2 giugno 2016

Sensi di colpa

Cosa si prova di fronte allorrore di una ragazza barbaramente uccisa da chi probabilmente sosteneva di amarla o, quantomeno, di averla amata? Rabbia? Indignazione? Frustrazione? Impotenza? Angoscia?

Sì, è più o meno questa la gamma di sensazioni che ci pervadono quando arriva una notizia così. A me, inevitabilmente, si aggiunge qualcosaltro: il senso di colpa. In qualche misura mi sento responsabile anche io. Einsensato? Solo apparentemente.

Ricordo perfettamente il mio stato danimo dopo aver visto film come Schindler's List o Balla coi lupi. Al netto dello strazio emotivo di quelle pellicole, io avvertivo una incomprimibile sensazione di corresponsabilità «sineddochica». Come italiano per il fattivo contributo del mio paese alla persecuzione e allo sterminio degli ebrei, come europeo/occidentale per il massacro e genocidio delle popolazioni indigene americane, come essere umano per il cruento saccheggio degli ecosistemi e della biodiversità.


Poi leggo di Sara, una ragazza di 22 anni, strangolata, cosparsa di alcol (o benzina) dallex fidanzato e bruciata solo perché voleva decidere da sola della sua vita. Il senso di colpa per loccasione è come appartenente al genere maschile, mediamente incapace di distinguere tra amore e smania di possesso. Finché continueremo a pensare che il problema sia dei singoli, degli individui, di quelle miserabili teste di cazzo che non sopportano lidea che la “propria” donna in realtà sia semplicemente una persona, sulla quale non possono rivendicare alcun diritto di proprietà, saremo ben lontani dal trovare una soluzione. Il problema non è di alcuni maschi. Il problema è nella cultura maschile, una cultura ancora adesso intrisa di violenza e sopraffazione. La stessa cultura che porta altri miserabili a pronunciare frasi del tipo “difendiamo le nostre donne”, come se con noi, maschi italiani, fossero al sicuro. Eppure in Italia le donne uccise dalla violenza di genere (per tacere di quelle vittime di violenza psicologica, molestia, stupro) - una ogni due giorni - sono, per la stragrande maggioranza dei casi, vittime dei propri mariti, compagni, amanti, padri. Normalmente italianissimi e spesso persone socialmente e professionalmente affermate. No, il problema continuiamo ad essere noi maschi e la nostra vulnerabilità. Sembra un paradosso, ma è proprio la nostra debolezza - non fisica, per carità, ché ci sentiamo tanto virili (da vir, uomo, etimologicamente vicino a vis, forza) - a renderci così pericolosi. Noi maschi dobbiamo esserne consapevoli, dobbiamo sentirci in colpa per ogni Sara, dobbiamo iniziare a chiedere scusa e, soprattutto, dobbiamo essere parte attiva in un cambiamento culturale che ci porterà a non dover più chiedere scusa a Sara e alle altre donne vittime della “nostra” violenza.

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