19 marzo 2011

Riflessioni nucleari


Ho provato ad immaginare cosa sarebbe successo in Italia se non ci fosse stato il terribile terremoto che ha sconvolto il Giappone e il Mondo. Il Governo aveva già programmato una bella cappa di silenzio sui referendum, opportunamente tenuti lontani dalla tornata amministrativa. L’argomento sarebbe stato pressoché completamente ignorato dai media controllati da Berlusconi in modo diretto – perché di sua proprietà – o in modo indiretto – come la RAI – e probabilmente buona parte delle testate giornalistiche lo avrebbe trattato con una certa timidezza. Per molti italiani, non sempre particolarmente attenti e informati, la privatizzazione dell’acqua e il ritorno al nucleare non sarebbero stati percepiti come problemi meritevoli di eccessiva considerazione. L’obiettivo di ridurre la reattività sociale, su cui si è costruito un efficace sistema mediatico, sarebbe stato agevolmente raggiunto. Anche i cittadini più sensibili e motivati sarebbero stati colti da un sentimento di rassegnazione e il 12 giugno si sarebbe probabilmente registrato il mancato raggiungimento del quorum. Certo con una schiacciante, quanto inutile, vittoria dei SI a tutte le consultazioni referendarie. Lo strumento del referendum andrebbe riformato da tempo. E’ uno strumento utile e importante, che però dovrebbe essere rivisto perché il meccanismo del quorum avvantaggia eccessivamente una delle parti (avvantaggiata dalla percentuale fisiologica di astensione, in costante crescita). Si potrebbe rendere meno agevole il suo utilizzo (elevando il numero di firme necessarie), ma riducendo o eliminando il quorum.
Riforme costituzionali a parte, senza il terremoto giapponese il referendum difficilmente avrebbe raggiunto il quorum e i nuclearisti avrebbero cantato vittoria, affermando senza pudore che gli italiani si erano schierati per il ritorno al nucleare. Adesso la strategia è cambiata. Adesso si sostiene che non è il caso di lasciarsi condizionare dalle emozioni. Io non mi faccio condizionare dalle emozioni. Ero contrario al nucleare prima dell’11 marzo e continuo ad esserlo anche adesso. Sono contrario alla privatizzazione dell’acqua adesso e, presumibilmente, continuerò ad esserlo quando ci si renderà conto che non è affatto detto che una gestione privatistica migliori il servizio. Sicuramente, essendo finalizzata al profitto e non al soddisfacimento di un bisogno primario, aumenterà i costi. E’ vero che ci sono forze politiche con posizioni più, come dire, sfumate, sia sull’energia sia sull’acqua. E sono loro ad oscillare tra una posizione e l’altra non in funzione di valutazioni di merito, ma perché mossi dal timore di perdere consenso. Sul merito, pensando al nucleare, le posizioni degli ambientalisti erano molto chiare e nette. E gli argomenti erano sempre gli stessi: il nucleare “costa” troppo, ha irrisolti problemi di gestione delle scorie, comporta un fattore di rischio non eliminabile e le cui conseguenze sono non solo devastanti, ma protratte nel tempo. I filonuclearisti fino all’11 marzo dicevano che le nucleari adesso sono “sicure”. E a chi ricordava che l’Italia è una zona ad elevato rischio sismico (oltre che idrogeologico) si rispondeva: ma se in Giappone hanno le centrali nucleari vuol dire che pericoli non ce ne sono. Le classiche “ultime parole famose”. Ora si sostiene che chi non vuole le centrali fa sciacallaggio e che tutto è pericoloso, anche le dighe, che ogni tanto crollano. Una teoria bizzarra e priva di logica. Nelle valutazioni di rischio si devono considerare due fattori: la probabilità che un determinato evento si verifichi e il danno che provocherebbe. Ogni giorno affrontiamo serenamente fattori di rischio ad elevata probabilità, come la pioggia. Se siamo previdenti ci portiamo l’ombrello, altrimenti ci bagniamo. In ogni caso le conseguenze non sono particolarmente gravi. Al limite ci becchiamo un raffreddore. Affrontiamo anche eventi molto meno probabili, ma potenzialmente letali (un fulmine, o il morso di una vipera). In questo caso pensiamo che il rischio sia ragionevolmente basso. Poi pensiamo sempre alle alternative più ragionevoli. Attraversare la strada è sempre pericoloso. Farlo in condizioni di visibilità e sulle strisce pedonali riduce di molto il rischio.
Perché l’energia nucleare è una scelta non condivisibile sul piano del rischio? Non perché sia particolarmente probabile che si verifichi un incidente, ma per le conseguenze drammatiche che comporterebbe. Per migliaia, se non milioni di persone. Per territori enormi. Per decine di anni. E, in più, le alternative ci sono: senza rischi, a costi decisamente più bassi e in grado di soddisfare la domanda di energia. E non c’è bisogno che arrivi una catastrofe per capirlo. Questa scelta l’Italia avrebbe dovuto farla senza Chernobyl nel 1987 e la dovrebbe confermare nel 2011 a prescindere da Fukushima. Magari la Prestigiacomo e Gasparri hanno avuto bisogno di Fukushima per arrivarci. Noi ambientalisti no. Però, chissà perché, gli sciacalli siamo noi.

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