28 maggio 2012

Libri, fogne e sciatteria dilagante


La cultura. Una bella parola, da infilare un po’ dappertutto. Nei discorsi istituzionali. Nei programmi. Nelle manifestazioni. La si butta là, così, per dare un tono all’ambiente. Come il famoso tappeto di Drugo de “Il grande Lebowsky”. Col rischio che qualcuno ci faccia la pipì sopra. Sempre come il famoso tappeto di Drugo.
Cultura, per un piccolo paese, vuol dire anche biblioteca. Anche questa è una parola che può essere svuotata di ogni significato e utilizzata a casaccio, come hanno fatto i governanti labicani negli ultimi cinque anni. Dopo aver chiuso una biblioteca esistente e funzionante, infatti, i nostri saggi amministratori hanno ammucchiato il piccolo patrimonio culturale del nostro paese (centinaia di libri tra acquisti e donazioni) in qualche scantinato, lasciando che l’incuria e l’umidità ne compromettessero irrimediabilmente lo stato di conservazione. E qui non c’è nemmeno da scoprire chissà quale trama oscura finalizzata a trarre indebiti vantaggi dalla gestione della cosa pubblica. In questa circostanza la protagonista di questa misera vicenda è una sola: la sciatteria. Non c’è disonestà, non c’è malizia, non c’è furbizia, solo sciatteria. In fondo, cosa importa se si butta via l’enorme e non commensurabile valore che possono avere dei libri. Tanto si ricomprano - coi soldi pubblici, neanche a dirlo - come hanno fatto due anni fa per dei libri che nessuno ha mai potuto vedere. Cosa importa se alcuni libri avevano un valore storico e non potranno mai più essere ricomprati. Sta di fatto che, dopo qualche anno di abbandono, si è deciso di mandare al macero una grande quantità di libri. Per non lasciare nulla di intentato – come associazione culturale Labicocca - ne abbiamo fatto richiesta, in modo da cercare di salvare il salvabile e rimetterli a disposizione della collettività. Ce li siamo caricati e li abbiamo portati a casa, dove, con molta pazienza, abbiamo cercato di selezionare quelli che muffa e umidità non avevano compromesso irrimediabilmente. Per farlo li abbiamo sistemati nell’unico spazio disponibile: il garage, che era diventato un piccolo laboratorio di restauro librario.
Purtroppo, nemmeno così, quei poveri libri sono stati tratti in salvo dalla malamministrazione labicana. Stavolta, però, non per sciatteria. Non solo quella, almeno. Qui si aggiunge la mission, la vera ragione sociale di questa amministrazione, che è anche la cancrena della nostra comunità: favorire la speculazione edilizia.  Il miglior modo per lucrare sullo sviluppo urbanistico è quello di costruire case di modesta qualità, risparmiando su qualunque onere (come le opere di urbanizzazione) da vendere a prezzi di mercato in tempi rapidissimi. Per fare questo ci vogliono amministratori compiacenti: che non si preoccupino di verificare se gli immobili siano a norma, se siano stati realizzati gli impianti fognari, dividendo, come stabilisce la normativa vigente, le acque chiare dalle acque scure; che chiudano un occhio – e forse due – sulla mancanza di un requisito essenziale di ogni immobile destinato ad uso abitativo, la certificazione di agibilità; che ignorino le segnalazioni su irregolarità e abusi; che, insomma, si preoccupino più degli interessi dei costruttori che dei diritti dei cittadini. E così, ancora una volta, a Labico è successo quello che succede nei paesi del terzo mondo. Basta un forte acquazzone. Con l’acqua che, anziché essere incanalata in una rete autonoma e convogliata direttamente verso un corpo idrico, viene buttata prima nelle condotte fognarie, la cui rete è stata manipolata, modificata, alterata – anche ostruendo illecitamente pozzetti di ispezione - in ogni modo ed in ogni momento sulla base, non  certo di una sua efficacia funzionale, ma delle esigenze dei costruttori. Non è necessaria una laurea in ingegneria idraulica per capire che, in questo modo, basta un flusso abbondante per mandare in tilt il sistema. L’acqua, mischiata ai liquami fognari, aumenta la pressione e fuoriesce al primo punto debole della struttura: una guarnizione, un tombino, un pozzetto. Qualche volta si infiltra semplicemente nel terreno, altre volte sgorga copiosa e impetuosa ad inondare case e pertinenze, come il nostro garage.  Senza alcuna pietà per i libri che qualcuno aveva cercato di sottrarre all’incuria, ma che, per la stessa incuria (ironia della sorte), hanno fatto una brutta fine. Come il tappeto di Drugo. Nel suo caso però era solo pipì. Gli antichi libri labicani, invece, hanno fatto proprio una fine di merda.

Rosanna Palazzi e Tullio Berlenghi

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