24 maggio 2005

Servono davvero i poteri speciali?

Primi passi del connubio Marrazzo-Veltroni: è davvero una buona notizia?

E’ partita con grande impatto mediatico l’azione di governo della giunta Marrazzo. I giornali hanno immediatamente dato moltissimo spazio al primo atto “congiunto” dell’amministrazione regionale e del comune di Roma, ossia il protocollo d’intesa su urbanistica e mobilità, attraverso il quale viene suggellato l’accordo di ferro tra Marrazzo, Gasbarra e Veltroni e messa in pratica la tanto declamata affinità che unisce la “filiera amministrativa” tra il comune di Roma, la provincia di Roma e la regione Lazio.
Il documento approvato è stato salutato dalla stampa con unanime favore, quasi a sottolineare come, con questo sapiente escamotage tecnico-giuridico, si risolveranno in poco tempo tutti i problemi che affliggono la capitale, visto che sarà possibile, una volta individuata l’esigenza infrastrutturale o urbanistica, avviare tempestivamente gli interventi che si ritengono necessari. Fin qui il ragionamento non fa una grinza, sembra quasi l’uovo di Colombo. Peccato che sia in contrasto con quel principio di cautela e di garanzia di cui proprio la coalizione di centro-sinistra si è fatta portatrice durante gli anni del Governo Berlusconi.
In pratica, per rimanere nell’ambito delle opere pubbliche e della programmazione territoriale, il centro-sinistra ha sempre – giustamente, a mio avviso – contestato il “decisionismo” di norme finalizzate ad accelerare la realizzazione di opere infrastrutturali (mi riferisco in particolare alla legge 443 del 2001, la famigerata legge obiettivo), saltando passaggi importanti dell’iter procedurale. Si presuppone cioè che vi siano alcuni aspetti – la sicurezza del territorio, l’impatto ambientale, le ripercussioni sul tessuto sociale, una corretta programmazione di scala ampia, il parere degli altri soggetti interessati – che hanno una valenza primaria rispetto all’obiettivo temporale. Non è dato sapere per quale ragione la programmazione di opere non possa godere di corsie preferenziali se il processo decisionale viaggia dal “centro” alla “periferia”, mentre nella direzione opposta è non solo accettabile, ma anche pienamente auspicabile. A meno che il principio non sia che “noi siamo quelli bravi” e quindi non abbiamo bisogno di lacci e lacciuoli di garanzia, perché sarebbe davvero molto grave sul piano dell’impostazione procedurale e della correttezza democratica. Va inoltre sottolineato che il meccanismo che si vuole attivare non tiene in nessun conto la necessità di una programmazione di area ampia, perché non si può pensare che gli interventi infrastrutturali e urbanistici relativi al comune di Roma esauriscano i propri effetti nell’ambito territoriale comunale e non abbiano invece riflessi importanti sull’intero territorio provinciale. Territorio che ha invece bisogno di essere inserito in una programmazione complessiva, soprattutto attraverso l’ammodernamento e la riqualificazione delle infrastrutture trasportistiche su rotaia, che sono l’unica possibile risposta ai numerosi errori progettuali urbanistici compiuti in un passato anche recente. Tra l’altro proprio alcuni di questi eclatanti errori vogliono essere inseriti in un iter procedurale abbreviato, permettendo così la realizzazione di enormi insediamenti abitativi privi delle necessarie infrastrutture di collegamento. Mi riferisco alla questione dei cosiddetti “articoli 11”, attraverso i quali sono previsti interventi di riqualificazione delle periferie, ma che vengono spesso utilizzati per vere e proprie speculazioni edilizie, talvolta utilizzate per la realizzazione di enormi centri commerciali.
Questa politica decisionista appare quindi la risposta sbagliata ad una esigenza giusta. Sbagliata nel metodo, perché non è con decisioni affrettate che si affrontano problemi che colpevolmente si sono lasciati incancrenire per anni, sbagliata nel merito perché in alcuni casi sono proprio le soluzioni che si intendono adottare ad essere del tutto inadeguate.


Tullio Berlenghi

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