29 novembre 2010

La risposta all'articolo del sito "Ecco la notizia quotidiana"

Ecco il comunicato inviato venerdì 26 novembre al sito "Ecco la notizia quotidiana" e che, prevedibilmente, non è stato pubblicato.


Troviamo davvero scorretto il modo di fare informazione del sito “Ecco La Notizia Quotidiana”. Probabilmente non è un caso che il direttore editoriale della testata giornalistica sia anche l’addetto stampa dell’amministrazione comunale. E’ evidente che questo conflitto di interesse (tra l’imparzialità e la correttezza dell’informazione e l’incarico retribuito dal Comune) renda disagevole il rispetto di quella deontologia professionale che dovrebbe essere alla base della professione di giornalista. Come gruppo Cambiare e Vivere Labico abbiamo inviato un comunicato stampa immediatamente dopo il consiglio comunale, che è stato pubblicato sul sito solamente “dopo” il comunicato della maggioranza, che è stato fatto in seguito al nostro. In più Daniele Flavi l'addetto stampa dell'amministrazione non era presente in consiglio comunale quando è stata sollevata la questione e non ha sentito le parole del sindaco che ha risposto al nostro intervento in proposito. Tant’è vero che nel comunicato si dicono cose completamente diverse da quelle dichiarate dal sindaco, il quale – in sostanza – ha preteso di entrare nel merito del contenuto della pubblicazione e ha deciso di interpretare a modo suo una legge che evidentemente non si è preso neppure la briga di leggere e che non consente certo di sindacare sulle opinioni espresse. Inoltre non viene citato il fatto che si sono contraddetti più volte, perché prima è stata presentata come una decisione di giunta, salvo poi dover incassare la presa di distanza dell’assessore Di Stefano, che ha dichiarato di non saperne nulla. Infine hanno rifiutato di rispondere alla domanda se i cittadini dovranno sostenere le spese legali di questo patetico tentativo di metterci a tacere. Invitiamo infine il sindaco a leggersi le leggi prima di avventurarsi in interpretazioni fantasiose, poiché pretende che un bollettino di informazione politica debba rimanere tra le mura delle sezioni di partito. Se sono queste le basi su cui si fonda la denuncia – che, nella sua spiegazione in consiglio, è diventata una “lettera aperta”, avveniristica fattispecie di notizia di reato e che probabilmente deve ancora essere introdotta nel codice di procedura penale – di Andrea Giordani, temiamo che riuscirà a superare nuovamente sé stesso in quella che è la sua specialità: la farsa.
Cambiare e Vivere Labico

24 novembre 2010

Approvata la Roma - Latina. Uno scempio da fermare.

articolo pubblicato su Terra (inserto Lazio) di oggi


I toni del comunicato sprizzavano entusiasmo da tutti i pori. La scorsa settimana il CIPE ha approvato il progetto definitivo del corridoio intermodale Roma-Latina e l’annesso collegamento Cisterna-Valmontone. Per realizzare l’opera – il cui costo complessivo ammonta a 2,728 miliardi di euro – sono stati stanziati i primi 468 milioni. La valenza positiva della notizia non sembra quindi in discussione. Finalmente, è stato il commento della Polverini, si può realizzare un asse strategico per la regione Lazio e che interviene su una delle strade più pericolose d’Italia. Purtroppo, come spesso succede, non si ha la capacità di alzare lo sguardo verso l’orizzonte e di inserire le scelte – e in particolare quelle che interagiscono con il sistema economico, infrastrutturale e produttivo – in un contesto più ampio, tenendo conto di quale modello di sviluppo si vuole davvero perseguire. Non si può, da un lato, sostenere – come fanno molte forze politiche, per accattivarsi le simpatie e il consenso di una sempre più crescente fascia della popolazione, sensibile alle questioni ambientali – l’esigenza di invertire la rotta dell’economia, puntando sulla riduzione delle emissioni di gas serra, sul riequilibrio modale nel trasporto merci e passeggeri, su nuovi modelli produttivi che accorcino la filiera (anche e soprattutto in termini di chilometri percorsi dei beni dall’origine al consumatore finale) e, dall’altro, perseverare nella catastrofica scelta di investire esattamente nel modello economico opposto. Ossia il modello che determina nuovo consumo di territorio, che incentiva il trasporto su gomma, che favorisce le lunghe percorrenze delle merci e che aumenta i consumi di carburanti fossili e le emissioni di gas inquinanti e climalteranti. E se a farlo è la Polverini, non c’è molto di cui stupirsi.
Il problema è che questa opera è stata – ed è tuttora – fortemente voluta anche da una buona parte della coalizione che esprimeva la precedente giunta regionale. Un altro elemento su cui bisognerebbe riflettere è l’aspetto economico. Le opere pubbliche, oltre ad incidere sul modello economico-produttivo di un Paese, hanno un costo per la collettività e, soprattutto in una situazione di crisi economica profonda come quella che stiamo vivendo, decidere di impegnare ingenti risorse in determinate opere (si pensi al ponte sullo stretto o, addirittura, ai cacciabombardieri, rispettivamente 7 e 16 miliardi di euro) preclude la possibilità di utilizzare quelle risorse per altri settori (dalla scuola, alla sanità, all’assistenza sociale, ossia quei settori su cui si concentrano i risparmi della politica di Tremonti). E, in questo caso, si fanno delle precise scelte. Non c’è da stupirsi allora se, con la manovra estiva dello scorso giugno, il Governo Berlusconi ha deciso di tagliare i trasferimenti per il trasporto pubblico locale e ferroviario. Nella quasi totale disattenzione dei media italiani, Federmobilità, l’associazione che raggruppa i maggiori assessorati ai trasporti italiani, lanciava l’allarme sugli effetti del taglio disposto dal governo con il decreto-legge n. 78 del 2010. Si tratta di qualcosa come 1540 milioni di euro che sono stati sottratti alle linee ferroviarie dei pendolari ed al trasporto pubblico urbano. La conseguenza sarà inevitabilmente quella della riduzione del personale, della diminuzione dell’offerta e della qualità dei servizi e dell’aumento del ricorso alla mobilità privata con prevedibili effetti negativi sui livelli di congestione e di inquinamento.
Chi viaggia sui treni locali per recarsi quotidianamente a Roma conosce bene la situazione. I treni, per frequenza e capacità, sono già adesso insufficienti a soddisfare la domanda e, a causa delle già modeste risorse, la qualità e la pulizia dei mezzi è davvero inadeguata. In caso di guasto – non infrequente perché una delle fonti di risparmio è la manutenzione – il viaggio dei pendolari diventa un vero calvario. E dall’anno prossimo, grazie ai sapienti tagli del Governo, le cose potranno solo peggiorare.
In compenso si provvederà a cancellare altre migliaia di ettari di suolo agricolo per realizzare un’opera che comprometterà irrimediabilmente nuovi pezzi di quell’”agro romano” che costituisce l’elemento chiave e di pregio del paesaggio e di un’economia agricola che invece si vuole mortificare e condannare all’abbandono. Un primo tentativo – motivato proprio con la previsione della nuova arteria stradale - di realizzare un’area di sviluppo industriale nel comparto territoriale dei comuni di Labico, Artena, Valmontone e Palestrina è appena stato sventato dalla tenacia dell’opposizione consiliare labicana, dall’intervento di Angelo Bonelli alla Regione Lazio e, soprattutto, dalla mobilitazione dei cittadini. Se, però, la bretella – e il casello – si faranno sul serio gli appetiti saranno ancora più robusti e non è difficile immaginare che, con la connivenza di qualche amministrazione locale, potrebbero iniziare a sorgere manufatti abusivi, pronti per facili speculazioni. La domanda è: si fa ancora in tempo ad evitare questa nuova devastazione? La risposta è sì. Servirebbe però, oltre ad una maggiore consapevolezza e determinazione dei cittadini che pagheranno questa scelta sulla loro pelle, una minore ambiguità da parte delle forze politiche. Quelle che davvero vogliono proporre stili di vita e di consumo più attenti alla salute e al benessere dei cittadini devono dimostrarlo con i fatti. Non limitandosi a finanziare il mercatino biologico di quartiere per tacitare le coscienze, ma proponendo un modello economico, produttivo ed infrastrutturale veramente alternativo e sostenibile e che non passa certo per il corridoio tirrenico meridionale.

Tullio Berlenghi

18 novembre 2010

La "stampa clandestina" sul sito paneacqua.eu


Spesso nei piccoli paesi lo scontro politico è aspro e appassionato. E quando il clima infuocato annebbia le menti si rischia di ricorrere a bizzarre forme di contrasto dell'avversario. E' quanto è successo a Labico, piccolo comune in provincia di Roma, dove un'amministrazione ultradecennale si è ritrovata - per la prima volta nella sua lunga storia - ad affrontare un'opposizione grintosa e determinata che, pur priva del consenso clientelare che aveva garantito la riconferma della compagine di governo, ha iniziato a fare (dal dicembre 2006) un'intensa azione di informazione attraverso un bollettino politico e alcuni blog e siti internet. Un'azione non solo tesa a diffondere le opinioni e le critiche del gruppo consiliare di minoranza, ma che si prefigge anche l'obiettivo di dare quelle informazioni che la maggioranza - probabilmente per mantenere una certa distanza tra il "palazzo" e i cittadini - lesinava a dare. E l'informazione, come è noto, produce presto dei risultati. I cittadini cominciano a farsi delle domande, a comprendere le ragioni delle scelte, a sollevare delle perplessità. In più di una circostanza la maggioranza ha messo in dubbio la legittimità del bollettino diffuso dall'opposizione. All'inizio hanno cercato di puntare sui contenuti - ritenuti lesivi dell'onorabilità degli amministratori -, ma le reiterate - e annunciate a mezzo stampa - minacce di querela per diffamazione non sono mai giunte a destinazione.
Il tentativo finale, comico quanto disperato, è stato quello di riesumare un'anacronistica norma ereditata dal fascismo: il reato di stampa clandestina. La legge è stata promulgata nel 1948, ironia della sorte, lo stesso anno della nostra carta costituzionale. E con la Costituzione, difatti, gli articoli contenenti le norme più liberticide - come l'articolo 16 invocato dalla maggioranza labicana per fermare le pubblicazioni dell'opposizione - sono stati più volte al vaglio della suprema Corte, per il sospetto che fossero in contrasto con il dettato costituzionale. La Corte ha sempre preferito non sbilanciarsi, probabilmente perché il vero elemento di forza, via via consolidato negli anni, era, più di quella formale, la Costituzione materiale. La libertà di espressione non è in discussione e qualsivoglia tentativo di interpretare in modo restrittivo una norma che pure presenta qualche ambiguità è destinato a fallire miseramente. Le due fattispecie previste dall'articolo 16 della legge 47 del 1948 - e per le quali è prevista una sanzione penale che contempla fino a due anni di carcere - fanno in sostanza riferimento alla possibilità che si stampi un vero e proprio giornale, non rispettando il previsto obbligo di registrazione al tribunale e la presenza di un direttore, che deve essere necessariamente un giornalista professionista. In questo caso il bene tutelato è presumibilmente il rispetto di alcune regole del mercato, violando le quali un soggetto potrebbe beneficiare di un ingiustificato vantaggio. Non è un pericolo reale, ma l'età anagrafica della norma giustifica la sua inadeguatezza al contesto attuale. La seconda ipotesi è quella che prevede l'effettiva "clandestinità" di chi cura una pubblicazione. Il bene tutelato è la sicurezza pubblica e, per questo, non è ammessa la diffusione di materiale che non contenga le indicazioni su chi lo elabora. Non è un caso che sia quasi del tutto assente la giurisprudenza in materia. A pochi sprovveduti può venire in mente di presentare una formale denuncia per un opuscoletto di informazione politica locale e il pubblico ministero in genere archivia direttamente. Avviare un procedimento penale per casi del genere significherebbe, al di là del patente contrasto con l'articolo 21 della Costituzione, ingolfare un sistema giudiziario che ha già i suoi problemi ad occuparsi dei reati "veri" e non si può permettere di perseguire gli autori di pubblicazioni di cui si presume artatamente la clandestinità.
Tornando al caso di Labico, proviamo ad immaginare cosa succederebbe ad applicare in modo rigido la norma. Intanto, anche in Parrocchia dovrebbero preoccuparsi, visto che curano una pubblicazione molto simile a quella per la quale è stata attivata la magistratura. E poi, bisogna considerare che nel vigente Codice Penale c'è un reato - ancorché depenalizzato - strettamente connesso a quello dell'articolo 16 della legge 47, denominato "divulgazione di stampa clandestina". In pratica, nel momento in cui si stabilisse che la pubblicazione politica dell'opposizione labicana configura l'ipotesi di reato di "stampa clandestina", automaticamente e per l'obbligatorietà della legge penale, il sistema giudiziario dovrebbe avviare indagini per individuare le decine di persone che hanno contribuito alla divulgazione dell'opera criminosa, tra baristi, edicolanti, titolari di esercizi commerciali e singoli cittadini che hanno fatto volantinaggio o distribuito il bollettino nelle case.
Uno scenario talmente irragionevole che neppure un Paese così pieno di stranezze e contraddizioni come l'Italia sarebbe disposto a tollerare.

Tullio Berlenghi e Eleonora Fioramonti

12 novembre 2010

Lettera aperta al Sindaco di Labico sulla denuncia per "stampa clandestina"


Al Sindaco di Labico


Caro Andrea,

sono stato chiamato dalla polizia per essere identificato, visto che – se non erro a seguito della vostra denuncia - risulto essere una persona sottoposta ad indagini in merito al reato di “stampa clandestina”. Ovviamente la magistratura dovrà intanto stabilire l’esistenza del reato. Un reato di cui si era persa traccia e memoria, poiché da oltre 60 anni vige una Costituzione che tutela la libertà di espressione, e il cui margine di applicabilità si riduce a pochissime fattispecie, tra cui dubito si possa inserire il nostro Cambiare e Vivere Labico News.
Premesso che né io né gli altri membri del gruppo consiliare abbiamo accolto con particolare inquietudine la notizia della vostra denuncia, vorrei porti alcune domande:
Devo aspettarmi che, da adesso, smetterete di considerare lo strumento della segnalazione alle autorità competenti un gesto orrendo ed inqualificabile, ma bensì una legittima scelta di azione politica ed amministrativa, oppure dipende dall’identità del denunciante?
Come mai, in un paese in cui frequentemente le leggi non sono rispettate - a cominciare da te che rifiuti categoricamente di rispondere alle nostre interrogazioni, soprattutto quando riguardano i tuoi interessi personali –, la priorità diventa intervenire nei confronti di un bollettino di attualità politica, che non fa altro che supplire alla vostra mancanza di informazione e di trasparenza?
Quale obiettivo vi siete posti con questa denuncia? Pensate che la magistratura ci condannerà ad una pena esemplare? Siete convinti di poter fermare la pubblicazione del nostro foglio informativo e metterci così il bavaglio? Sperate davvero che si possa contrastare la vostra inettitudine e mancanza di argomenti, mettendo a tacere chi ha argomenti e proposte e la competenza per metterli in pratica?
Mi sai spiegare cosa c’è, secondo voi, di “clandestino” in una pubblicazione i cui autori e divulgatori sono non solo ben noti, ma dei quali sono chiaramente indicati nomi e cognomi, nonché riferimenti telefonici e di posta elettronica?
La tua denuncia l’hai fatta da privato cittadino o in qualità di sindaco di Labico? E, nel secondo caso, dobbiamo immaginare che il contribuente labicano, oltre a dover pagare i vostri manifesti di attacco politico e i vostri giornaletti di propaganda (spacciati per informazione amministrativa), dovrà pagare anche le spese legali di questa donchisciottiana battaglia contro i mulini a vento?
Sarò lieto di porti queste domande direttamente in consiglio comunale, ben sapendo che non sarà facile attendersi delle risposte. Nel frattempo vorrei sommessamente farti presente che, mentre voi vi dichiarate orgogliosi per un rinvio a giudizio per un reato contro la pubblica amministrazione (e quindi a danno dei cittadini) io, e con me il gruppo consiliare Cambiare e Vivere Labico, sono orgoglioso di fare una battaglia in nome di quella libertà di espressione sancita dall’articolo 21 della nostra carta costituzionale e che non potrà certo essere messa in discussione da un grossolano quanto velleitario tentativo di tapparci la bocca.
Colgo l’occasione per allegarti l’ultimo numero di Cambiare e Vivere Labico News che, grazie anche alla vostra denuncia, è particolarmente ricco di contenuti.
Con vivissima cordialità.

                                                                      Tullio Berlenghi
                                       Cambiare e Vivere Labico

11 novembre 2010

Il bavaglio mancato


Immaginiamo la scena. “Avvocato cerchi qualcosa. Un appiglio, un pretesto, un cavillo. Noi non ce la facciamo più”. “Dunque, vediamo… a, abigeato, no, non va bene, b, b, c, c, d, disfattismo politico mmm, no, peccato, non è tempo, e, f, g, h, i, insider trading, no, no, l, m, n, o, omissione di soccorso?, no, non è credibile, p, q, s, s, sottrazione di minorenni, oddio qui si va su altre cariche istituzionali, meglio lasciar perdere, ecco, trovato: stampa clandestina. Perfetto”. “E’ sicuro, avvocato?” “Tranquilli, con questo li facciamo a pezzi”.
La vicenda è persino divertente. Sono talmente terrorizzati dal fatto che c’è qualcuno che fa informazione, da tentare di impedirlo con un rozzo ricorso ad una denuncia penale. Il reato su cui si basa l’impianto accusatorio pone la situazione a metà tra il ridicolo ed il patetico: stampa clandestina. Una fattispecie di reato – che, non a caso, vide il massimo fulgore durante il ventennio fascista con il codice Rocco - la cui ratio origina dall’esigenza di perseguire chi – clandestinamente, appunto – pubblica uno stampato senza che sia possibile risalire a chi ne è responsabile. La cosiddetta “clandestinità” sta tutta lì. Peccato che, nel nostro bollettino, ci siano nomi, cognomi, telefoni, posta elettronica, e qualsivoglia elemento utile a capire chi ne cura la redazione. E i molti cittadini che in questi anni ci hanno contattato ne sono la piena conferma. La surreale circostanza ci permette di fare qualche considerazione:
·        Il nostro "giornale" fa paura. Fa paura perché pone in essere il più odioso – agli occhi dei nostri amministratori – dei misfatti: fare informazione. La sola idea che ci sia uno strumento attraverso cui passano le notizie, le informazioni, le opinioni, le critiche turba i sonni di chi governa il paese e che vorrebbe che a dormire fossero i cittadini. Peccato che così non è e i cittadini sono ben lieti di leggerci. Perché sono consapevoli che non è in gioco la loro autonomia e sceglieranno con grande serenità i propri rappresentanti istituzionali, ma apprezzano il fatto che noi, del nostro operato, rispondiamo con la massima trasparenza.
·        La scala delle priorità della maggioranza è riprovevole. Non si curano certo di intervenire per garantire la sicurezza dei bambini che vanno a scuola, non si preoccupano di intervenire per i diffusi casi di allarmante illegalità che preoccupano i cittadini, non esercitano un minimo di controllo e repressione sui tanti reati a danno del nostro territorio e del nostro ambiente, però mettono la magistratura e la polizia giudiziaria in condizione di doversi occupare della divulgazione di un bollettino di informazione politica, come se rappresentasse chissà quale sconvolgente pericolo per il paese.
·        Va sottolineato che – sulla base della loro denuncia – anche la redazione del giornalino della parrocchia rappresenta una pericolosa condotta eversiva e, ai sensi della norma invocata nella loro denuncia, il povero don Antonio rischierebbe due anni di galera. Che facciamo? lo denunciamo subito o lo invitiamo ad andarsi a costituire? A meno che il problema non sia nei contenuti. Ma sui contenuti non interviene la legge – in ossequio all’articolo 21 della Costituzione, che sancisce la libertà di espressione – e ci sono altre fattispecie di reato da prendere in considerazione, come la diffamazione.
·        Proprio sulla diffamazione il vicesindaco Alfredo Galli per ben due volte ha dichiarato di avere denunciato il capogruppo dell’opposizione, salvo poi venire a scoprire che era tutta una bufala. E non era vero per una semplice ragione: qualcuno gli avrà spiegato che querelare una persona per aver detto il vero significa dover inevitabilmente soccombere in giudizio.
·        Non è in discussione il principio di legalità, che – da pulpiti un po’ più plausibili – potrebbe rappresentare una motivazione ragionevole. Un’amministrazione comunale che pretende il rispetto delle regole - anche quelle “minori” - da parte di tutti, avrebbe dovuto cominciare con denunciare illeciti ben più gravi di quelli che ci vengono contestati. Ma, soprattutto, dovrebbe avere comportamenti ineccepibili, mentre la realtà è ben diversa, come dimostrano i numerosi casi in cui gli interessi della collettività sono stati subordinati ad altre, non troppo nobili, esigenze.
·        In gioco c’è la comunicazione politica. Quella loro, fatta con i soldi dei contribuenti, che, avvalendosi del logo dell’amministrazione, esalta l’operato della maggioranza (e, talvolta, attacca l’opposizione) con manifesti, comunicati stampa, costosissime pubblicazioni patinate. Quella nostra, fatta con i soldi nostri, che – pur essendo dichiaratamente di parte – fa informazione, stimola il dibattito, dà spazio alle critiche e alle opinioni e non si lascia intimidire da volgari tentativi censori.
Proviamo però a vedere i possibili scenari della loro geniale mossa strategica. Ci sono due eventualità. La prima, la più probabile, è che la magistratura, già nella fase delle indagini preliminari o, eventualmente, nell’udienza preliminare decida di archiviare la questione. La maggioranza fa una pessima figura, perché non riesce a fermare la nostra pubblicazione (che è evidentemente il loro obiettivo) e riconosce implicitamente la preoccupazione delle conseguenze che può avere sulla credibilità e la competenza di chi ci governa. La seconda, piuttosto remota, è che si riscontri qualche irregolarità formale nel bollettino. In questo caso non faremo altro che correggere l’errore e continueremo, con maggiore entusiasmo ed energia, la nostra azione di informazione. Il loro tentativo di tapparci la bocca è talmente puerile che il loro bavaglio non funzionerà: più che un bavaglio sembra un bavaglino.

Tanto paga Pantalò...


Sono passati tre anni e mezzo da quando ho iniziato a svolgere il mio ruolo di eletto in consiglio comunale. Un ruolo che – in qualunque veste e in qualunque schieramento – presuppone a mio avviso un preciso obbligo di impegno e di responsabilità. Le scelte che passano attraverso le decisioni degli organismi del comune, sono scelte importanti, che riguardano l’intera collettività e che non possono e non devono essere affrontate con eccessiva disinvoltura. Quando si prende una decisione, votando ad esempio per una delibera, bisogna informarsi, capire, sapere cosa comporta quella scelta. Perché un sì o un no possono avere conseguenze importanti per i cittadini e per il paese.
In questi tre anni e mezzo mi sono reso conto che non è così. Continuo ingenuamente a stupirmi per la faciloneria con cui troppo spesso si affrontano questioni anche di grande rilievo.
La clamorosa dimostrazione l’ha data l’ipotesi di realizzare un consorzio per lo sviluppo industriale a cui affidare la gestione di un’enorme area in prossimità di Colle Spina. Un’ipotesi che già confliggeva con il proposito di valorizzare la produzione agricola locale, tanto sbandierato dal sindaco, dando immediatamente la misura di come si possa essere affetti da schizofrenia amministrativa e dare vita a progetti diametralmente opposti. Eppure sulla realizzazione del polo industriale la maggioranza è andata avanti per quasi un anno senza dare alcun segnale di dubbio, di perplessità, di incertezza. Tutti granitici a sostenere il progetto riempiendosi la bocca con le parole d’ordine: sviluppo, occupazione, opportunità, ricchezza.
L’informazione sulla reale portata del progetto e sulle possibili conseguenze l’abbiamo fatta noi dell’opposizione. Con i nostri giornali, con i manifesti, con i siti web. Abbiamo spiegato cosa voleva dire creare un’area di sviluppo industriale, quali attività potevano insediarsi, quali pericoli comportava – per la salute e per l’ambiente – un simile scenario. Evidentemente qualche cittadino avrà cominciato a farsi delle domande, ad esprimere le proprie preoccupazioni. Per tacitare ogni possibile inquietudine l’amministrazione decideva di convocare un’assemblea pubblica a Colle Spina per illustrare il progetto (che, fino a poche settimane fa, non era minimamente in discussione). L’assemblea, nella mente degli organizzatori, doveva consistere in una semplice operazione di propaganda: guardate quant’è bella una zona industriale a pochi metri da casa vostra. Possibilità di contraddittorio: nessuna. Il copione dei registi, però, non è stato rispetto e il contraddittorio i cittadini se lo sono presi comunque e più di qualcuno ha preso la parola per dichiarare la propria contrarietà.
A quel punto la voglia di capirci meglio e di saperne di più ha iniziato a diffondersi e - vista la fattiva collaborazione di un’opposizione che mette sempre a disposizione dei cittadini informazioni, carte e documenti – stava diventando davvero difficile l’opera di controinformazione che cercava di smentire gli stessi documenti approvati.
Emblematico è stato il caso del manifesto pagato con i soldi dei contribuenti con cui si accusava l’opposizione di raccontare bugie sulla vicenda. E le nostre bugie erano talmente madornali da essere state usate poi tra le motivazioni della revoca della delibera. Provo a spiegarmi con una metafora. Giordani, che guida la macchina comunale, decide di attraversare l’incrocio col semaforo rosso. Io provo a dire “non credo sia il caso di farlo”. Lui chiede: “perché?”. “Perché è rosso”, rispondo. Giordani a questo punto mi accusa di raccontare un sacco di bugie e di voler rallentare il glorioso cammino di tutti noi. Io mi limito ad indicare il semaforo agli altri passeggeri. “Cavolo, è rosso” confermano e chiedono spiegazioni. Giordani, a questo punto, decide di recedere dall’insano proposito e si ferma. Io chiedo: “Perché ti sei fermato?”. “Che domande – ribatte - è rosso”.
Le motivazioni della revoca però sono disarmanti. In sostanza, si legge nella premessa dell’atto, il progetto era ottimo, però, visto che stava creando preoccupazione nella cittadinanza, abbiamo deciso di non portarlo avanti. Se l’impostazione – anche condivisibile se vogliamo, perché prevede il coinvolgimento della cittadinanza nelle scelte importanti - è questa, forse sarebbe più logico consultare i cittadini prima di investire risorse. Sì perché di soldi ne abbiamo già buttati parecchi in questa operazione. Si tratta di quasi ventimila euro. E i soldi non ce li rimetterà chi ha fatto la scelta sbagliata, ma i cittadini che, se consultati prima, avrebbero detto subito cosa pensavano della proposta. A confermare la fitta nebbia in cui si muove (a tentoni) la maggioranza ci ha pensato l’assessore Di Stefano, il quale - forse per captatio benevolentiae – ha rilanciato: non solo revochiamo l’ASI, ma cancelliamo l’area industriale prevista dalla variante al PRG e la trasformiamo in turistico-ricettiva. Salvo poi aggiungere “stoccaggio merci”. Come se le due finalità potessero allegramente convivere. Nel giro di poche settimane, insomma, la nostra operosa maggioranza ha promosso - nel medesimo ambito territoriale – la produzione di nocciole col marchio DOP, una devastante arteria di scorrimento veicolare, un’enorme area industriale, con tanto di impianti per la termodistruzione dei rifiuti, un piacevole e accogliente sito agrituristico, una bella piattaforma logistica per lo scambio merci da migliaia di TIR al giorno. Mancano solo l’aeroporto e la centrale nucleare e abbiamo fatto tombola. Forse farei meglio a tacere, sia mai che qualcuno lo prenda come un suggerimento…

5 novembre 2010

"Una vittoria di Labico e dei labicani". Questo il commento a caldo di Tullio Berlenghi, capogruppo di opposizione al comune di Labico, dopo l'odierno consiglio comunale che ha visto la revoca della discutibile delibera sull'istituzione di un'area di sviluppo industriale nel paese.
"La sciagurata idea di trasformare una parte importante del territorio agricolo di Labico in industriale è stata definitivamente archiviata. Sono stati necessari mesi di lunghe battaglie per spiegare, prima alla maggioranza - che però ha fatto orecchie da mercante, accusandoci addirittura di dire delle menzogne – e poi ai cittadini - in particolare quelli di Colle Spina, che avrebbero subito i danni maggiori – quali pericoli comportava, per l'ambiente e per la salute, la realizzazione del consorzio per lo sviluppo industriale a Labico. Sono stati proprio i cittadini di Colle Spina, che hanno partecipato numerosi all'assemblea di presentazione del progetto il 25 settembre scorso, ad esprimere una netta contrarietà alla devastazione del territorio e l'opposizione – prosegue Berlenghi - si è limitata a dare le informazioni complete e trasparenti che l'amministrazione lesinava a fornire. Il risultato è stato che lo stesso sindaco che con tanta enfasi aveva illustrato la proposta un mese fa, ha presentato la delibera con cui si è chiusa la partita. L'unico problema è che – a causa dell'avventatezza con cui amministratori poco accorti gestiscono la cosa pubblica – questo inciampo costerà 20mila euro ai cittadini labicani".
"Per il futuro – conclude il capogruppo di Cambiare e Vivere Labico - invitiamo l'amministrazione a fare le proprie scelte di sviluppo con maggiore cautela e ponderazione, avviando da subito l'informazione e la partecipazione dei cittadini e, soprattutto, chiediamo che si seguano modelli di sviluppo meno orientati alle speculazioni e agli interessi di pochi, ma che perseguano invece il benessere e la qualità della vita dei labicani tutti, compresi quelli di Colle Spina".

Alle colonne d'Ercole

Alle colonne d'Ercole
La mia ultima avventura