30 giugno 2007

Caro Drugo

Il movieclub di Palestrina mi ha chiesto la recensione de "Il grande Lebowsky", memorabile film dei fratelli Coen. Ne è uscito questo:

Caro Drugo,

uno come te non esisteva e quindi hanno fatto bene i fratelli Coen ad inventarti. Certo non è facile etichettarti o collocarti in qualche schema, come siamo abituati a fare tutti noi, anche quelli che si dichiarano allergici al “sistema”, un sistema da cui però è difficile staccarsi. Bisogna essere molto coraggiosi o semplicemente pazzi. Come te, in pratica. Uno che quando lo vedi nel film suscita simpatia ed approvazione, ma non sono certo che la stessa simpatia e la stessa approvazione godrebbero della medesima immediatezza nel mondo reale. Provo a spiegarmi meglio. Quando ti ho conosciuto, mettiamola così, ho subito provato un sentimento positivo nei tuoi confronti. Ho deciso all'istante che il tuo personaggio mi piaceva, senza troppi filtri e barriere ad influenzare il mio giudizio. Mi chiedo però cosa avrei pensato se ti avessi conosciuto “sul serio”. Mi chiedo cioè che sensazione avrei provato se avessi incontrato casualmente un “Drugo” in carne ed ossa, ad esempio al supermercato. Cosa mai avrei potuto pensare di un individuo che vaga per gli scaffali del supermercato in ciabatte, bermuda e con una sottospecie di accappatoio? Probabilmente a quel punto si sarebbero attivati quei “filtri” attraverso i quali controlliamo le nostre relazioni con il mondo esterno e la trasandatezza del tuo aspetto avrebbe creato un muro difficilmente valicabile. E io, probabilmente, non ti avrei mai conosciuto.
Eppure uno come te, Drugo, sarebbe bello conoscerlo o, addirittura, essere suo amico. Al di là della condivisione delle tue scelte e del tuo pensiero. Intanto sei un personaggio positivo. E’ evidente che non ti trovi a tuo agio in un modello culturale che non ti appartiene e ti rifiuti di starci dentro, come facciamo spesso noi, critici saccenti, convinti che le cose si possano cambiare da “dentro”. Non vorrei scomodare Leo Ferré iscrivendoti alla categoria degli anarchici, ma certo trovi la forza di stare ai margini del tuo mondo senza per questo esserne emarginato. Anzi ne fai parte a pieno titolo. E soprattutto il filo conduttore della tua esistenza è legato a qualcosa che è tipicamente americano: il bowling. Spero non sia troppo disdicevole, ma a me il bowling piace. Non so neppure se sia uno sport o cosa, suppongo però che non sia una specialità olimpica. In ogni caso, qualunque cosa sia il bowling è bello, è affascinante, è coinvolgente. Pur nella sua evidente “banalità”. Già perché il gioco del bowling è uguale a sé stesso da sempre e le piste e i prodigiosi macchinari che spazzano via quel che resta dei dieci birilli dopo il lancio, per poi sostituirli con dieci birilli in perfetto ordine e che ti restituiscono la palla come per magia, non sono cambiati poi tanto con l’avvento delle sofisticate tecnologie che tanto hanno rivoluzionato le nostre esistenze. E la tecnica del giocatore di bowling non deve essere necessariamente sofisticata. E le regole, sempre quelle, sono semplicissime. “Questo non è il Vietnam, è il bowling: ci sono delle regole”. Già, delle regole. Questa frase è stupenda. La pronuncia Walter, in arte John Goodman, quel tuo amico fascistoide durante una lite per l’assegnazione dei punti alla coppia avversaria. E ha tutta l’aria di voler riassumere in poche parole il concentrato del pensiero di una certa dottrina americana. Quella di Bush padre, la cui ingombrante presenza aleggia sullo sfondo del film. Un Bush che ha cominciato a vedere incrinati i rapporti con quel Saddam Hussein col quale gli USA avevano intrapreso una solida e proficua collaborazione, soprattutto in virtù della contrapposizione con l’Iran, ma che iniziava ad essere poco “gestibile”. E così, a seguito dell’invasione del Kuwait, è iniziata la prima guerra del golfo. Una guerra discutibile (ma parlare di guerra discutibile significa commettere, al contrario, l’errore di chi parla di guerra giusta, vista la follia in sé della guerra). In quell’occasione però il comportamento di Saddam Hussein fu così eclatante che non fu difficile per Bush senior convincere la comunità internazionale della necessità di intervenire prontamente per ristabilire il diritto leso di uno stato sovrano (sulla sovranità degli stati poi bisognerebbe studiare un po’ di storia di ognuno per capire quanto siano sorti legittimamente, a cominciare proprio dagli Stati Uniti, nati da uno dei più sanguinosi soprusi che la storia mondiale ricordi).
Insomma il succo del pensiero del tuo amico è questo: le regole servono all’interno di un consesso civile, come il glorioso popolo americano, e delle sue tradizioni, come il bowling, altrove – come in Vietnam o in Iraq – le regole perdono la ragione di essere perché a decidere come si gioca è chi ha ragione, chi porta il diritto, chi porta la democrazia e che, guarda caso, è anche il più forte. Di te, Drugo, apprezzo e forse dovrei imparare, la capacità di dialogo, nel senso che pur non sopportando la boriosa cultura machista del tuo buffo amico, continui non solo a parlare con lui – magari dando luogo a conversazioni surreali, che in una certa misura ricordano l’immagine del centro-sinistra nostrano, in cui ognuno espone le proprie ragioni senza preoccuparsi di sentire quelle degli altri e di capire se gli altri hanno ascoltato le proprie – ma anche a volergli bene. Abbracciandolo, nel caso, come quando, dopo aver sproloquiato senza senso nell’orazione funebre per l’amico morto, ha lanciato le sue ceneri in aria facendole finire addosso a te, che eri sottovento.
Mi chiedo come fai a mantenere quel particolare equilibrio di una persona che sa come va il mondo e non si scompone di fronte a situazioni difficili ma che, al contempo, mantiene una sua disarmante ingenuità, come quando, in quel deposito giudiziario disseminato di auto rubate, avresti desiderato accurate indagini per ritrovare l’autore del furto della tua vecchia e scassata quattroruote, provocando la scomposta e divertita reazione del poliziotto di servizio.
Caro Drugo,
in realtà mi piacerebbe sapere cosa stia facendo tu adesso, a quindici anni di distanza. Lo sfondo del resto non è cambiato molto. C’è sempre Bush – il figlio stavolta – a condurre una guerra santa e c’è sempre Saddam Hussein nelle vesti del cattivo. A dire il vero Hussein non c’è più. E’ stato “democraticamente” giustiziato in nome della libertà e della pace. Pace e libertà che stentano però ad arrivare in un paese martoriato proprio da quella democrazia che avrebbe dovuto restituire dignità ai cittadini iracheni. Lo so che forse sto pretendendo un po’ troppo da te che hai trascorso gran parte del tuo tempo a giocare a bowling e che l’unico “contatto” con Saddam l’hai avuto in uno dei tuoi deliri onirico-psichedelici, durante il quale ti porgeva, con un sorriso ambiguo, le scarpe da gioco. Però, a parte questo, il tempo dovrebbe essere passato anche per te e mi chiedo se sei riuscito a mantenere il tuo orgoglioso distacco dalle dinamiche che regolano le nostre comunità. Molti della tua generazione – fieri e irriducibili ribelli rispetto ai modelli sociali imperanti – si sono ritrovati con un lavoro, una famiglia, un hobby a cui dedicare la domenica, come milioni di altri americani e milioni di altri occidentali. E tu, Drugo? hai continuato in quel tuo splendido e ammirevole “fancazzismo” di morettiiana memoria? (Faccio cose, vedo gente). “Cosa conteneva la valigia, signor Lebowski? – documenti di lavoro – e che lavoro fa? – sono disoccupato”. E cosa direbbe il tuo amico reduce del Vietnam di questo nuovo Vietnam che solo l’ostinazione e l’arroganza di alcuni presunti statisti ha potuto ripetere? Chissà se il bowling sarebbe frequentato da un amico in più. Un altro reduce. Dell’Iraq questa volta. E i vostri dialoghi? Sarebbero ancora più surreali, se possibile?
Oppure anche tu alla fine sei stato contaminato dalla convenzionalità e hai dato retta ai consigli dell’altro Lebowski, il grande Lebowski, quello che appartiene alla categoria di chi “produce”, di chi fa andare l’economia, di chi fa crescere il PIL, e che, per questo, in qualche caso, ha la presunzione di poter imporre le proprie regole di vita all’universo mondo. “La vostra rivoluzione è finita, signor Lebowski, condoglianze: gli sbandati hanno perso. Faccia come i suoi genitori, accetti il mio consiglio: si trovi un lavoro”.
Tutte le mattine al lavoro e poi subito a casa ad abbracciare il piccolo Lebowski (ne stava arrivando uno se mal non ricordo), che ormai dovrebbe andare al liceo. E forse qualche sera di nuovo al bowling. Che però avrebbe un significato un po’ diverso, forse un po’ più marginale, ma sicuramente ancora importante. Ed è proprio lì che ti verrei a cercare. Per fare una partita a bowling, anche se mi stracceresti. A proposito. Com’è finito il torneo? Io immagino abbia vinto Jesus Quintana, alias John Turturro. Uno che probabilmente giudicherei insopportabile nel mondo reale, ma che ho trovato strepitoso nel suo improbabile look fucsia e nel suo improvvisato balletto - per celebrare l’esecuzione di un perfetto strike - al ritmo di una strepitosa versione di “Hotel California” dei Gipsy Kings.
Sarebbe anche un’occasione per fare due chiacchiere, quasi a consuntivo. Senza pretese. Senza la presunzione di avere la risposta a tutto. Alternando considerazioni e lanci. In ogni caso cercando di dare un senso, vuoi alle parole, vuoi alla palla. Probabilmente senza riuscirci, almeno per me, sia nell’uno che nell’altro caso. Però mi piacerebbe almeno poter condividere quella sensazione di inadeguatezza che a volte ci accompagna quando ci rendiamo conto della distonia tra il nostro modo di essere e quello che regola il funzionamento di quell’enorme palla da bowling che è il mondo. E questo disagio all’inizio è protesta e contestazione. Poi è difficoltà ad adeguarsi alle regole e ricerca di alternative possibili. Infine è pazzia o rassegnazione. Ed è questa la mia grande curiosità. Se in te – a quindici anni di distanza – sia prevalsa la prima o la seconda. Oppure se convivano faticosamente in te. E, se è così, in quale misura. In fondo lo so che tu hai i mezzi per gestire situazioni complesse, visto che giochi a bowling e, “per mantenere la mente flessibile”, osservi “un regime di droghe piuttosto rigido”.
Ma in fondo credo che non vorrei avere la risposta alle mie oziose domande, anzi penso che probabilmente non te le farei affatto, tutte queste domande. Tutte tranne una. Perché una cosa davvero la vorrei sapere: sei mai riuscito a totalizzare 300 punti in una partita?
Ci vediamo amico.

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