24 novembre 2013

Scusi, posso fare una domanda?

Quello dei rifiuti è indubbiamente un tema centrale per le amministrazioni locali. La sempre crescente produzione dei rifiuti unita alla mancanza di una strategia complessiva che punti sia alla loro riduzione, sia ad una efficace raccolta differenziata, affida ai pubblici amministratori una responsabilità enorme, in base alla quale si possono misurare le loro capacità, la loro preparazione ed il loro impegno. Non è un caso se ci sono realtà dove si registrano grandi progressi, con percentuali di raccolta differenziata che superano abbondantemente l’80 per cento ed altre dove non si raggiunge il 10 per cento. Non credo che gli abitanti delle città più virtuose siano generalmente più virtuosi: probabilmente hanno degli amministratori più sensibili e motivati, che sono stati in grado di avviare un nuovo percorso culturale.
L’argomento è molto sentito e spesso ci sono cittadini e associazioni che provano a incoraggiare l’amministrazione a muoversi nella giusta direzione. A Labico, ad esempio, l’ha fatto l’opposizione consiliare e, in effetti, nel 2008, è partita una raccolta differenziata porta a porta. Ma, a distanza di ben cinque anni, poco si sa sui risultati raggiunti. Un’associazione culturale – Labicocca – ha promosso un convegno per sensibilizzare la popolazione, insistendo sull’importanza dei dati della produzione dei rifiuti e della raccolta differenziata, che ha chiesto inutilmente all’amministrazione. Lo stesso si può dire per il consigliere di minoranza Maurizio Spezzano, che in più occasioni ha chiesto i dati (a partire dal 2008), senza ottenere risposta.  Non contento ha provato a chiedere i dati a Lazio Ambiente, la società per azioni interamente posseduta dalla Regione Lazio che gestisce la raccolta dei rifiuti in alcuni comuni del Lazio (tra cui Labico). La risposta è stata un diniego, anche molto sbrigativo. Spezzano ha mandato una nuova lettera, facendo riferimento, tra l’altro, alla convenzione di Aarhus e la risposta è stata nuovamente liquidatoria, condita stavolta da una velata minaccia di procedere alle vie legali, per un presunto testo diffamatorio nel blog dello stesso Spezzano.
Cerco di ricostruire la questione. Intanto stiamo parlando di un tema di assoluta rilevanza per la collettività, la cui gestione può determinare importanti conseguenze per l’ambiente, la salute dei cittadini e anche per le loro tasche, visto che sono i cittadini a pagare il conto. Al di là delle norme, questi sono dati che basterebbe l’uso del buonsenso a rendere pubblici e facilmente visionabili. Le norme, però, ci sono. Dalla normativa sulla trasparenza nella pubblica amministrazione, al testo unico ambientale – il cui articolo 189 impone al Sindaco di comunicare i dati sulla raccolta dei rifiuti -, alle leggi regionali, alle direttive e convenzioni internazionali. A volte, probabilmente, non sono sufficientemente chiare e, con un po’ di malizia, ci si può aggrappare a qualche cavillo interpretativo per “non fare” ciò che dovrebbe essere pacifico solo guardando la ratio della norma, ossia l’obiettivo che essa vuole perseguire. La maggiore responsabilità per la mancanza di trasparenza ce l’ha, in tutta evidenza, il sindaco, ma l’atteggiamento di Vincenzo Conte, amministratore unico di Lazio Ambiente, appare decisamente irritante.
Vincenzo Conte è un politico locale del PDL, nominato in extremis al vertice dell’azienda di proprietà della regione da una Polverini ormai al tramonto, sommersa dalla vergogna della vicenda Fiorito. Al momento della scelta il PD parlò di “nomina illegittima” e di una “vera assurdità”, nonché “dannosa per l’erario”. Infatti – a quanto risulta – Conte percepisce la bellezza di 130mila euro all’anno (l’emolumento, sempre alla faccia della trasparenza, non è visibile sul sito di Lazio Ambiente) per guidare la società.  Insomma, con queste premesse, Conte avrebbe fatto bene ad avere un atteggiamento più rispettoso dei cittadini e delle istituzioni, invece si arrocca su inspiegabili sottigliezze semantico-giuridiche pur di non rendere noti dati di rilevante interesse pubblico. Pubblico come la società che lui dirige, pubblico come il lauto emolumento che percepisce, pubblico come il compito che gli è stato affidato. Tra l’altro, per tornare alla norma che il suo zelante direttore cita per nascondere i dati alla cittadinanza, la risposta di diniego, in riferimento al decreto legislativo n. 195 del 2005 (in materia di accesso del pubblico all’informazione ambientale), si limita a richiamare il contenuto del punto n. 1 della lettera a) del comma 1, dell’articolo 2, nel quale non sono citati i rifiuti. Peccato che non abbia avuto la pazienza, e forse l’umiltà, di proseguire nella lettura della norma. In tal caso avrebbe potuto leggere anche il punto n. 2 della lettera a) del comma 1, nel quale, non solo si fa un generico riferimento ai “fattori che incidono o possono incidere sugli elementi dell’ambiente”, ma anche l’esplicita indicazione dei rifiuti come fattore di interazione ambientale. Con un altro po’ di pazienza (e altrettanta umiltà) avrebbe avuto modo di leggere anche il punto successivo, che individua qualunque atto – e specifica “anche di natura amministrativa” – che possa incidere sia sugli elementi (punto 1), sia sui fattori (punto 2). Il combinato disposto di queste e altre norme sembra davvero facile da comprendere e l’intenzione del legislatore appare sufficientemente manifesta. Un’altra lettura utile potrebbe essere il recente documento dal titolo “Politica per la salute, la sicurezza e l’ambiente”, pubblicato proprio da Lazio Ambiente un paio di mesi fa, nel quale, tra gli impegni che la società assume solennemente, c’è anche quello di “Promuovere il dialogo e il confronto con tutti i portatori di interesse (lavoratori e loro rappresentanti, organi di controllo, autorità pubbliche, cittadini, associazioni. ecc.) attivando adeguati strumenti di partecipazione e tenendo conto delle loro istanze. Comunicare in modo trasparente le prestazioni delle attività aziendali”. E chi ha firmato questo bel documento? Proprio lui, l’amministratore unico della società, il dott. Vincenzo Conte.

Dunque, la reazione scomposta di Conte sembra davvero irragionevole, così come appare sgradevole il ricorso alla classica minaccia di querela – tipica dei potenti - con il chiaro obiettivo di cercare di intimidire chi cerca di occuparsi della tutela dell’ambiente e della salute dei cittadini. Sarei curioso anche di conoscere cosa ne pensa chi – come il consigliere regionale Agostini del PD – aveva aspramente criticato la nomina di Conte durante la campagna elettorale. Di fronte a questo atteggiamento così supponente dell’amministratore delegato di Lazio Ambiente, mi aspetterei, da parte di chi governa la Regione, una chiara presa di posizione per schierarsi senza se e senza ma dalla parte dei cittadini. A meno che, anche in regione, non siano troppo preoccupati per la tenuta delle larghe intese per occuparsi dei diritti della collettività.

3 novembre 2013

Grazie, basta così.

Nei giorni scorsi Labico è stata tappezzata con i manifesti della lista “Rinnovare per Labico”, in cui si dà notizia di una sentenza di assoluzione (in primo grado) per la questione dei pasti pagati dalla collettività e forniti gratuitamente ad un’azienda privata per decisione del sindaco Galli. Non è certo l’unica e neppure la più grave delle tante penose vicende che caratterizzano l’azione politica dei nostri amministratori. Per evitare che l’uso urlato di slogan riesca nel tentativo di distogliere l’attenzione dai fatti, ci troviamo costretti a ricostruire, ancora una volta, la questione.
Tutto nacque nell’estate del 2008 quando venne portata in consiglio comunale una delibera per dare un contributo finanziario ad una struttura privata. Nella premessa di quella delibera c’era scritto, nero su bianco, che il comune già forniva – a quella struttura – cinque pasti giornalieri. Si era potuto scoprire così che, nel mese di novembre del 2006, una non meglio precisata direttiva comunale autorizzava l’erogazione dei cinque pasti giornalieri a favore della struttura privata, senza che venisse siglato alcun accordo tra il Comune e il centro di infanzia sulle modalità di erogazione dei pasti e sul modo in cui questi pasti avrebbero potuto costituire un vantaggio per le famiglie dei bambini che frequentavano la struttura. Insomma un vero e proprio “regalo” da un soggetto pubblico ad un privato che veniva fatto, guarda caso, proprio a pochi mesi dalle elezioni amministrative comunali. Buona parte degli atti relativi a quel periodo sono privi di protocollo e qualcuno potrebbe dubitare della loro autenticità. Non è un caso che l’erogazione gratuita dei pasti all’azienda privata sia stata interrotta in gran fretta quando sono stati sollevati dubbi sulla correttezza della procedura (la sospensione, a differenza dell’atto autorizzativo, è avvenuta con documento protocollato). Se il sindaco fosse stato davvero convinto della bontà della sua azione amministrativa non avrebbe modificato di una virgola la situazione. Invece c’è stata una continua correzione di rotta. La delibera fu ritirata e corretta tre volte prime di essere approvata e la polemica tra opposizione e maggioranza divenne molto accesa, al punto che – dopo la pubblicazione di un volantino della maggioranza dai toni particolarmente aggressivi - il gruppo di opposizione decise di chiedere alla magistratura di valutare se la procedura seguita per l’erogazione dei pasti presso una struttura esterna fosse corretta. Non abbiamo denunciato nessuno e tantomeno abbiamo diffamato qualcuno. Abbiamo semplicemente svolto il compito di controllo che qualunque cittadino - e, a maggior ragione, se è consigliere comunale - ha il pieno diritto di esercitare. Del resto prima il pubblico ministero, poi il giudice dell’udienza preliminare hanno giudicato illegittima la procedura seguita per concedere la fornitura dei pasti ed è iniziato un procedimento per individuare eventuali responsabilità penali. Ma questo a noi interessa ben poco. La nostra battaglia per la legalità l’abbiamo vinta nel momento in cui l’amministrazione – proprio per la nostra azione di controllo – è stata costretta a fare tutto alla luce del sole e seguendo un iter procedurale corretto. Non è un caso che il nuovo capitolato d’appalto della mensa preveda la possibilità che vengano forniti pasti alle strutture private (mentre prima non era possibile) e non è un caso che per fornire i pasti e ed erogare risorse pubbliche ad un privato sia stata necessaria una delibera di consiglio comunale (mentre prima era stata sufficiente una telefonata direttamente alla ditta che forniva i pasti). Adesso almeno i cittadini possono sapere tutto e giudicare l’operato dell’amministrazione, mentre per ben due anni soldi pubblici venivano spesi a favore di un’azienda privata senza che nessuno ne sapesse nulla. Sulla vicenda processuale preferiamo non pronunciarci, per due ragioni: la prima è che mancano ancora le motivazioni della sentenza, la seconda è che non è – al momento - una sentenza definitiva, quindi potrebbero emergere fatti nuovi.
Sulla questione appare necessario fare qualche altra considerazione. In primo luogo quello che conta – al di là dell’accertamento di eventuali responsabilità penali o amministrative – è il giudizio politico sulle azioni di chi governa un paese. Molte scelte, formalmente legittime, potrebbero essere piuttosto discutibili. Per esempio un’amministrazione comunale potrebbe assegnare gratuitamente un locale di proprietà del comune al titolare di una rivendita di giornali. Un’attività che riveste indubbiamente un qualche interesse per la collettività e che, quindi, potrebbe giustificare la decisione degli amministratori, ma quanti troverebbero da ridire? E se il locale venisse dato senza alcun atto amministrativo? Non sorgerebbero ulteriori perplessità sul comportamento degli organi decisionali? E qual è il confine tra il lecito, l’illecito e il penalmente rilevante? L’unico organo titolato a rispondere a questa domanda è la magistratura e se un cittadino ha dei dubbi ha il diritto-dovere di attivare un suo intervento, nel proprio interesse e in quello della comunità a cui appartiene.
Su questo punto ci agganciamo ad un altro aspetto dello sgangherato attacco della coalizione di maggioranza, quello del costo per la collettività del processo. Intanto ci piacerebbe capire di quali costi stiamo parlando. Ci sono costi per l’amministrazione comunale per il processo? Sarebbe opportuno saperlo, perché la responsabilità penale è personale e non sarebbe elegante che gli amministratori avessero deciso di usare i fondi comunali per sostenere le spese legali di questo processo. In attesa di avere maggiori lumi in merito e considerato che saremmo ben felici se si adottasse la regola secondo la quale chi si è reso responsabile di sprechi della pubblica amministrazione pagasse di suo (anche noi, ovviamente, alla bisogna), facciamo un breve quanto necessariamente incompleto resoconto di alcuni degli sperperi del denaro pubblico degli ultimi anni:

Debiti fuori bilancio. Qualche anno fa il consiglio comunale fu costretto a pagare i costi di una transazione per evitare ulteriori problemi. Anche in quella circostanza il sindaco aveva seguito una procedura molto “singolare” per l’affidamento dell’esecuzione di un’opera. A lavoro ultimato la ditta chiedeva di essere pagata, ma nessuno si è degnato di dare risposta e così, tra solleciti e diffide, si era arrivati ad un costo di gran lunga superiore a cui si sono aggiunte le spese legali sostenute dal comune. Errori su errori dei nostri amministratori e spreco di denaro pubblico. Il conto, ovviamente, alla cittadinanza.
Questione Eiffel. Qualche anno fa è stato sottoscritto un accordo con un privato (il quale, in modo del tutto casuale, ha ottenuto degli appalti e l’inserimento di particelle in zona edificabile nel piano regolatore) per realizzare una sorta di città dell’arte, previo acquisto di un mucchio di ferraglia attualmente “parcheggiato” nella proprietà di un privato cittadino. Costo iniziale dell’operazione: 300mila euro.
Area di sviluppo industriale. Un’altra straordinaria cantonata di Galli e compagnia. Sono arrivati in consiglio comunale spavaldi e baldanzosi con una bella delibera preconfezionata per la devastazione di una vasta area del territorio labicano. Insensibili alle perplessità dell’opposizione hanno approvato l’atto, salvo poi ritirarlo quando hanno capito che gli abitanti di Colle Spina li avrebbero inseguiti con i forconi. Costo dell’operazione 20mila euro. Per il saldo rivolgersi al sig. Pantalone.
Pista ciclabile. Ne abbiamo parlato decine di volte. Il comune aveva annunciato in pompa magna la realizzazione di una bellissima pista ciclabile (la "più lunga della provincia di Roma"...). L’opera è inutile, incompleta (lo sarebbe anche se fosse terminata), ancora in fase di realizzazione, ma già in avanzato stato di degrado e abbandono. Costo previsto: circa 200mila euro.
Biblioteca comunale. Le vicissitudini della nostra biblioteca non sono facilmente riassumibili. Possiamo solo dire che, tra ristrutturazione locali, acquisto libri, pagamento della quota di adesione al sistema bibliotecario, l’ordine di grandezza delle spese sostenute ammonta a qualche centinaio di migliaia di euro. Risultato? Labico al momento non ha la biblioteca.
Depuratore comunale. La vicenda è fin troppo nota e anche qui ci sono indagini in corso della magistratura. Resta il fatto che a causa dell’incapacità dei nostri amministratori ci siamo ritrovati con depuratori inadeguati e fuorilegge (lo dicono i magistrati, non noi) al punto da farne disporre il sequestro. Questa faccenda ci è già costata oltre quattro milioni di euro di debito. Chi lo pagherà?

In effetti, con credenziali così, siamo stupiti anche noi dell’incomprensibile perdita di consensi di Alfredo Galli e della sua coalizione. Davvero molti elettori labicani dimostrano un ben magra gratitudine nei confronti di chi, in tanti anni di duro impegno nelle istituzioni, ha fatto davvero tanto per il paese. Ora però, forse, basta così. Grazie.


Tullio Berlenghi e Maurizio Spezzano

2 novembre 2013

Addio Max, che la pace sia con te

Quando ho conosciuto Massimo era ancora un ragazzo. Un’enorme massa di capelli ricci e neri circondava un bel viso, tondo e solare, da cui trapelava la sincera passione civile e politica che faceva di lui una delle migliori persone che io abbia mai conosciuto. Con lui ho condiviso programmi e progetti ed ho sempre invidiato – oltre alla massa di capelli ricci - la calma e la disponibilità che riusciva ad avere anche nelle situazioni più complesse. Situazioni in cui magari tu lo guardavi con aria preoccupata ed interrogativa come a dire “e adesso che si fa?” e lui rispondeva al tuo sguardo con un’espressione rassicurante, arricchita da un’occhiata impertinente e dal suo immancabile sorriso sornione.
Con Massimo ho percorso un lungo tratto di strada. Siamo stati colleghi. Abbiamo vissuto insieme la travagliata storia politica dell’ambientalismo e del pacifismo. Insieme abbiamo fatto molte battaglie (Massimo mi perdonerà la metafora bellica) e insieme le abbiamo perse, buona parte almeno. Eravamo, anzi, siamo amici. Amici non per caso, ma per scelta. Una scelta nata dalla sintonia culturale e dalla condivisione degli ideali. Massimo era meticoloso, ordinato, esigente. Con se stesso prima che con gli altri. E le sue aspettative in politica erano talmente alte da vivere con spirito critico anche la più valida delle proposte politiche. Non amava i compromessi e le trattative, che, a suo avviso, svilivano gli ideali. Nella categoria dei sognatori lui era il più sognatore di tutti. E se lo poteva permettere. Per la coerenza che caratterizzava il suo pensiero. Per molti di noi – sognatori o presunti tali – era un punto di riferimento. Si sa, il mondo ambientalista è pieno di contraddizioni. Il famoso “arcipelago” ha sempre avuto difficoltà a parlare un linguaggio comune. Massimo, invece, era la perfetta sintesi della cultura ecologista. Ambientalista, vegetariano, pacifista, portatore dell’etica del rispetto e della solidarietà. Non lo scopro adesso, ché Massimo non c’è più. Queste cose ce le dicevamo nelle chiacchierate dei momenti di disillusione della vita politica (un po’ sempre quindi). E, quando cercavamo di immaginare come dovesse essere il nostro punto di riferimento ideale, il pensiero andava immediatamente a Massimo ed alla sua straordinaria integrità morale.
Anche quando i nostri destini lavorativi si sono divisi, non abbiamo mai smesso di stare in contatto. “Che fai, ti nutri?”. Con queste quattro parole mi telefonava per propormi di pranzare insieme. Non servivano altre parole. Avevamo da sempre questo appuntamento fisso almeno una volta alla settimana: io, Andrea e lui. Sempre puntuale, sempre sorridente, anche quando arrivavi trafelato con dieci minuti di ritardo…

Sono stato a casa di Massimo e Dora e ho pensato che chiunque la riconoscerebbe subito. E non solo per le bellissime foto appese dappertutto. Un’altra passione in comune quella della fotografia, solo che lui le foto le sapeva fare. Ovunque c’è l’impronta di Massimo. Dalle bandiere della pace alle spillette, dai libri alle pile di documenti ordinati con cura quasi maniacale. Ieri la mia attenzione si è soffermata su un cartoncino con la scritta “il mio è un papà speciale”. Certo, è un regalo piuttosto diffuso. E mi sa che persino io ho ricevuto qualcosa del genere. Però quel cartoncino lì diceva la sacrosanta verità. Massimo era una persona davvero speciale. Una di quelle persone che – ad avercene – sono in grado di rendere migliore questo mondo. Una persona il cui esempio può insegnare molto. Una persona che ha dato alla vita e agli altri molto di più di quello che ha ricevuto.  Grazie Max. Per salutarti uso le parole di Gaber: “Ma io ti voglio dire che non è mai finita, che tutto quel che accade fa parte della vita”.


22 ottobre 2013

Stiamo decisamente migliorando

Sabato scorso si è tenuta un’iniziativa pubblica per illustrare ai cittadini il progetto per organizzare una ricettività turistica nella nostra cittadina. L’idea, di per sé, potrebbe anche essere valida. Bisogna solo cercare di capire in cosa consiste e come si intende attuare. Siamo andati ad ascoltare e queste sono le nostre considerazioni.
A quanto pare un’azienda privata – la Terravision – sta cercando di realizzare una rete di turismo low cost in tutto il territorio nazionale, coinvolgendo 100 città. Per promuovere il proprio progetto sta contattando le amministrazioni locali, alle quali propone un protocollo d’intesa per inserirle nell’elenco delle 100 città fortunate. Su internet non c’è molto e nel sito di Terravision ancora non si parla del progetto. Per capirci qualcosa dobbiamo fare riferimento alle spiegazioni date dai referenti della società e da Alfredo Galli, che, in qualità di sindaco, ha accolto con sospetto entusiasmo il progetto. Tra i promoter va segnalata la presenza di Angelo Miele, già sindaco di Valmontone, già consigliere regionale della maggioranza Polverini-Fiorito, che rimarrà nella storia per l’oculata gestione delle risorse pubbliche. Miele ha fatto un discorso che abbiamo faticato a capire, ma è un nostro limite. Miele da un lato ha affermato di avere un ruolo tecnico e non politico e di essere stato incaricato di selezionare i 100 comuni più adatti per questo straordinario progetto. Dall’altro ha affermato, senza alcun imbarazzo, che la scelta di Labico era motivata dall’amicizia che lo lega ai nostri amministratori. Per fortuna, sempre a detta di Miele, Labico avrebbe proprio le caratteristiche adatte: un treno che ti porta a Roma in mezz’ora (e si capisce che lui non lo prende), un’antica tradizione di produzione agricola da valorizzare (ma fino ad ora a Labico la valorizzazione del territorio significava coprirlo di cemento), la necessaria riscoperta di prodotti locali, come il pisello labicano (del quale si sono ormai perse le tracce). Ovviamente la realizzazione del progetto porterà a Labico straordinari benefici, impulso all’economia locale, occupazione, fondi regionali e altre piacevolezze.
La sensazione era un po’ quella di quando l’imbonitore di turno illustra le prodigiose qualità del servizio di pentole nelle tv locali. In teoria sembra tutto bello e rassicurante, ma, sotto sotto, ti chiedi se c’è qualche fregatura. Noi qualche dubbio ce l’abbiamo e proviamo a mettere in fila le – poche – cose che sono emerse fino ad ora:
  1. Un soggetto privato si rivolge ad un soggetto pubblico per avere un aiuto nella realizzazione di un progetto con mere finalità di lucro. Il soggetto pubblico (che è il nostro comune) mette subito a disposizione i locali (pubblici) per la presentazione, la stampa e l’affissione dei manifesti (con soldi pubblici) e la collaborazione dell’amministrazione (pubblica, salvo prova contraria).
  2. Tra i due soggetti (pubblico e privato) verrà stipulato un protocollo d’intesa, del quale si ignorano i contenuti. L’unica cosa che si sa è che il protocollo comporta un onere per il soggetto pubblico di 12mila euro (soldi pubblici, a carico dei cittadini labicani).
  3. Il progetto consiste nella stipula di contratti di locazione di appartamenti situati nel centro urbano di Labico per un totale di 200 posti letto ad un prezzo di circa la metà del valore di mercato: si è parlato di 1800 euro annui per un appartamento di quattro posti (al netto delle tasse un ben magro profitto).
  4. I vantaggi per l’amministrazione (e per il paese) sono tutt’altro che certi e alcuni di quelli descritti lasciano perplessi. Secondo Miele, ad esempio, la Regione Lazio avrebbe una maggiore propensione a finanziare i progetti e le iniziative dei comuni che aderiscono a questa proposta. Se fosse vero, sarebbe preoccupante. Zingaretti sa che il nome della Regione viene speso con questa disinvoltura?
  5. Ci sono dei costi aggiuntivi dell’operazione, come i corsi di aggiornamento del personale del comune e maggiori oneri per i servizi, che saranno, presumibilmente a carico dell’amministrazione pubblica.
  6. Nella scorsa consiliatura avevamo chiesto all’amministrazione comunale di fare il censimento degli immobili inutilizzati, ma, ovviamente, si sono guardati bene dal farlo. Prima di dare il via ad un’operazione del genere sarebbe quantomeno doveroso uno studio sullo stato del patrimonio immobiliare all’interno del territorio comunale, in modo da far prevalere l’interesse della collettività. L’assenza di informazione potrebbe avvantaggiare i professionisti del settore immobiliare rispetto ai semplici cittadini. Ma a Labico sarebbe la prima volta che questo accade.
  7.  Sul sito del comune di Labico non c’è alcuna traccia di atti relativi al progetto. Non una delibera, non una determina, nulla di nulla.


In ogni caso dobbiamo formulare i nostri sinceri complimenti a chi ha avuto l’idea. Di solito per avviare un progetto di questo tipo sono necessari discreti capitali iniziali e bisogna ricorrere a prestiti e conseguente esposizione debitoria con le banche. Invece, senza alcuna fatica, gli operatori turistici si ritroveranno con 1,2 milioni di euro a fondo perduto (12mila euro per 100 comuni) da utilizzare per anticipare le prime spese in attesa dell’arrivo dei turisti low cost. E se dovesse saltare tutto, cosa ne sarà di quei soldi? Probabilmente faranno la fine dei soldi che i prodighi (con i soldi nostri) amministratori labicani avevano generosamente elargito per un progetto naufragato miseramente, come l’area di sviluppo industriale a Colle Spina. In quel caso i soldi buttati erano 20mila euro. Se adesso ne buttiamo 12mila ne risparmiamo 8mila. Stiamo decisamente migliorando. 

Tullio Berlenghi e Maurizio Spezzano

5 agosto 2013

Golpetto di agosto



Il consiglio comunale di Labico – la cui celebrazione è frequente quanto un’affermazione di buonsenso della Santanché – viene convocato per la seconda volta nel giro di pochi giorni e sempre per lo stesso motivo: l’approvazione del piano programma dell’azienda servizi comuni. Detta così sembra una cosa davvero importante. Nella realtà – guardando con un minimo di attenzione gli atti – ci si accorge che il vero nodo della questione è l’assunzione di un paio di persone da “infilare” negli uffici comunali. Per aggirare la più severa normativa in materia sugli enti pubblici il sindaco ha pensato bene di organizzare un abile escamotage: inserire, tra i servizi forniti dall’azienda esterna, mansioni “tipiche” della struttura comunale e chiedere le figure corrispondenti (i cui nominativi sono stati precedentemente concordati). Poi sarà compito dell’azienda organizzare una sorta di concorso – fortemente ispirato ai principi della correttezza e dell’imparzialità – che, in via del tutto casuale, vedrà affermarsi proprio una persona decisamente molto vicina all'amministrazione. Era già capitato con il concorso per il tirocinio formativo come segreteria del sindaco, in cui ebbe la meglio – superando persone di gran lunga più competenti e qualificate – proprio la segretaria del sindaco. Ossia il risultato che tutti davano per scontato (http://vimeo.com/51901208 e http://vimeo.com/52377588).
Probabilmente martedì assisteremo a qualcosa di molto simile. Non sarà difficile fare pronostici su chi verrà beneficiato da questa operazione. E a confermare i sospetti c’è l’incauta affermazione di Giorgio Scaccia – per fortuna messa a verbale dalla segretaria comunale – che ha ingenuamente affermato che al Comune “due persone stanno lavorando gratuitamente”. Un qualunque consigliere comunale che interpreti correttamente il proprio ruolo  – non di maggioranza o di opposizione, quindi, ma semplicemente “libero” – si sentirebbe in obbligo di domandare a Scaccia chi lavori gratuitamente negli uffici, che lavoro svolga, a che titolo abbia accesso alla documentazione amministrativa, sulla base di quale criterio di individuazione sia stata scelta, ecc. ecc. Per fortuna un consigliere comunale che formulerà queste domande ci sarà, ma non sarà uno della maggioranza. Gli esponenti della maggioranza, infatti, non si fanno domande. Per loro è tutto normale. Anche disinteressarsi per mesi dei problemi del paese e poi convocare due volte in pochi giorni il consiglio comunale per un paio di assunzioni molto ambigue. Il capo dispone, il capo decide e loro, obbedienti, alzano la mano. Sono anche costretti a dichiarare di essere d’accordo. Qualcuno – per imbarazzo – preferisce non parlare, altri, i più zelanti, trovano anche il modo di intervenire per giustificare questo vergognoso modo di amministrare. Hanno addirittura condiviso la scelta – illegittima – di “proibire” la diffusione dei nostri bollettini informativi. Un atto degno del ventennio e che chiunque abbia davvero un briciolo di rispetto per la democrazia dovrebbe censurare con forza. Non i nostri eterodiretti consiglieri di maggioranza che non si preoccupano di un'attività amministrativa funzionale alla visione personalistica e privatistica del sindaco. E non pensano, approvando l’atto in discussione di martedì 6 agosto, di rendersi complici – e responsabili sul piano amministrativo e penale delle eventuali incongruenze in esso contenute – di una lesione del diritto e della legittima aspettativa delle ragazze e dei ragazzi di Labico a cui genitori diligenti spiegano l’importanza dello studio, dell’impegno e del merito e che invece devono prendere atto che il sistema più efficace per ottenere un risultato rimane – almeno a Labico – quello clientelare e che la meritocrazia è una chimera molto lontana dalla realtà. A questo punto a loro non rimangono che due possibilità: mettersi in fila davanti alla porta dei potenti per ottenere concessioni e favori oppure unirsi alla battaglia di chi vuole sovvertire metodi e mentalità inaccettabili e restituire al Paese i principi della legalità e della trasparenza. La differenza tra le due opzioni sta tutta in una parola: dignità.

Alle colonne d'Ercole

Alle colonne d'Ercole
La mia ultima avventura