11 agosto 2004

La festa è finita - Richard Heinberg

La festa è finita
Richard Heinberg
Fazi Editore – 18.50 €



Con apprezzabile tempismo è uscito “La festa è finita”, il saggio con il quale Richard Heinberg ci mette in guardia sulla incombente scarsità di petrolio, con la quale noi o – al più tardi – la prossima generazione dovrà fare inesorabilmente i conti.
E’ molto interessante la prima parte del libro, nella quale l’autore si sofferma in una lunga premessa con la quale spiega l’importanza del ruolo dell’energia nella nostra vita quotidiana e quanto sia stata la disponibilità dell’energia – più di ogni altro fattore – l’elemento essenziale di tutto il nostro progresso e dell’incredibile salto di qualità del nostro stile di vita e – ahinoi – dei nostri consumi. E, dopo un periodo durato migliaia di anni, durante il quale i progressi dell’umanità si registravano costantemente, ma con tempi “umani”, negli ultimi 150 anni, ossia da quando l’umanità ha cominciato a disporre di energia a basso costo, si è verificata una crescita esponenziale della qualità e quantità di tutte le attività antropiche. Di pari passo anche l’innovazione tecnologica è cresciuta in modo vertiginoso e il binomio energia-tecnologia ha avuto effetti dirompenti sulle nostre esistenze, portando tutti noi – ci ricorda l’autore – a disporre di energia equivalente al lavoro di 50 persone. Un piccolo esercito di collaboratori virtuali, al nostro servizio 24 ore su 24, 365 giorni all’anno. Un lusso ormai diffuso in tutto il mondo occidentale e che sino all’inizio del secolo scorso potevano permettersi davvero in pochi.
Con questa doverosa premessa il punto è, si chiede Heinberg, per quanto tempo potremo disporre di tutta questa energia, facile da usare e a basso costo? Le risposte che ci verranno date saranno diverse a seconda degli interlocutori presi in considerazione. Gli economisti, dei quali l’autore diffida, sono ottimisti per definizione e pensano che la risposta positiva la darà il mercato. Quando il petrolio costerà troppo il mercato (con l’ausilio della tecnologia) individuerà un prodotto più adatto alla bisogna e noi potremo continuare a mantenere i nostri livelli di consumo. I politici – che hanno il problema di ottenere il consenso – tenderanno a dare ragione agli economisti e non faranno nulla, soprattutto nulla di impopolare, per invertire la rotta, lasciando ad altri questa pericolosa bomba innescata. Tralasciando le considerazioni degli ambientalisti, verso i quali però Heinberg dimostra di nutrire il massimo rispetto, ma che sono in ogni caso contrari all’attuale modello di sviluppo e quindi considerano il probabile esaurimento delle risorse come un monito a cambiare strategie e livelli di consumo, la voce a cui Heinberg tende a dare più credito è quella degli “addetti ai lavori”, ossia i geologi, che sono quelli che meglio di chiunque altro sono in grado di capire e di prevedere se e quanto petrolio potrà ancora essere estratto a costi energetici vantaggiosi (è ovvio che il giorno che per estrarre un barile di petrolio avrò bisogno di utilizzarne l’equivalente quel pozzo lo potrò considerare esaurito). E i geologi sono stati sufficientemente chiari: la produzione di petrolio raggiungerà il massimo nell’intervallo compreso tra il 2010 e il 2020. A quel punto la curva di Hubbert – dal nome del geofisico Marion King Hubbert, che per primo aveva elaborato una previsione sull’andamento dei consumi petroliferi mondiali – sarà costretta necessariamente a scendere e questo comporterà conseguenze facilmente immaginabili sui mercati e sulle produzioni. Il prezzo del greggio a quel punto potrà solo salire perché non sarà possibile calmierare il mercato con l’aumento della produzione e altri inquietanti scenari potrebbero aprirsi e le guerre per il petrolio (magari sbandierate come lotta al terrorismo o difesa della democrazia) diventare ancora più frequenti.
Heinberg ha tutta l’aria di essere una persona concreta, uno studioso, uno che guarda con attenzione dati e cifre ed è ben lontano dall’atteggiamento di chi punta all’effetto panico delle teorie del catastrofismo. Heinberg ci porta semplicemente a conoscenza della situazione e ci spiega perché, a suo avviso, le convinzioni degli ottimisti – come Bjorn Lomborg, l’ambientalista scettico che sposa in toto le teorie degli economisti, minimizzando i pericoli di un’incombente calo di produzione e ipotizzando comunque una risposta immediata del mercato dell’energia – siano poco realistiche. E lo fa senza retorica e senza prosopopea, ma semplicemente facendo ricorso a dati, studi e ricerche, innaffiate con tanto sano buonsenso, ché non si può pensare che le scoperte di nuovi giacimenti possano continuare ad avvenire col ritmo della seconda metà del secolo scorso. E non è un caso infatti che di nuovi giacimenti se ne scoprono sempre meno, sempre più piccoli e con un “EROREI” (il rapporto tra energia investita ed energia restituita) sempre più basso. Forse, anche alla luce del prezzo del greggio in continua ascesa – pur se con dinamiche lievemente più complesse del semplice legame con l’avvicinarsi del picco della curva di Hubbert -, converrebbe tenere conto dell’avvertimento di Heinberg: la festa è davvero finita.

Tullio Berlenghi

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