4 dicembre 2011

Il senso di (ir)responsabilità in politica


Ho ancora il nitido ricordo di una chiacchierata che feci, diversi anni fa, con colui che – all’epoca - ricopriva la carica di vicesindaco di un piccolo paese, paese del quale sarebbe diventato sindaco, pochi anni dopo. Si parlava dell’importanza della valorizzazione del territorio, dei suoi prodotti, di quell’economia “pulita” e sana che è l’agricoltura. La sua stessa attività di imprenditore era in buona parte legata all’agricoltura e alla zootecnia. Eravamo praticamente d’accordo su tutto. Ed entrambi giudicavamo miope e dannosa la scelta di fare economia attraverso la devastazione del territorio e il consumo di suolo agricolo. E lui aveva pubblicamente ribadito questi concetti favoleggiando di noti riferimenti geografici la cui ricchezza si basava sulla tutela del territorio, del paesaggio, delle colture agricole, come la Val d’Orcia.
Guardavo negli occhi il mio interlocutore con grande interesse. Sembrava sinceramente convinto di quello che diceva, pur facendo parte della giunta di un’amministrazione che percorreva esattamente la strada inversa rispetto alle sue parole. Non era lui a prendere le decisioni, posso immaginare. Ma lui era “parte” di quel sistema e trovavo surreale il distacco con cui lui che, a buon diritto, poteva tranquillamente chiedere di esaminare e valutare (e magari contrastare) le scelte che gli interessi dei costruttori legati all’amministrazione imponevano. Continuavo a osservarlo mentre parlava, vicino allo stand che pubblicizzava i prodotti agricoli della zona, e faticavo a nascondere il mio disagio. Per metterlo di fronte alla sua contraddizione ho provato a fargli una semplice domanda e gli ho chiesto in quale modo si potesse spingere nella direzione da lui indicata. Mi ha restituito lo sguardo, ha fatto una lunga pausa come per cercare le parole e, poi, col tono di chi rivela una verità nascosta, mi ha detto: “Il problema è la politica. Il problema sono gli amministratori”.
Sono rimasto attonito e affascinato dall’infantile semplicità con cui era riuscito a prendere le distanze dal ruolo che ricopriva. Non era ricorso ai faticosi strumenti della retorica politica. Si era semplicemente accreditato come “altro” rispetto alla politica e all’amministrazione di cui faceva parte.  Sono passati alcuni secondi prima che riuscissi ad articolare una sola sillaba.  Il mio sentimento non era di rabbia, ma di curiosità antropologica. Provavo una sorta di ammirazione per la temerarietà con cui, in modo così grossolano e puerile, cercava sottrarsi alle proprie responsabilità.
Ogni tanto ripenso a quella conversazione e mi convinco sempre di più che sia stata un’esperienza utile ed istruttiva, grazie alla quale ho smesso di stupirmi di fronte all’italico vizio di prendere così sfacciatamente le distanze da se stessi tutte le volte che ragioni di opportunità lo consigliano. E in politica non è una prassi diffusa: è (quasi) la regola.

1 commento:

  1. Ho un vaga idea riguardo l'identità del personaggio... ss

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Alle colonne d'Ercole

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