingombranti si incrocerà inesorabilmente lì, su quella piattaforma che sembrava vuota, dove vi siete posizionati voi con la vostra bicicletta e ognuno di loro passando vi lancerà uno sguardo severo di disapprovazione a significare “dove diavolo va con la bicicletta questo?”. Anche se avrà al seguito due enormi valigioni similbaule modello Principessa d’Austria in viaggio per le vacanze estive. I più spiritosi si limiteranno a qualche facezia del tipo “che stai a ripià il gruppo?” oppure il più banale: “perché prendere il treno quando hai la bicicletta?”. Onde evitare questo genere di situazioni è sempre meglio optare per l’ultima (o la prima) piattaforma utile. Certo anche quella non verrà risparmiata e ci sarà chi sentirà il bisogno irrinunciabile di superare la bicicletta e affacciarsi verso il nulla per essere certo che non ci siano altri vagoni. Insomma qualche incomodo si crea e qualcun altro si patisce. A cominciare dalla ricerca del biglietto per la propria compagna di viaggio, vera chimera tra i titoli di viaggio Trenitalia. Neanche pensare di poterne trovare in edicola o dal tabaccaio, unici punti vendita di biglietti nei pressi delle stazioni ferroviarie più piccole. Ma neppure in quelle di medie dimensioni è il caso di farsi soverchie illusioni. Ad essere ottimisti li si potrà trovare in non più di venti stazioni in tutto il territorio nazionale. E talvolta sono gli stessi addetti ad ignorarne l’esistenza. I più navigati se la cavano con un chilometrico dello stesso importo, normalmente sufficiente a placare l’animo anche del più intransigente dei controllori. Fino a qui sembra proprio che non ne valga la pena. Però… Però c’è un momento – e che momento!– in cui si avvicina la stazione di destinazione e si comincia a pregustare una meravigliosa giornata da trascorrere sui pedali, percorrendo strade sconosciute, ammirando inediti paesaggi, esplorando nuovi orizzonti. Qualcosa che indubbiamente potrà ripagare i disagi del viaggio. E allora ecco che il treno rallenta, si ferma, si aprono le porte e… Cazzo! Piove.

Alle colonne d'Ercole

Alle colonne d'Ercole
La mia ultima avventura