31 marzo 2013

E ho detto tutto


“Il Governo Monti non è stato sfiduciato”.  Con questa inattaccabile affermazione il capo dello Stato ha motivato e giustificato una singolare quanto inedita revisione del quadro istituzionale e costituzionale. E, a quanto sembra, ha messo d’accordo tutti. Gli stessi che fino a poche ore prima bollavano come assurda l’idea di Grillo di mantenere in vita il Governo Monti, adesso giudicano ragionevoli e illuminate le scelte di Napolitano. Che il Governo Monti mantenga – pur con funzioni limitate all’ordinaria amministrazione – il proprio ruolo fino alla nomina di un nuovo esecutivo è cosa nota. Ma è, in tutta evidenza, una situazione di grande precarietà e che deve essere risolta in tempi rapidi, o attraverso la formazione di un nuovo governo (nel caso in cui ci si trovi di fronte ad una crisi superabile in Parlamento) o attraverso lo scioglimento delle camere e l’indizione di nuove elezioni.
Cosa dice invece Napolitano? Che non ci sono le condizioni per mettersi d’accordo, che lui non si dimette – mentre sarebbe utilissimo eleggere in tempi brevi un presidente della Repubblica nel pieno esercizio delle proprie funzioni  e che quindi possa sciogliere le camere – e che si inventa un’operazione del tutto assente dalla prassi istituzionale e che sembra destinata a mantenere artificiosamente in vita un governo non solo dimissionario, ma sfiduciato nei fatti. E’ ipocrita, infatti, aggrapparsi al solo aspetto procedurale, dimenticando che: Monti si è dimesso a seguito delle affermazioni del segretario PDL che annunciava di negargli la fiducia;  Monti da governo tecnico si è trasformato (pur legittimamente) in contendente politico; durante la campagna elettorale PD e PDL (che avevano sostenuto il governo Monti) hanno preso in modo netto le distanze dall’esecutivo dimissionario. Senza contare che la coalizione di Monti alla prova elettorale ha preso appena 10 per cento.
La “soluzione” di Napolitano non è solamente debole sotto il profilo costituzionale, ma è del tutto irragionevole sul piano della politica. Vengono nominati dieci presunti saggi, sulla base delle personalissime valutazioni del presidente della Repubblica. Tutti uomini ed è già piuttosto avvilente. Più o meno tutti fanno riferimento all’area dell’ex (ma rivitalizzato d’imperio) governo Monti. Più che un’operazione di transizione, sembra una sorta di restaurazione. E preoccupa non poco l’apprezzamento diffuso – persino tra i cinque stelle, a leggere i media – per l’audace invenzione, che viene spacciata per riappropriazione del ruolo del Parlamento, ma che, nei fatti, ne rappresenta un indebolimento. La già minata credibilità delle istituzioni rischia di ridimensionarsi ulteriormente agli occhi dei cittadini che faticano a comprendere i bizantinismi che si nascondono dietro all’incomprensibile discorso del Presidente della Repubblica, proprio in un momento in cui servirebbe la massima chiarezza.


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