12 novembre 2025

 

 Le parole proibite


Che teneri i fascioleghisti. Sono geneticamente allergici alle regole e tendono a violarle o ad aggirarle con grande disinvoltura e non a caso difendono gli evasori fiscali, gli stupratori, gli occupanti abusivi e violenti di immobili pubblici, però quando sono al potere fanno di tutto per imporre al resto del mondo il loro modo – distorto, di norma – di vedere le cose. E così prescrivono divieti, inventano reati, promulgano disposizioni restrittive senza né capo né coda, ma con l’unico obiettivo di affermare il proprio controllo.

Hanno anche poca memoria, perché il ridicolo divieto di utilizzare termini come “burger vegano”, riporta alla memoria l’altrettanto ridicolo tentativo – e infatti naufragato disastrosamente, come tutto il fascismo peraltro – di vietare termini “stranieri” in nome di una non meglio precisata purezza dell’italica lingua. Come se l’italiano non fosse già il frutto di una straordinaria contaminazione di decine di altri idiomi, ma soprattutto come se non fosse una lingua “viva” e come tale vitale, dinamica, pronta al cambiamento e allo scambio (e arricchimento) con altre culture. La sola idea di “congelarla” con una disposizione imperativa è tanto orwelliana quanto patetica.

Tra l’altro, sul piano squisitamente linguistico, non è chiaro per quale motivo alcuni termini usualmente riferiti ai cibi di origine animale debbano essere blindati in un significato comunque acquisito successivamente. Pensiamo a burger, che viene da hamburger, che a sua volta deriva dalla città di Amburgo, perché riferito alla "Hamburg steak" (bistecca di Amburgo), una preparazione di carne tritata che gli immigrati tedeschi portarono negli Stati Uniti nel XIX secolo. E tra l’altro, a voler fare i precisini a tutti i costi, bistecca a sua volta deriva da “beef steak” (fetta di manzo) e con un’applicazione rigida del principio di purezza sarebbe improprio anche semplicemente parlare di bistecca di maiale.

Quanti termini o locuzioni potrebbero diventare improvvisamente vietati in base a questa visione ottusa? Pensiamo al latte di soia, al salame di cioccolato, alla colomba o, sempre rimanendo in cucina, alla friggitrice ad aria, che certamente non “frigge” le pietanze. Siamo pieni di termini che si trasformano e cambiano di significato e gli stessi piatti tipici sono soggetti a cambiamenti in base al gusto e alle abitudini e nessuno si scandalizza.

Ma sappiamo bene che in politica conta soprattutto il messaggio, non certo il diritto. E il messaggio la maggioranza di destra l’ha dato con la patetica approvazione della legge 1 dicembre 2023, n. 172, la quale, all’articolo 3, cerca di vietare l’uso delle denominazioni riferite alla carne per i prodotti vegani. Ovviamente questo tentativo fallirà, così come era fallito il diktat (termine straniero) della legge fascista 23 dicembre 1940, n. 2042, “Divieto dell'uso di parole straniere nelle intestazioni delle ditte e nelle varie forme pubblicitari” - che aveva raggiunto vette inarrivabili di comicità con termini imposti come “bevanda arlecchino” al posto di cocktail, "mescita" al posto di bar e “pallacorda” al posto di tennis. Peccato che la gente abbia continuato tranquillamente a giocare a tennis e a bere cocktail al bar. L’unica differenza è che almeno i fasci del secolo scorso la norma avevano provato a scriverla. Quelli di oggi hanno solo detto che lo faranno, ma la legge è del dicembre del 2023 e il decreto attuativo (previsto entro sessanta giorni dalla sua entrata in vigore) è ancora nei cassetti del Ministero. Non vorrei essere nei panni dei poveri funzionari ministeriali che dovranno proibire l’agnello di marzapane.

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