31 gennaio 2015

Libertà batte arroganza

Galli ha sempre avuto un rapporto difficile con l’articolo 21 della Costituzione. Proprio non riesce a tollerare l’idea che normali cittadini abbiano una propria opinione, decidano di esprimerla, addirittura pubblicamente fino ad arrivare all’inimmaginabile: la sua diffusione nero su bianco attraverso, che so, un foglio di informazione locale. Ed è per questo che, da quando si è ritrovato a fronteggiare un’opposizione non troppo “collaborativa”, è andato completamente in crisi.
Per Alfredo Galli la critica politica integra la fattispecie di un reato ormai cancellato dal nostro ordinamento giuridico, la lesa maestà, e ogni strumento è lecito per punire chi si macchia di questa orrenda colpa. Ed è così che si sono succeduti goffi quanto vani tentativi di mettere a tacere il dissenso e la critica: denunce per “stampa clandestina”, ordinanze sindacali per vietare la diffusione di fogli informativi (come ai bei tempi del ventennio), querele e citazioni in sede civile per diffamazione.
L’ultima batosta, in ordine di tempo, gli è arrivata a seguito del maldestro tentativo di chiedere al sottoscritto 50mila euro di danni per un mio articolo, da lui giudicato diffamatorio e lesivo della sua dignità personale. Veniamo ai fatti. Il 18 luglio del 2009 scrissi un articolo in cui sottolineavo una curiosa anomalia: Alfredo Galli, in qualità di sindaco di Labico (sono in pochi a ricordare un tempo in cui non lo sia stato), aveva permesso la realizzazione di un’edificazione nel proprio terreno situato in piena zona agricola. Sulla carta l’immobile era giustificato attraverso il ricorso ad una norma che consentiva la realizzazione della civile abitazione del conduttore del fondo agricolo e di un immobile di servizio. Io avevo ironizzato sui rapporti tra il Sindaco e la terra da coltivare (considerando che la sua principale attività in questi anni è consistita nel cementificare ogni singolo centimetro di terreno fertile) e avevo evidenziato alcuni aspetti che legittimavano dubbi sulla irreprensibilità della procedura. Dubbi per i quali avevo chiesto al sindaco di rispondere ad un’interrogazione in consiglio comunale. Galli, anziché fornire una risposta esauriente (la risposta c’è stata, ma, se possibile, ha confermato la ragionevolezza delle perplessità) ha pensato bene di annunciare una querela (mai inviata, in realtà) e di citarmi in sede civile.
In questi casi si ha la sensazione di essere vittima di un atto intimidatorio. Che senso ha fare politica a livello locale se non si ha intenzione di partecipare alla spartizione di potere, poltrone, interessi e clientele? Che senso ha fare politica solo ed esclusivamente per chiedere agli amministratori di rispettare le leggi, di fare gli interessi dei cittadini, di essere corretti e trasparenti? Che senso ha spendere il proprio tempo, il proprio impegno, i propri soldi, col rischio di pagare decine di migliaia di euro il prezzo della propria libertà? Più di qualcuno penserebbe (e io stesso ho avuto questa tentazione): “ma chi me lo fa fare?”.
Ovviamente non ho ceduto, non sono sceso a “più miti consigli” e ho affrontato la causa civile, andando alle udienze (Galli, prevedibilmente, non si è mai visto), spiegando i fatti, argomentando le mie ragioni, producendo documenti. Sono passati oltre cinque anni, ma alla fine il Tribunale di Velletri ha pronunciato la sentenza sulla vicenda, rigettando la domanda di risarcimento di Galli e condannandolo a risarcirmi per le spese legali sostenute. Una vittoria netta delle ragioni del diritto di cronaca, del diritto di critica politica, del diritto alla legalità e alla trasparenza contro le ragioni dell’arroganza del potere.

Nelle motivazioni della sentenza ci sono alcuni passaggi esemplari e che spero servano di monito ai nostri amministratori, come quando si afferma che “la circostanza dell’appartenenza allo schieramento politico di opposizione legittima la necessità di approfondire le condotte di esponenti della maggioranza nell’esercizio delle proprie funzioni al fine di verificare se la cosa pubblica venga amministrata tenuto conto dello scopo precipuo dell’attività politica amministrativa, ossia la cura dell’interesse pubblico”, quasi come se a Velletri conoscessero bene il sindaco e la giunta labicani. Oppure quando si dice che “la notizia… si presenta adeguatamente rispettosa del limite della continenza, in quanto espressa con toni non ingiuriosi e comunque rispettosi della dignità personale del Galli”, a spiegare che la dignità del sindaco non è messa in discussione dalle critiche che gli vengono poste, ma più ragionevolmente dalla condotta non adamantina che legittima le critiche. Infatti, poco oltre il giudice spiega che la notizia “riveste indubbio interesse pubblico, tenuto conto del generale principio che la condotta pubblica degli amministratori locali dovrebbe essere di esempio e di monito per la collettività degli amministrati, che hanno pieno diritto di essere informati su eventuali comportamenti o azioni irregolari o anomale da parte degli amministratori”, per concludere che i cittadini “hanno diritto ad una amministrazione trasparente tesa alla cura dell’interesse pubblico”. A questo punto spetta ai cittadini decidere se vogliono davvero un’amministrazione trasparente e tesa alla cura dell’interesse pubblico. Gli elementi per farsi un’idea ce li hanno tutti e la magistratura ha sancito - insieme al nostro diritto di esprimere il nostro pensiero, di criticare e di informare - il loro diritto ad essere informati.

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