24 novembre 2010

Approvata la Roma - Latina. Uno scempio da fermare.

articolo pubblicato su Terra (inserto Lazio) di oggi


I toni del comunicato sprizzavano entusiasmo da tutti i pori. La scorsa settimana il CIPE ha approvato il progetto definitivo del corridoio intermodale Roma-Latina e l’annesso collegamento Cisterna-Valmontone. Per realizzare l’opera – il cui costo complessivo ammonta a 2,728 miliardi di euro – sono stati stanziati i primi 468 milioni. La valenza positiva della notizia non sembra quindi in discussione. Finalmente, è stato il commento della Polverini, si può realizzare un asse strategico per la regione Lazio e che interviene su una delle strade più pericolose d’Italia. Purtroppo, come spesso succede, non si ha la capacità di alzare lo sguardo verso l’orizzonte e di inserire le scelte – e in particolare quelle che interagiscono con il sistema economico, infrastrutturale e produttivo – in un contesto più ampio, tenendo conto di quale modello di sviluppo si vuole davvero perseguire. Non si può, da un lato, sostenere – come fanno molte forze politiche, per accattivarsi le simpatie e il consenso di una sempre più crescente fascia della popolazione, sensibile alle questioni ambientali – l’esigenza di invertire la rotta dell’economia, puntando sulla riduzione delle emissioni di gas serra, sul riequilibrio modale nel trasporto merci e passeggeri, su nuovi modelli produttivi che accorcino la filiera (anche e soprattutto in termini di chilometri percorsi dei beni dall’origine al consumatore finale) e, dall’altro, perseverare nella catastrofica scelta di investire esattamente nel modello economico opposto. Ossia il modello che determina nuovo consumo di territorio, che incentiva il trasporto su gomma, che favorisce le lunghe percorrenze delle merci e che aumenta i consumi di carburanti fossili e le emissioni di gas inquinanti e climalteranti. E se a farlo è la Polverini, non c’è molto di cui stupirsi.
Il problema è che questa opera è stata – ed è tuttora – fortemente voluta anche da una buona parte della coalizione che esprimeva la precedente giunta regionale. Un altro elemento su cui bisognerebbe riflettere è l’aspetto economico. Le opere pubbliche, oltre ad incidere sul modello economico-produttivo di un Paese, hanno un costo per la collettività e, soprattutto in una situazione di crisi economica profonda come quella che stiamo vivendo, decidere di impegnare ingenti risorse in determinate opere (si pensi al ponte sullo stretto o, addirittura, ai cacciabombardieri, rispettivamente 7 e 16 miliardi di euro) preclude la possibilità di utilizzare quelle risorse per altri settori (dalla scuola, alla sanità, all’assistenza sociale, ossia quei settori su cui si concentrano i risparmi della politica di Tremonti). E, in questo caso, si fanno delle precise scelte. Non c’è da stupirsi allora se, con la manovra estiva dello scorso giugno, il Governo Berlusconi ha deciso di tagliare i trasferimenti per il trasporto pubblico locale e ferroviario. Nella quasi totale disattenzione dei media italiani, Federmobilità, l’associazione che raggruppa i maggiori assessorati ai trasporti italiani, lanciava l’allarme sugli effetti del taglio disposto dal governo con il decreto-legge n. 78 del 2010. Si tratta di qualcosa come 1540 milioni di euro che sono stati sottratti alle linee ferroviarie dei pendolari ed al trasporto pubblico urbano. La conseguenza sarà inevitabilmente quella della riduzione del personale, della diminuzione dell’offerta e della qualità dei servizi e dell’aumento del ricorso alla mobilità privata con prevedibili effetti negativi sui livelli di congestione e di inquinamento.
Chi viaggia sui treni locali per recarsi quotidianamente a Roma conosce bene la situazione. I treni, per frequenza e capacità, sono già adesso insufficienti a soddisfare la domanda e, a causa delle già modeste risorse, la qualità e la pulizia dei mezzi è davvero inadeguata. In caso di guasto – non infrequente perché una delle fonti di risparmio è la manutenzione – il viaggio dei pendolari diventa un vero calvario. E dall’anno prossimo, grazie ai sapienti tagli del Governo, le cose potranno solo peggiorare.
In compenso si provvederà a cancellare altre migliaia di ettari di suolo agricolo per realizzare un’opera che comprometterà irrimediabilmente nuovi pezzi di quell’”agro romano” che costituisce l’elemento chiave e di pregio del paesaggio e di un’economia agricola che invece si vuole mortificare e condannare all’abbandono. Un primo tentativo – motivato proprio con la previsione della nuova arteria stradale - di realizzare un’area di sviluppo industriale nel comparto territoriale dei comuni di Labico, Artena, Valmontone e Palestrina è appena stato sventato dalla tenacia dell’opposizione consiliare labicana, dall’intervento di Angelo Bonelli alla Regione Lazio e, soprattutto, dalla mobilitazione dei cittadini. Se, però, la bretella – e il casello – si faranno sul serio gli appetiti saranno ancora più robusti e non è difficile immaginare che, con la connivenza di qualche amministrazione locale, potrebbero iniziare a sorgere manufatti abusivi, pronti per facili speculazioni. La domanda è: si fa ancora in tempo ad evitare questa nuova devastazione? La risposta è sì. Servirebbe però, oltre ad una maggiore consapevolezza e determinazione dei cittadini che pagheranno questa scelta sulla loro pelle, una minore ambiguità da parte delle forze politiche. Quelle che davvero vogliono proporre stili di vita e di consumo più attenti alla salute e al benessere dei cittadini devono dimostrarlo con i fatti. Non limitandosi a finanziare il mercatino biologico di quartiere per tacitare le coscienze, ma proponendo un modello economico, produttivo ed infrastrutturale veramente alternativo e sostenibile e che non passa certo per il corridoio tirrenico meridionale.

Tullio Berlenghi

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