22 settembre 2007

La sinistra, il lavoro e il diritto alla salute

Ecco la versione integrale (pubblicata su Cambiare e Vivere Labico News del 22 settembre 2007) della mia risposta ad una lettera pubblicata dal quotidiano Cinque nella quale si affrontavano diverse questioni riguardanti l’operato dell’opposizione labicana.


“Ho letto con molta attenzione la lettera-articolo di critica all’operato dell’opposizione nel consiglio comunale di Labico e credo meriti una risposta.
Il riferimento alla categoria della “sinistra” mi è sembrato piuttosto temerario visto che tra le righe si intuisce che l’iniziale appartenenza ideologica alla sinistra dell’autore si è via via affievolita per transitare in tutta evidenza verso altri lidi. Niente di male: personaggi autorevoli come Bondi e Ferrara hanno fatto la medesima scelta con grande convinzione. Ma la temerarietà sta soprattutto nella sostanziale confusione con cui si fa riferimento alla sinistra, che, non solo non può essere “interpretata” a seconda delle convenienze, ma che - mentre il mio detrattore era alla ricerca di nuovi punti di riferimento politicoideologici - ha avviato un difficile percorso di analisi e di ricerca dei propri valori e dei propri principi. Possiamo dire che è maturata. Possiamo dire che è cresciuta. Così come è maturata e cresciuta l’intera società e lo stesso si può dire per la coscienza civica di molti (anche se forse non di tutti). Sono cresciute le conoscenze e le competenze ed è aumentata la consapevolezza degli effetti sulla salute e sull’ambiente di molte attività antropiche. Il riferimento ai costumi, alle usanze e alle consuetudini di 50 o 100 anni fa potrebbe risultare fuorviante. In un passato non troppo lontano si usava il carbone per il riscaldamento domestico e nessuno se ne preoccupava. Peccato però che fossero molto diffuse patologie respiratorie e l’insorgenza di gravi e mortali malattie, delle quali è stato poi accertato il nesso di causalità con l’inalazione delle polveri di carbone. I dirigenti Enimont ostentavano sicurezza e tranquillità a proposito delle emissioni inquinanti del petrolchimico di Marghera. Sono morte 157 persone per l’esposizione ai vapori di cloruro di vinile monomero. In Puglia la Fibronit ha dovuto chiudere, dopo che la sua attività di lavorazione dell’amianto aveva causato 380 morti, tra lavoratori ed abitanti della zona, per mesotelioma pleurico. Il progresso non si misura solo dalla capacità di inventare e costruire nuovi prodotti e nuovi materiali, ma anche da come si riesce a trovare un punto di equilibrio tra le esigenze produttive e quelle – a mio avviso decisamente più importanti, ma io ho il difetto di essere di sinistra – della salute dei cittadini. Anche a Labico le cose sono cambiate negli anni. Fino a qualche decina di anni fa, in prossimità delle abitazioni venivano allevati suini e bovini. Poi un giorno si è pensato che, alla luce di una mutata sensibilità sociale, alcune attività (peraltro non particolarmente nocive, ma semplicemente “fastidiose”) erano incompatibili con il rinnovato modo di vedere la qualità della vita. Alcune norme di tutela ambientale e sanitaria sono sicuramente più recenti della bottega del fabbro ferraio e anche dell’Enichem o della Fibronit, ma ciò non toglie che non siano state frutto di attente valutazioni e scelte, con il chiaro obiettivo di tutelare i cittadini. E dovrà quindi essere l’Enichem ad adeguarsi non viceversa. Vorrei sottolineare che, quando si parla con una corretta impostazione “di sinistra”, il valore da difendere non è il “lavoro”, in se, ma il lavoratore in quanto individuo ed è anche a sua tutela che sono state varate norme come il testo unico per la sicurezza dei lavoratori (d.lgs. 626/94) del quale abbiamo chiesto il rispetto con la nostra interrogazione.
In ogni caso, per tornare all’interrogazione posta dal gruppo consiliare Cambiare e Vivere Labico, la questione è molto semplice e qualunque amministratore che abbia a cuore il benessere collettivo la dovrebbe affrontare facendo una valutazione complessiva. Da un lato ci sono le esigenze – legittime – di chi svolge un’attività produttiva e dall’altro ci sono i diritti dei cittadini alla salute e al benessere. La questione nella lettera è malposta: non ci sono diritti dei lavoratori contro diritti dei cittadini. C’è un interesse economico produttivo che potrebbe agevolmente trovare una più ragionevole collocazione e c’è un diritto, quello sì, inalienabile e garantito dall’articolo 32 del nostro dettato costituzionale, alla salute. Tra gli abitanti della zona si è registrata una preoccupante presenza di patologie attribuibili all’attività in questione. E’ evidente che non c’è uno studio epidemiologico, ma quello che una volta si chiamava buonsenso e che la normativa comunitaria definisce “principio di cautela” suggerisce di prendere provvedimenti per ridurre i fattori di rischio.
L’opposizione ha semplicemente posto la questione al sindaco. Prima in consiglio comunale, poi, in assenza di segnali di attenzione, ha chiesto formalmente al Sindaco di prendere una posizione (ed è lui ad avere la responsabilità delle scelte che l’amministrazione adotta) ed ha contestualmente chiesto agli organismi di controllo di esprimere le proprie valutazioni in merito. Qualora l’inerzia del sindaco dovesse proseguire saranno loro ad occuparsene. Sempre nell’interesse dei cittadini.
Riguardo ad altre parti della lettera non proprio attinenti alla questione replico molto brevemente. 1. Non si capisce perché si debba attribuire al sottoscritto la responsabilità per violazioni di cui è a conoscenza l’autore della lettera: è suo dovere di cittadino denunciare eventuali abusi o illegalità. Se ha bisogno del nostro sostegno noi siamo pronti a fare la nostra parte. 2. Sui posti “riservati” mi sembra chiaro che io li avrei eliminati senza mezzi termini, ma anche qui è inutile farmi il processo alle intenzioni. Chi può decidere se mantenere o no il privilegio è il sindaco: è il suo operato che si deve eventualmente giudicare.
Infine vorrei ringraziare l’autore della lettera per aver dato uno spunto ad un dibattito pubblico che, purtroppo, in consiglio comunale non si è ancora riusciti ad avviare.
Ho ragione di pensare che i “motivi affettivi” alla base del suo intervento non siano scomparsi e li ritengo più che comprensibili, ma credo sia innegabile che possono minare l’autonomia del giudizio. Da parte mia – e di tutta l’opposizione consiliare - rivendico di agire nell’interesse della collettività e dubito che si possano trovare argomenti per affermare il contrario.”

Scuola. Quando l’opposizione indirizza l’azione di governo

Non si può negare che l’amministrazione comunale alla fine abbia cercato di risolvere la pesantissima situazione che si era profilata nel dibattito consiliare del 3 agosto scorso. In quella circostanza la totale confusione che pervadeva la maggioranza era decisamente preoccupante.
Non avevano idea non solo di come risolvere i problemi legati alla scuola, ma neppure di quali fossero. Con tutta probabilità non avevano alcuna intenzione di risolverli e tantomeno di affrontarli. Pensavano di cavarsela con l’approvazione di un documento di buoni propositi e nulla di più. Siamo stati noi dell’opposizione ad incalzare i membri della giunta e a chiedere conto – nell’interesse dei bambini e delle famiglie – della loro inerzia e della loro approssimazione. Abbiamo letteralmente estorto un impegno da parte del sindaco a garantire il diritto alla scuola per tutti – e sottolineo tutti – i bambini di Labico.
Cosa che fino a pochi giorni dall’inizio delle lezioni era tutt’altro che scontata. La preoccupazione di rimediare una ben misera figura ha indotto i nostri amministratori - normalmente non particolarmente attenti alle questioni legate alla cultura e all’istruzione (bisogna sempre ricordare che l’assessorato è stato declassato per sistemare i difficili equilibri interni) – ad attivarsi per una rapida soluzione dei molti problemi da risolvere prima dell’inizio dell’anno scolastico. Ci sono parzialmente riusciti. Hanno distribuito in qualche modo le classi nei vari plessi scolastici così da trovare una sistemazione per tutti, anche se hanno dovuto creare classi decisamente troppo numerose e che renderanno piuttosto difficile per gli insegnanti lo svolgimento del proprio compito. Hanno riorganizzato il personale per far fronte alla nuova situazione.
Inoltre è stata accolta la richiesta del tempo pieno (ma su questo punto altri si erano da tempo attivati). Ed è stata attivata una nuova classe della scuola d’infanzia per i bambini che erano rimasti esclusi, anche se partirà con due settimane di ritardo.
Certo, hanno pubblicizzato sulla stampa un’inaugurazione che poi hanno avuto il pudore di non ripetere (visto che l’avevano illegittimamente fatta in campagna elettorale). Certo la situazione nelle scuole e nelle classi è ancora ben lontana dall’essere quella ideale.
Ma qualcosa è stato fatto ed è ipotizzabile che senza l’azione di stimolo e di sprone di Cambiare e Vivere Labico, non avrebbero dedicato alle questioni la medesima attenzione ed il medesimo impegno. Allora proviamo a porre subito un’altra di questione. Visto che da soli, evidentemente, non ci pensano. Come mai la mensa non è ancora funzionante? E come mai sembra che non lo sarà fino alla fine del mese? Un’amministrazione comunale degna di questo nome sa bene che a un certo punto dell’anno ha inizio l’attività scolastica (è sufficiente leggere i giornali per essere informati sulla data) e sa anche che questo comporta che il comune debba rendere disponibili alcuni servizi affinché questa attività venga svolta al meglio. E questi servizi, quando le cose funzionano, hanno inizio lo stesso giorno di inizio delle attività scolastiche.
Basta organizzarsi e basta saperlo fare. Invece a Labico non funziona proprio così. Inizia la scuola. I bambini cominciano a frequentare. Poi qualcuno, più sveglio degli altri, si accorge di un particolare imprevisto ed inaspettato. E corre a dirlo a qualcuno dell’amministrazione comunale. Questi poi informa il consigliere delegato (l’assessore, lo ripeteremo fino alla nausea, non è previsto). Il quale, a sua volta, ne parla col vicesindaco. Non è dato sapere se qualcuno informerà il sindaco. Però il problema è lì, sul tavolo, e nessuno lo aveva previsto. Gli amministratori si guardano l’un l’altro sconcertati pensando “questa proprio non ci voleva: i bambini mangiano”. Certe avversità metterebbero in ginocchio chiunque. Ma non i nostri impagabili amministratori.
Sembra che a seguito di un’accurata indagine abbiano scoperto di avere stipulato in passato un appalto per l’erogazione di un servizio di mensa. Ulteriori ricerche hanno permesso di individuare il numero di telefono per contattare la ditta interessata. Nel giro di qualche giorno faranno una telefonata. E, se tutto va bene, a ottobre i nostri bambini potranno anche mangiare. Evviva.

19 settembre 2007

L'ambientalismo scomodo

L’ambiente è diventato scomodo. L’ambientalismo ha smesso i panni della moda un po’ stravagante, ma in fondo innocua ed è diventato un ostacolo per i sostenitori di un modello economico non solo superato, ma decisamente pericoloso. E così, da qualche anno, è partita l’offensiva “antiambientalista” con il chiaro obiettivo di screditare le tesi dell’ambientalismo, sia che abbiano basi etiche, sia che siano supportate da dati scientifici.
Intanto bisognerebbe fare un primo passaggio e mettere in evidenza la distinzione tra un ambientalismo etico, che prescinde dalle considerazioni di carattere socio-economico, e che ritiene giusta una tutela dell’ecosistema in quanto tale. Per il suo intrinseco valore, non certo misurabile con le unità di conto a cui siamo abituati, ma non per questo di minor pregio. Molti valori col passare degli anni hanno conquistato un posto negli ordinamenti giuridici perché ritenuti meritevoli di salvaguardia. Si è cominciati con la vita umana e, man mano che la sensibilità sociale è cresciuta, il bisogno di tutela si è esteso sempre di più, fino a ricomprendere il pudore o i beni culturali. Su questo aspetto c’è poco da discutere - infatti c’è chi pensa che i beni culturali non siano meritevoli di tutela, soprattutto se non sono “economicamente rilevanti” – e si tratta semplicemente di stabilire quale sia il livello di sensibilità di un popolo e predisporre leggi che siano in linea con quella sensibilità.
Un po’ più delicata è la questione sugli aspetti economici e scientifici delle questioni ambientali. Le dottrine economiche arrivano sempre in colpevole ritardo rispetto alle istanze sociali e questo ha permesso per lungo tempo al settore produttivo di non tenere conto dei “costi esterni” legati alla propria attività. I costi esterni sono le conseguenze negative che un’attività comporta per la collettività. In passato essi sono sempre stati sopportati dai cittadini o semplicemente vivendo il disagio (o il rischio per la salute), oppure attraverso l’intervento economico dello Stato per ridimensionare i danni. In seguito sono state introdotte norme più severe che impongono alle aziende di farsi carico di almeno una parte di quei costi. Questo per quanto riguarda un’impostazione strettamente economicista. Un’impostazione che – comprensibilmente, sotto questa tipologia di approccio – non giustifica stanziamenti elevati per intervenire su qualcosa che viene considerato semplicemente un fattore di rischio e sulle cui possibili conseguenze non vi è una visione unanime da parte del mondo scientifico. L’approccio è ovviamente molto cinico ed è lo stesso che ebbe l’Enimont quando si cominciavano a prendere in considerazione i possibili rischi legati alla produzione industriale: per loro non c’era una valutazione del rischio che giustificasse costosi interventi di messa in sicurezza, che incidevano sul profitto dell’azienda. Le drammatiche conseguenze di questo atteggiamento irresponsabile in termini di malattie e di vite umane sono ben note e dovrebbero far riflettere su quanto possa essere miope l’atteggiamento del mondo economico sulle questioni legate alla salute e all’ambiente.
Altre considerazioni vanno fatte sotto l’aspetto scientifico. Sotto questo profilo intanto desta stupore questa spaccatura del mondo accademico su cause e possibili conseguenze dei cambiamenti climatici. Nessuno pensa che la climatologia sia una scienza esatta, ma viene il sospetto che l’interpretazione dei dati venga stirata da una parte o dall’altra a seconda di quale strategia energetica si voglia avvantaggiare. Così è evidente che chi è legato economicamente all’uso del carbone nutre simpatia per i negazionisti e chi ha interessi nella produzione nucleare apprezza la tesi di chi sostanzialmente conferma le preoccupazioni delle più autorevoli comunità scientifiche sui cambiamenti climatici, ma che considerail nucleare una sicura forma di produzione alternativa. I “catastrofisti” sarebbero supportati dalle grandi lobby dell’eolico, del fotovoltaico e delle associazioni ambientaliste. Analisi suggestiva, ma che non tiene conto di un dato: come mai potentati economici come quelli legati all’estrazione dei combustibili fossili (in grado di dar vita a conflitti armati per il controllo politico-economico delle zone strategiche del globo) riuscirebbero a portare dalla loro parte un modesto numero di studiosi, mentre le non proprio facoltose associazioni ambientaliste riescano ad avere nel proprio libro paga i più autorevoli esponenti del mondo scientifico e siano finanche riusciti a portare dalla loro addirittura l’Office of Net Assessment del Pentagono, che non è esattamente l’ufficio studi di Greenpeace? Varrebbe la pena rifletterci e non continuare a ballare allegramente e inconsapevolmente, proprio come i passeggeri del Titanic la notte del 15 aprile del 1912.

Alle colonne d'Ercole

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La mia ultima avventura