28 marzo 2012

A Labico la politica è immobile (nel senso cementizio del termine)


L'indiscreto Magazine

Il giorno prima. L’indiscreto magazine?. Ah, no. Non l’avevo mai sentito. Mensile di approfondimento. Bello. Interessante. Io? Un editoriale? Certo, volentieri. Grazie… Su? Sulla politica labicana??? Ah. Ehm. Sì, sì. Ok. Per domani. Va bene. Il giorno dopo. No, scusa. Volevo essere sicuro. Un editoriale sulla politica labicana. Ne sei certo? Io? L’editoriale non è cronaca asettica, presuppone un’opinione, un giudizio, una valutazione. Io sono parte in causa… Sì, un po’ di autocritica, certo. Va bene. Ci provo.
Dunque, eccomi qui a scrivere un editoriale sulla politica labicana (l’ho già detto, vero?). Sì, proprio io. Un po’ come se ad uno studente si chiedesse di esprimere un giudizio sulla propria interrogazione. Come se la Gazzetta dello Sport proponesse a Totti di dare un voto alla propria prestazione agonistica. Come chiedere ad uno scrittore di recensire la sua ultima fatica letteraria. Se continua su questo binario il giornale di approfondimento di strada ne farà pochina, ma tant’è, proviamo a parlare del quadro politico a Labico, ad un mese dalle elezioni. Non dalle tribune, ma dal terreno di gioco, dove, è noto, la visuale è un tantino circoscritta.
La politica labicana è sempre stata caratterizzata da una certa staticità. Ci sono alcuni nomi ricorrenti nell’agone politico. Talvolta si intrecciano. Ogni tanto si modificano gli accordi e cambiano le alleanze. Ma il quadro sembra improntato ad un sostanziale immobilismo. E questo, presumibilmente, per la felice etimologia della parola, ché a Labico l’immobile, nell’accezione cementizia del termine, è il baricentro di tutti gli interessi economici e – di conseguenza – politici. Pensiamo alla storia politica recente, diciamo dal 1995. I nomi dei protagonisti politici dell’epoca erano Scaccia (sindaco), Marcelli, Zelli, Galli, Tulli. Nel 1997, dopo la caduta di Scaccia – grazie al fuoco amico di Marcelli e Zelli –, sindaco è diventato Galli, con Giordani vicesindaco e Tulli assessore. mentre Marcelli, Zelli e Scaccia sono passati all’opposizione (un parolone, se vogliamo). Nel 2002 si replica con la stessa squadra. E’ una consiliatura importante, perché si lavora ad uno dei più orrendi piani regolatori mai visti nella storia dell’urbanistica. Viene presentato al pubblico per la prima volta nel 2004. Fa già abbastanza schifo (ma i nostri infaticabili amministratori sono riusciti a peggiorarlo in due successivi passaggi), ma nessuno dei membri della giunta sembra accorgersene. Anche l’opposizione (chiamiamola di nuovo così) è in gran parte entusiasta (3 su 4 voteranno a favore e Marcelli si mette persino a disposizione per coordinare il lavoro della commissione nominata ad hoc). Nel 2006 Tulli lascia la maggioranza a sua insaputa. Pare che se ne sia accorto quando ha visto che avevano sostituito la targhetta del suo ufficio. Nel 2007 c’è il rinnovo del consiglio comunale. La maggioranza si presenta compatta e forte della gestione dell’iter della variante al piano regolatore (si invertono solo i ruoli di sindaco e vicesindaco), mentre l’opposizione decide di puntare su un rinnovamento, totale sui contenuti e parziale sulle persone (ecco, un po’ di autocritica, meno male). Il risultato è lusinghiero ed è la premessa per la costruzione di un’alternativa politica, fatta di credibilità e di competenza. Lo testimoniano l’enorme quantità di lavoro svolto, sul piano amministrativo, della comunicazione, dell’informazione. Lo testimonia l’enorme difficoltà in cui viene messa puntualmente la maggioranza su ogni singolo atto amministrativo. Lo testimoniano i piccoli, ma incoraggianti, cambiamenti positivi di una macchina amministrativa pigra e indolente.
Arriviamo al 2012. A bocce ferme questa opposizione ha tutte le credenziali per mandare a casa giunta, maggioranza e metodo della politica labicana. E questo non va bene. Mandare a casa la maggioranza, sì, ma non si può correre il rischio che cambino anche davvero le cose. Soprattutto su temi caldi, come edilizia e governo del territorio. Ed ecco dunque pezzi della maggioranza uscente unirsi a pezzi dell’opposizione, con l’obiettivo di alterare gli equilibri e dare vita ad un’opposizione più docile, meno conflittuale, più accomodante. Un’opposizione in cui non c’è più spazio per chi è ancora convinto della bontà del progetto originale. Il marchio vincente – il “brand”, come direbbero gli anglofili – era troppo appetitoso per lasciarlo nelle mani di qualche ingenuo idealista (che magari avrebbe potuto davvero tutelare il territorio e anteporre i diritti dei cittadini agli interessi ed alle speculazioni). E così si è dato vita a quella che – prendendo il termine in prestito dal linguaggio dell’economia – possiamo definire una “scalata”, attraverso la quale è cambiata non solo la guida del progetto politico, ma soprattutto il suo indirizzo. Ne è cambiato lo stile, i contenuti, la pulsione ideologica. E’ rimasto il marchio, ma è cambiata la ragione sociale. A chi quel progetto l’aveva ideato, costruito e realizzato sono state date due possibilità: accettare il cambio di rotta con la promessa di ruoli e incarichi oppure levare il disturbo. Gli interessati, per deplorevole coerenza, hanno preferito rinunciare ad incarichi e prebende e levare il disturbo. Roba da matti.

1 commento:

  1. Tullio, con te mi devo incazzare: possibile che scrivi ciò che pensiamo in tanti e l'articolo lo firmi da solo? Sei veramente un egoista!!!!!
    Maurizio

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