29 agosto 2009

Il Silenzio degli insipienti continua


Il blitz estivo è riuscito. La convocazione del consiglio comunale, indetta il giorno della vigilia di San Rocco con l’unico obiettivo di poter trasmettere in regione una scandalosa variante al piano regolatore generale, ha prodotto il risultato atteso.


Sin dall’inizio era chiaro l’ordine di scuderia impartito ai consiglieri comunali: alzare la mano al segnale convenuto. Altro non era concesso. Vietato prestare attenzione alle argomentazioni dell’opposizione. Inutile leggere gli atti su cui si era chiamati a votare. Sconsigliato intervenire durante la discussione. E l’andamento della seduta del consiglio ha confermato l’impressione iniziale.


Partiamo dall’inizio. Oggetto dell’approvazione era l’aggiornamento della relazione tecnica alla variante del P.R.G. “a seguito delle osservazioni approvate”. In teoria ci saremmo dovuti trovare di fronte ad una nuova versione della relazione tecnica, con i nuovi dati sulle cubature, sulle estensioni delle zone e sull’individuazione degli standard urbanistici (dalle scuole ai parcheggi). Ovviamente l’aggiornamento avrebbe dovuto riguardare anche tutta la cartografia, in assenza della quale è impossibile individuare la localizzazione di quegli spazi necessari alla collettività. La cartografia però non c’era. E la relazione tecnica era stata modificata in modo del tutto arbitrario, con l’inserimento di elementi mai discussi in consiglio comunale e con l’eliminazione di quelle parti che avrebbero potuto rendere più evidenti i macroscopici errori in essa contenuti. Del tutto inutile è stato il nostro rilievo sulla grave carenza della documentazione e si è deciso di procedere comunque all’esame dell’atto.


Ora è necessario ricordare che negli ultimi due anni il consiglio comunale ha attentamente esaminato le 161 osservazioni presentate e quelle accolte (anche solo parzialmente) comportavano quasi sempre aumenti di cubatura, trasformazione dell’area in zone che aumentassero il valore immobiliare, riduzione degli standard urbanistici. La conseguenza è che la variante risultante da queste modifiche (e che nessuno si è mai preoccupato di quantificare in modo esatto) farà aumentare notevolmente la crescita demografica del paese e, di conseguenza, si sarebbero dovuti individuare ulteriori spazi da destinare ai servizi per la collettività. E tutto questo i nostri amministratori lo avrebbero dovuto mettere nero su bianco in tutti i documenti che costituiscono lo strumento urbanistico, a cominciare dalla cartografia. Il problema è che quegli spazi “loro” non li hanno individuati e, nella variante che – senza vergogna alcuna – si accingono ad inviare alla Regione Lazio, quegli spazi non ci saranno. E i cittadini di Labico non avranno i servizi minimi stabiliti dalla legge nemmeno sulla carta. Ma, del resto, cosa ci si poteva aspettare dagli stessi amministratori che, per aumentare il profitto dei costruttori, negli ultimi quindici anni si sono resi responsabili della cancellazione di quasi tutti gli standard previsti dalla precedente pianificazione urbanistica? Cosa ci si poteva aspettare da un’amministrazione che ha fatto costruire interi nuovi quartieri senza marciapiedi, con le strade troppo strette, con parcheggi pressoché inesistenti? Cosa ci si poteva aspettare da un’amministrazione che, per non dispiacere gli speculatori, non si è mai preoccupata di far rispettare le convenzioni di lottizzazione, che non ha mai assicurato la realizzazione delle opere di urbanizzazione, che obbliga centinaia di cittadini a vivere in case prive del certificato di agibilità? Deve essere chiaro che l’obiettivo di questa amministrazione non è l’interesse della collettività, ma garantire il profitto degli immobiliaristi e, in quest’ottica, si spiegano bene le scelte di chi ha deciso di creare ben due centri commerciali in prossimità del centro storico (uno dei quali spacciato per “Città dell’arte”), senza neppure avere il coraggio di indicare nella relazione tecnica (forse per pudore) l’esatta estensione della nuova zona commerciale. E a nulla è servito indicare in consiglio comunale l’evidente errore del dato numerico (135.981 anziché 182.360).


L’ordine di scuderia era di non ascoltare e di votare. Se su quella relazione avessero scritto che il presidente della Repubblica si chiama Paolino Paperino l’avrebbero votata ugualmente. Anche se i soliti pedanti esponenti dell’opposizione avessero fatto loro notare che non è esattamente così.


Abbiamo calcolato l’estensione dei parcheggi necessaria per rendere un po’ più sostenibile (almeno sul piano della viabilità) l’imminente cementificazione; un calcolo basato sui valori che proprio in quella relazione sono contenuti e che fanno riferimento ad un preciso obbligo di legge. Ebbene a fronte di 28.280 metri quadrati dichiarati (ma non individuati) di nuovi parcheggi ne servirebbero – secondo le “loro” norme tecniche - in realtà non meno di 200.000, quasi dieci volte tanto, e questo significa che corriamo il rischio di vivere in una città con traffico e congestione a livelli romani.


Per non parlare del verde pubblico, vera ossessione negativa dei nostri amministratori, che proprio non si capacitano della presenza di tutti quegli spazi “improduttivi”. E così il poco che avevano individuato nella prima redazione del piano, lo hanno man mano cancellato con l’accoglimento delle osservazioni (il resto lo cancelleranno semplicemente non realizzandolo, come hanno fatto fino ad ora), senza però aggiornare il dato numerico sulla relazione tecnica.


A nulla è valso ricordare che la speculazione edilizia in programma sul campo sportivo porterà qualcosa come 70 famiglie e 140 automobili in una zona già congestionata per la miope capacità programmatoria di questa particolare categoria di amministratori.


A nulla è valso citare precisi riferimenti normativi e sentenze del Consiglio di Stato che impongono la ripubblicazione del piano a seguito dell’accoglimento “delle osservazioni formulate dai privati comportanti una profonda deviazione dei criteri posti a base del piano adottato”.


A nulla è valso ricordare che le osservazioni dell’Ufficio tecnico (e che hanno contribuito allo stravolgimento del piano) erano state frutto di una procedura del tutto illegittima.


A nulla è valso chiedere un contraddittorio agli esponenti della maggioranza. Nessuno dei quali è stato capace di confutare le nostre affermazioni. I pochi interventi che hanno fatto erano o su questioni del tutto marginali o completamente fuori luogo (come chi ha paventato il rischio dello scioglimento del comune in caso di mancata approvazione della variante…).


Il vero problema è che quella relazione probabilmente nessuno l’ha letta, come ha candidamente ammesso l’ex assessore all’urbanistica ma ufficialmente ancora in carica (ché a Labico le leggi dello Stato non valgono…), perché per votare quella relazione piena di errori e di omissioni bisogna essere o piuttosto sciocchi o molto in malafede.


Siamo stati diverse ore a spiegare e ad argomentare le nostre perplessità e le nostre critiche sia sul procedimento adottato per la trasmissione della variante alla Regione (la legge stabilisce una procedura ben definita che non è stata rispettata) sia sul contenuto della relazione. Abbiamo trovato davanti a noi un ostinato muro di gomma. Impassibili anche di fronte all’evidenza, tutti i consiglieri di maggioranza (almeno quelli che hanno ascoltato le nostre parole) hanno preferito fare la pessima figura di votare un atto completamente fasullo piuttosto che sottrarsi alle direttive impartite dall’alto. E la figura apicale a Labico non è quella del Sindaco, anch’egli allineato e coperto alle altrui indicazioni.

24 agosto 2009

Il Silenzio degli insipienti

Non una parola sulle dimissioni di Di Stefano. Silenzio tombale sulla gestione dell’appalto della mensa. Scomposta fuga per non rispondere alle interrogazioni. Una nuova imbarazzante figuraccia della maggioranza.



Dopo un mese e mezzo alla fine sono riusciti a convocare il consiglio comunale. C’erano un paio di delibere di bilancio che non potevano aspettare e quindi “hanno” deciso di svolgere il consiglio l’ultimo venerdì del mese di luglio, con quattro settimane di ritardo rispetto alla data concordata.


Le sedute consiliari rappresentano l’unica opportunità di un confronto pubblico con i nostri amministratori e sono le occasioni che noi utilizziamo per cercare di affrontare importanti questioni.


Con fatica, certo, perché gli esponenti della maggioranza cercano in tutti i modi di “tapparci la bocca” quando solleviamo problemi che riguardano il paese o che mettono in luce alcune “stravaganze” del loro modo di gestire la pubblica amministrazione. In particolare il vicesindaco comincia ad agitarsi sulla propria sedia e cerca di costringere chi conduce l’assemblea a toglierci la parola. La sua argomentazione è sempre la stessa “non è all’ordine del giorno”. Nulla che possa apparire una critica al loro modo di agire dovrebbe mai essere all’ordine del giorno.


Nella loro personale visione della “politica” i consigli comunali dovrebbero servire semplicemente a ratificare le decisioni prese nel “Palazzo”, senza confronto, senza contraddittorio, senza informazione. Un passaggio burocratico per dare una parvenza formale di correttezza procedurale. Nulla di più.


Parliamone ora, dunque, delle questioni che vorremmo affrontare in un contraddittorio pubblico e cerchiamo di capire come mai ogni volta replicano col silenzio o con la fuga.


La prima questione che abbiamo posto è stata quella delle dimissioni dell’assessore Remo Di Stefano. Dimissioni che hanno cercato di tenere nascoste e sulle quali hanno sempre cercato di evitare di esprimere una qualsivoglia considerazione di carattere politico. Per avere copia della lettera di dimissioni abbiamo dovuto fare una richiesta scritta al Sindaco e farla protocollare in Comune. Sono trascorse alcune settimane prima di poterla vedere. Quando finalmente ne siamo entrati in possesso abbiamo scoperto che Remo Di Stefano, correttamente, aveva inviato la lettera a tutti i consiglieri comunali. Peccato che nessuno si sia preso la briga di recapitarla ai destinatari. Chi è responsabile di questa – grave – mancanza? Giriamo nuovamente la domanda agli interessati (in consiglio non hanno risposto, come da copione). In una situazione normale si chiama “omissione di atti d’ufficio” ed è un comportamento ingiustificabile. Questo episodio fa nascere il sospetto che altre missive non ci siano mai state consegnate. E se qualche cittadino ha pensato di scriverci attraverso il Comune potrebbe essere rimasto deluso dal nostro silenzio. Ebbene, si sappia, “qualcuno” ha deciso che ai consiglieri di minoranza non debba neppure essere consegnata la posta. Magari anche in questa circostanza si scaricherà la colpa “agli uffici”. Torniamo alle dimissioni e proviamo a ricostruire la vicenda. Remo Di Stefano ha rassegnato le proprie dimissioni da assessore il 19 maggio scorso. Dimissioni che, secondo la legge e la giurisprudenza, dovrebbero ormai essere efficaci. Non per il Segretario che interpretando a piacimento le norme ha deciso che le dimissioni non valgono fino a quando non vengono ratificate dal Sindaco, inventandosi di sana pianta una disciplina “ad hoc” per la situazione labicana. Abbiamo chiesto lumi anche sull’indennità di carica che, a quanto pare, l’ex assessore sta continuando a percepire. Dall’amministrazione un muro di gomma. Anzi, hanno cercato di fermare il dibattito forzando in modo vergognoso il regolamento comunale. A questo punto abbiamo presentato un ordine del giorno con cui abbiamo chiesto di chiarire pubblicamente la vicenda. E qui la maggioranza è riuscita in qualcosa che va al di là di ogni pudore.


Hanno votato tutti contro (a parte Di Stefano che si è astenuto, in quanto parte in causa). Dunque per i consiglieri di maggioranza bisogna tenere nascoste questioni importanti come il sapere chi e a che titolo ha la responsabilità su materie come urbanistica e bilancio, bisogna occultare il fatto che c’è qualcuno che percepisce uno stipendio senza fare nulla e via dicendo. E il fatto che abbiano votato contro la nostra richiesta di trasparenza dà la misura di come gestiscono la pubblica amministrazione: nell’ombra e senza nulla far sapere ai cittadini. A conferma di questo c’è la seconda questione che abbiamo provato a sollevare: ossia la gestione “carbonara” di una delle questioni più importanti e più delicate che l’ente locale è chiamato ad affrontare: l’appalto per la mensa scolastica. Come abbiamo già avuto modo di dire avremmo voluto che il capitolato venisse gestito in modo trasparente e cercando il contributo di tutti, anche e soprattutto delle persone che, per impegno e competenza, seguono da anni il problema. Nulla da fare. Si sono guardati bene dal portare la questione in commissione (e tantomeno in consiglio) e il Segretario ha risposto alla mia richiesta con una lettera molto dura. In pratica il Segretario – il cui comportamento lo rende sempre meno garante della legalità e sempre più organico alla maggioranza – ha sostenuto una tesi veramente singolare, ossia che un appalto come quello della mensa scolastica è completamente sottratto all’indirizzo dell’amministrazione politica, ma è del tutto affidato al responsabile del servizio. Tesi avvalorata dall’autorevole esperto di diritto amministrativo, il nostro vicesindaco, che mi ha dato una pubblica lezione con un’intervista su un quotidiano locale. Peccato che non sia stato capace di reggere il contraddittorio pubblico a cui l’ho invitato in consiglio comunale. Peccato che né lui né il Segretario (non mi è chiaro se suo o del Comune) siano stati in grado di argomentare leggi, dottrina e giurisprudenza alla mano una sì audace tesi giuridica. Io, nel mio piccolo, mi ero attrezzato con la normativa vigente, sentenze amministrative, analisi dottrinarie, prassi applicativa.


L’unica cosa di cui sono stati capaci è di mettermi a tacere. Non una risposta sul merito, non una replica sui contenuti. Solo l’arroganza del potere di levarmi la parola. Chiunque abbia assistito al consiglio si è potuto rendere conto dell’incapacità di chi amministra di argomentare le proprie tesi. E quando Spezzano ha ironicamente definito “monarchia” il modello di governo adottato dalla maggioranza è stata pronta la replica della capogruppo Ricci che ha detto “la monarchia di chi ha più voti”.


Come se prendere più voti giustificasse ogni cosa, anche il mancato rispetto delle regole democratiche. Altre questioni avremmo voluto sollevare, ma non c’è stato nulla da fare. Siamo passati agli atti di bilancio, sul primo dei quali ancora una volta il vicesindaco faceva pressioni sul Presidente asserendo che non dovevo intervenire (è letteralmente terrorizzato all’idea) ed è stato veramente imbarazzante vedere che nessuno della maggioranza sapeva di cosa si parlava. Non c’era nessuno che avesse voglia di illustrare i provvedimenti. E, solo dopo le nostre insistenze, il Sindaco ha di malavoglia farfugliato qualcosa nel maldestro tentativo di spiegarne il contenuto. Verso le 14 si è capito che non avremmo fatto in tempo ad esaminare gli atti relativi alla variante al P.R.G. e abbiamo chiesto di passare alle interrogazioni. Ero stato fin troppo facile profeta nel pronosticare che non avrebbero mai avuto il coraggio di rispondere. Il Sindaco – un vero acrobata del buonsenso – ha detto che avrebbe dato risposta scritta alle interrogazioni. Per l’ennesima volta smentendo sé stesso, che in diverse occasioni aveva preso il solenne impegno di rispondere in aula a tutte le interrogazioni, se l’è svignata. A rendere ancora più imbarazzante la fuga è stata la motivazione: “motivi istituzionali”. Quali? Abbiamo chiesto. Al momento non gli è venuto in mente nulla. Poi un lampo: “mi devo vedere col Sindaco di Valmontone”. E perché? Insistiamo.


Qui la risposta non è intellegibile. L’imbarazzo è evidente e la sensazione che sia una bugia è piuttosto netta. Ma quando Spezzano dice “adesso telefoniamo al Sindaco di Valmontone” l’irata replica (“telefona a chi c…o ti pare”) cancella ogni residuo dubbio…  

4 agosto 2009

Famolo strano

In più di una circostanza autorevoli esponenti della maggioranza hanno reagito in modo risentito alla pubblicazione del nostro giornale. Ci hanno accusato di avere “un modo strano di fare politica” (testuali parole). Sostanzialmente il fatto di rendere pubbliche faccende da loro considerate private sembra indisporli oltremodo. Peccato che l’amministrazione di un Comune sia questione di pubblico interesse e una sua impropria gestione in forma privatistica non ne legittima la privatizzazione. Ed è in questa anomalia che trova spiegazione la loro scomposta reazione. Proprio non riescono a digerire il fatto che qualcuno cerchi di spiegare ai cittadini cosa succede, proprio non si capacitano delle richieste di correttezza e di trasparenza, proprio non riescono a farsi una ragione dei richiami alla legalità ed al rispetto delle regole. Tutto questo per loro costituisce un modo strano di fare politica. Ma se davvero trasparenza, correttezza, pubblicità, legalità sono delle stravaganze, se un approccio alla politica che si basa su questi principi viene giudicato “strano”, allora non avremo alcun imbarazzo nel dire: “Famolo strano”.

Alle colonne d'Ercole

Alle colonne d'Ercole
La mia ultima avventura