22 novembre 2004

Stradarolo 2004. Una storia di passi, scarpe e tavole rotonde

Articolo pubblicato su "Carta"

“4 metri, ha detto”.
“Sei sicuro che devono essere per forza 4, con queste tavole viene perfetto di 3,60. Le mettiamo insieme, le inchiodiamo ed è fatta. Anzi, l’ideale sarebbe farla rettangolare o, al limite, quadrata. Si risparmierebbe un sacco di tempo e fatica”.
“No, 4 metri e rotonda, ha detto”.
“Vabbé se ha detto così… e le gambe? Di che misura vanno fatte?”
“Quelle vanno fatte sul posto, perché è in discesa…”
“…”
“Sì, in discesa, tutta Genazzano è in discesa”
“O in salita”
“In salita o in discesa le gambe vanno fatte sul posto… come fai senza misure altrimenti?”
“…”
“…”
“Rotonda, quattro metri, gambe sul posto… altro?”
“No, ha detto così”
“Vabbé se ha detto così… passami la tavola…”
“…”

“Cappe!”. Dario, due anni compiuti da appena due giorni, si è appena svegliato. Come apre gli occhi – dalla posizione supina in cui si trova sul suo passeggino – ha immediatamente modo di notare qualcosa di meravigliosamente sorprendente: tutte quelle scarpe appese là in alto. “Cappe!” Ripete nuovamente colmo di estatica meraviglia, accompagnando l’asserzione con un’ipotiposi digito-esclamativa (mi si perdoni il prestito da Gadda), con la manina alzata e l’indice rivolto verso il motivo del suo stupore.
“Che stronzata”. Antonio, 48 anni di lì a poco, è seduto a tavola con alcuni amici. “Mò vedrai che stanotte vado e gliele stacco tutte”. Questi non c’hanno proprio gnente da fà che annà in giro a mette ‘ste scarpe puzzolenti pe le vie".
Il crinale incerto sui cui si muove Stradarolo è un po’ tutto qui, nelle reazioni di Dario e di Antonio.
Non so se sia il caso di scomodare l’arte, la sua interpretazione, la sua lettura, l’ispirazione poetica che sottende l’opera o la provocazione di un’artista, il suo stimolo alla riflessione, la sua voglia di trasmettere un messaggio. Forse, per cogliere l’emozione o lo spunto di riflessione di Stradarolo, basta guardare le cose con gli occhi di Dario, con la voglia di stupirsi, di giocare e di sognare: insomma alzare il ditino e dire “Guarda, le scarpe!”. Infatti non si può negare che l’impatto dell’installazione artistica di Stradarolo 2004 – realizzata dall’architetto-artista Gabriele Amadori e costituita da oltre 2000 paia di scarpe usate – sia davvero di grande effetto.
Un effetto che parte prima di tutto dall’emozione istintiva (e visiva) che nasce dal percorrere un paese disseminato da centinaia di scarpe. L’elaborazione razionale – e rigorosamente individuale – viene dopo. Dopo si pensa al tema tema della VIII edizione del festival dell’arte su strada, che è, guarda caso, “passi”. E cosa meglio di tutte quelle scarpe, provenienti da tutto il mondo, ognuna con la sua storia (piccola o grande che sia) da raccontare, poteva esprimerlo così compiutamente?
Basta chiudere gli occhi – no, non necessariamente su un passeggino – riaprirli e guardare le scarpe, che ci portano lontano (o vicino, non importa) a ripercorrere i passi di chi le ha indossate. Magari una donna rumena o un bambino spagnolo o un uomo messicano, o un vecchio finlandese (no, i finlandesi no, perché – ci hanno spiegato – loro le scarpe le consumano fino alla fine e non hanno scarpe vecchie).
Sono tutte lì, pronte a farci camminare con la fantasia, unite non solo da un filo metallico (quello serve per problemi gravitazionali) ma da un filo invisibile cha unisce un po’ tutti o chissà se tra quelle scarpe legate dallo stesso filo non ci fosse una scarpa israeliana e una palestinese, una irachena e una americana, una curda, ma forse questo non c’entra e si rischia di cadere nella retorica.
Invece merita attenzione la valenza fortemente evocativa del tema – passi – ossia del rapporto tra l’uomo e la terra attraverso quel gesto naturale e istintivo che è quello del camminare. E così, nella visione onirica di un paese che non c’è come Stradarolo – una comunità virtuale e magica, abitata da musica e poesia, vitale e effimera allo stesso tempo – le scarpe scandiscono i passi del visitatore lungo le vie, accompagnandolo, di volta in volta, a scoprire i giochi, gli spettacoli, gli eventi, gli incontri, fino ad arrivare, come Alice nel paese delle meraviglie, in un luogo surreale, in fondo ad una scalnata, dove sotto una pioggia battente, ci sono persone riunite intorno ad una enorme tavola rotonda di quattro metri.
Al centro della tavola, allestita con una tovaglia decorata a mano (anzi a piede, visto che le impronte raffigurate sono state lasciate da alcuni bambini che hanno passeggiato sulla tovaglia con i piedini imbrattati di vernice), sbuca (da un buco, appunto) l’incantatore (al secolo Massimo Pasquini), che è colui che incanta con i passi, ma anche quello che i passi li vende all’incanto.
Attorno al tavolo ci sono vecchie e nuove glorie del calibro di Ricky Gianco, Francesco Di Giacomo e Sergio Endrigo, che mettono all’asta un pezzo della propria storia artistica o personale (che spesso coincidono). Qualcuno cede un vinile ormai introvabile, qualcuno un quadro, qualcuno un paio di scarpe da ciclista (sì, scarpe, ancora scarpe, inesorabilmente scarpe) che hanno attraversato lontani paesi africani con l’obiettivo di portare acqua a chi ne ha bisogno. Tutti oggetti rigorosamente inutili, che però attirano l’interesse del coraggioso pubblico (visto che non smette di piovere) che si sbizzarrisce in sconsiderati rilanci per impadronirsi del “passo” in vendita. Forse non bisognerebbe dirlo, in fondo è inelegante, ma il ricavato dell’asta andrà a favore della scuola del mercato di San Roque-Quito, in Ecuador dove, grazie a Terre des Hommes, viene insegnata anche la lingua Quechua.
Per la cronaca la tavola verrà recuperata, dotata di gambe della medesima lunghezza e destinata ad uso conviviale, Pasquini è uscito dal buco e adesso fa gli acquisti su E-bay e Dario ricorda ancora perfettamente quel momento irripetibile in cui le scarpe volavano nel cielo. Antonio? Beh, il pensiero di Antonio è rimasto quello: “Che stronzata!”. E chissà che, in fondo, non abbia ragione lui.

1 commento:

  1. bella la storia, ma antonio è proprio stronzo come i fascistelli di quel paese che non parlano altro che di calcio, ma che anche di quello non sanno proprio nulla.

    un tifoso della poesia e della cultura

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