27 settembre 2012

Caso Sallusti: chiamale, se vuoi, opinioni.


L’argomento è delicato. Come sempre avviene quando i diritti entrano in rotta di collisione. La libertà di stampa (o di opinione) che entra in conflitto con il diritto alla riservatezza o alla tutela della propria reputazione. Il caso Sallusti sta facendo molto scalpore. Cerchiamo di capire perché.
Nel merito Sallusti è accusato di “omesso controllo” su un orrendo articolo nel quale si attribuiva – mentendo – ad un giudice la responsabilità di un aborto di una tredicenne e veniva auspicata la pena di morte per quel giudice (nonché per i genitori della ragazza e per il medico). Il giudice si è ritenuto, comprensibilmente, diffamato dall’articolo e ha sporto querela.
Nel merito nessuno se la sente di prendere le difese di Sallusti. Erano talmente odiose le affermazioni dell’articolo da renderlo indifendibile. In compenso è partita la corsa alla difesa dei principi, in primo luogo quello della libertà di opinione. A parte il fatto che dire una falsità non è esattamente un’opinione, ma una balla, è impressionante la forza di fuoco dei difensori di Sallusti, che vede uniti politici di sinistra e di destra. I primi per coerenza e i secondi per convenienza, visto che Sallusti è la classica voce filoberlusconiana. L’esercito innocentista assolda anche gran parte dei giornalisti, compresi gli antagonisti di Sallusti, come Marco Travaglio, che snocciola una tesi molto ben articolata, con cui afferma – in buona sostanza –che non ci può essere carcere per le opinioni, ma solo – al limite – corpose sanzioni economiche. In pratica da due potenti caste del paese si è levata una voce sola a difesa del “martire” Sallusti, vittima di una legge liberticida ed ingiusta.
Ora, premesso che, al di là del merito di questa sentenza, sarebbe comunque utile sapere se c’è un limite alla menzogna e all’insulto e, in tal caso, quale sia (così, giusto per regolarsi), faccio un’altra considerazione. Lo stimato – e facoltoso – Sallusti oltre ad avere le spalle ben coperte dal proprio editore, si è ritrovato anche una straordinaria cordata di solidarietà in difesa del suo diritto di “opinione”. Va sottolineato che il diritto “leso” non sarebbe quello di cronaca, perché nessuno ha avuto il coraggio di definire cronaca le stupidaggini scritte nell’articolo, ma di opinione, ottenendo così l’effetto di far sembrare questa condanna un attentato alle libertà individuali.
Cosa succederebbe, invece, qualora venissi condannato io per analoghe fattispecie di reato? Sono stato oggetto, negli ultimi anni, di una denuncia per “stampa clandestina” (incredibile a dirsi, ma esiste ancora, nel nostro ordinamento, questa legge fascista), una querela per diffamazione e una richiesta di risarcimento in sede civile, sempre per diffamazione. La mia “colpa” è quella di portare avanti una battaglia contro il potere (piccolo nel mio caso, ma pur sempre potere) della speculazione, del cemento, delle clientele. Ed ecco che gli strumenti di tutela della legalità diventano una potente arma contro chi quella legalità vorrebbe pienamente garantita e per questo si batte. Dubito che i vari Cicchitto, Gasparri, Schifani si straccerebbero le vesti in un’aula parlamentare in difesa della mia libertà di opinione e del mio diritto di critica politica. Dubito anche  che lo stesso Travaglio e il mondo del giornalismo si preoccuperebbero per le mie sorti.
Supponiamo, però, che passi il – in parte ragionevole – principio secondo il quale il carcere è sempre una pena troppo dura per avere espresso il proprio pensiero: si creerebbe un meccanismo odiosamente iniquo. A fare la differenza saranno i soldi: chi ne avrà in abbondanza potrà offendere o diffamare chiunque (o pagare qualcuno per farlo), con la consapevolezza di dover sostenere un prezzo esclusivamente finanziario. Una sorta di investimento, a fronte del quale magari potrà rafforzare o aumentare il proprio potere. Non è un caso che proprio i politici siano così fecondi nella produzione di querele. Chi non se lo potrà permettere, sarà costretto a rinunciare alle proprie battaglie ed alle proprie idee. Troppo costose in uno stato di diritto, in cui anche le opinioni diventano soggette alla legge del mercato.

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