30 gennaio 2006

Abusivismo edilizio. Dalla parte della legge

Ho la strana e sgradevole sensazione che sulla questione dell’abusivismo edilizio venga utilizzata una chiave di lettura fuorviante, anche se figlia di una cultura dell’illegalità purtroppo molto diffusa.
Partiamo da un presupposto incontrovertibile: l’edificazione in assenza delle prescritte autorizzazioni e licenze edilizie è illegale e, come tale, punita dalla legge. Chi lo fa sa di commettere un abuso e di correre il rischio di vedersi bloccati i lavori. E’ altrettanto evidente che chi costruisce illegalmente punta su due fattori: la frequenza di provvedimenti di sanatoria varati da governi disposti a tutto pur di fare cassa e la facilità con cui la stragrande maggioranza delle amministrazioni comunali tende a chiudere un occhio (se non due) sugli abusi commessi sul proprio territorio; magari per la preoccupazione che eventuali interventi per il ripristino della legalità possano comportare un calo dei consensi. In pratica chi costruisce una casa abusiva ritiene – a buon ragione peraltro – che ci siano ottime probabilità di farla franca. Un po’ come l’automobilista che percorre indisturbato la corsia preferenziale mentre gli altri sono pazientemente in coda. Lo fa pensando che le probabilità che venga fermato (e multato) sono piuttosto basse, ma se ciò avviene si ritiene vittima di una profonda ingiustizia.
Molto raramente gli abusi edilizi sono veri abusi “di necessità”. La cosa più frequente è la vera e propria speculazione edilizia. Spesso e volentieri a carattere familiare, come, ad esempio, il padre che trasforma il vecchio tinello nella zona agricola in villetta bifamiliare per garantire un tetto ai propri due figli. Il proposito è senza dubbio lodevole: quello che non va è la scorciatoia del mancato rispetto delle regole di civile convivenza.
Ciò che preoccupa è la mancanza di percezione dell’illegalità per quanto riguarda gli abusi edilizi. Molti di coloro che edificano abusivamente non pensano di fare qualcosa di sbagliato. E le stesse persone che hanno costruito immobili successivamente sanati sono pronte a protestare quando nuovi abusi (fatti da altri) possano in qualche modo danneggiarli. C’è sovente un atteggiamento miope ed egoistico e manca sostanzialmente il senso della collettività, il rispetto delle regole e degli altri e l’intervento dell’autorità giudiziaria viene visto come una ingiusta ingerenza.
Il fenomeno dell’abusivismo edilizio però andrebbe analizzato nella sua complessità e non attraverso la lettura – parziale - del caso singolo, nei cui confronti spesso viene naturale e quasi comprensibile un atteggiamento giustificatorio. Il fenomeno va letto in misura più ampia soprattutto per le conseguenze che porta all’intero territorio e alla comunità che ne pagherà i costi. Serve cioè la consapevolezza che chi costruisce una casa abusiva contribuisce ad alterare profondamente l’equilibrio territoriale, sociale ed economico (quanta economia agricola è andata in fumo per le speculazioni edilizie), comporta inevitabili conseguenze ambientali e paesaggistiche, rende necessarie opere di urbanizzazione primaria e secondaria che verranno sostenute dall’intera collettività, concorre alla formazione del fenomeno della “residenzalità diffusa”, rendendo pressoché impossibile una programmazione urbanistica coerente ed omogenea.
L’adozione di provvedimenti di sanatoria poi realizza una profonda ingiustizia, poiché comporta una sorta di premio per chi ha violato la legge e, qualora l’amministrazione comunale decida di attuare un piano di recupero, rischia di penalizzare chi la legge l’ha rispettata, magari attraverso l’esproprio di terreni necessari a realizzare servizi e strutture di pertinenza della zona sanata (e quindi a beneficio dei “trasgressori”). Oltre al danno quindi la beffa. Non stupisce pertanto che anche chi non aveva costruito in passato decida di farlo, considerandolo un diritto dovuto, visto che “così fan tutti”. I sindaci in questo caso se ne lavano le mani e spetta alla magistratura l’ingrato compito di sanzionare gli abusi, sapendo comunque di dare vita ad un’iniquità. E, d’altronde, non sanzionarli sarebbe un’omissione. Neanche una nuova sanatoria risolverebbe il problema perché darebbe vita a nuove aspettative, in una spirale perversa da cui sembra difficile trovare una via d’uscita.
Purtroppo non c’è soluzione. Se non quella di partire dalla consapevolezza di aver avallato in questi anni tante ingiustizie e tante regalie ai furbi della prima (e della seconda e della terza) ora, facendo pagare lo scotto agli onesti e ai furbi della quarta ora. Il Governo Berlusconi dopo il varo di ogni sanatoria ha sempre dichiarato che dall’indomani le violazioni urbanistiche non sarebbero più state tollerate e che avrebbe dato alle amministrazioni gli strumenti adeguati per difendere il territorio. Invece ha adottato la tecnica “Prendi i soldi e scappa”, lasciando i comuni – ma non per questo incolpevoli – a gestire in piena solitudine un fenomeno che ha radici profonde nella forma mentis dell’arbitrarietà, così diffusa e così perniciosa. E all’inerzia – se non alla connivenza - dei comuni difficilmente potrà far fronte l’impegno e il coraggio della magistratura, il cui intervento, pur se impeccabile sotto il profilo giuridico, quando non cade nell’indifferenza, diventa impopolare. E mentre l’impopolarità si spiega con l’interesse leso, l’indifferenza spaventa molto di più, visto che è il sintomo di una seria patologia sociale: la mancanza di un sentimento di appartenenza ad un organizzazione sociale. In pratica: la mancanza di senso civico.

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