18 novembre 2010

La "stampa clandestina" sul sito paneacqua.eu


Spesso nei piccoli paesi lo scontro politico è aspro e appassionato. E quando il clima infuocato annebbia le menti si rischia di ricorrere a bizzarre forme di contrasto dell'avversario. E' quanto è successo a Labico, piccolo comune in provincia di Roma, dove un'amministrazione ultradecennale si è ritrovata - per la prima volta nella sua lunga storia - ad affrontare un'opposizione grintosa e determinata che, pur priva del consenso clientelare che aveva garantito la riconferma della compagine di governo, ha iniziato a fare (dal dicembre 2006) un'intensa azione di informazione attraverso un bollettino politico e alcuni blog e siti internet. Un'azione non solo tesa a diffondere le opinioni e le critiche del gruppo consiliare di minoranza, ma che si prefigge anche l'obiettivo di dare quelle informazioni che la maggioranza - probabilmente per mantenere una certa distanza tra il "palazzo" e i cittadini - lesinava a dare. E l'informazione, come è noto, produce presto dei risultati. I cittadini cominciano a farsi delle domande, a comprendere le ragioni delle scelte, a sollevare delle perplessità. In più di una circostanza la maggioranza ha messo in dubbio la legittimità del bollettino diffuso dall'opposizione. All'inizio hanno cercato di puntare sui contenuti - ritenuti lesivi dell'onorabilità degli amministratori -, ma le reiterate - e annunciate a mezzo stampa - minacce di querela per diffamazione non sono mai giunte a destinazione.
Il tentativo finale, comico quanto disperato, è stato quello di riesumare un'anacronistica norma ereditata dal fascismo: il reato di stampa clandestina. La legge è stata promulgata nel 1948, ironia della sorte, lo stesso anno della nostra carta costituzionale. E con la Costituzione, difatti, gli articoli contenenti le norme più liberticide - come l'articolo 16 invocato dalla maggioranza labicana per fermare le pubblicazioni dell'opposizione - sono stati più volte al vaglio della suprema Corte, per il sospetto che fossero in contrasto con il dettato costituzionale. La Corte ha sempre preferito non sbilanciarsi, probabilmente perché il vero elemento di forza, via via consolidato negli anni, era, più di quella formale, la Costituzione materiale. La libertà di espressione non è in discussione e qualsivoglia tentativo di interpretare in modo restrittivo una norma che pure presenta qualche ambiguità è destinato a fallire miseramente. Le due fattispecie previste dall'articolo 16 della legge 47 del 1948 - e per le quali è prevista una sanzione penale che contempla fino a due anni di carcere - fanno in sostanza riferimento alla possibilità che si stampi un vero e proprio giornale, non rispettando il previsto obbligo di registrazione al tribunale e la presenza di un direttore, che deve essere necessariamente un giornalista professionista. In questo caso il bene tutelato è presumibilmente il rispetto di alcune regole del mercato, violando le quali un soggetto potrebbe beneficiare di un ingiustificato vantaggio. Non è un pericolo reale, ma l'età anagrafica della norma giustifica la sua inadeguatezza al contesto attuale. La seconda ipotesi è quella che prevede l'effettiva "clandestinità" di chi cura una pubblicazione. Il bene tutelato è la sicurezza pubblica e, per questo, non è ammessa la diffusione di materiale che non contenga le indicazioni su chi lo elabora. Non è un caso che sia quasi del tutto assente la giurisprudenza in materia. A pochi sprovveduti può venire in mente di presentare una formale denuncia per un opuscoletto di informazione politica locale e il pubblico ministero in genere archivia direttamente. Avviare un procedimento penale per casi del genere significherebbe, al di là del patente contrasto con l'articolo 21 della Costituzione, ingolfare un sistema giudiziario che ha già i suoi problemi ad occuparsi dei reati "veri" e non si può permettere di perseguire gli autori di pubblicazioni di cui si presume artatamente la clandestinità.
Tornando al caso di Labico, proviamo ad immaginare cosa succederebbe ad applicare in modo rigido la norma. Intanto, anche in Parrocchia dovrebbero preoccuparsi, visto che curano una pubblicazione molto simile a quella per la quale è stata attivata la magistratura. E poi, bisogna considerare che nel vigente Codice Penale c'è un reato - ancorché depenalizzato - strettamente connesso a quello dell'articolo 16 della legge 47, denominato "divulgazione di stampa clandestina". In pratica, nel momento in cui si stabilisse che la pubblicazione politica dell'opposizione labicana configura l'ipotesi di reato di "stampa clandestina", automaticamente e per l'obbligatorietà della legge penale, il sistema giudiziario dovrebbe avviare indagini per individuare le decine di persone che hanno contribuito alla divulgazione dell'opera criminosa, tra baristi, edicolanti, titolari di esercizi commerciali e singoli cittadini che hanno fatto volantinaggio o distribuito il bollettino nelle case.
Uno scenario talmente irragionevole che neppure un Paese così pieno di stranezze e contraddizioni come l'Italia sarebbe disposto a tollerare.

Tullio Berlenghi e Eleonora Fioramonti

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