L’argomento è delicato. Come
sempre avviene quando i diritti entrano in rotta di collisione. La libertà di
stampa (o di opinione) che entra in conflitto con il diritto alla riservatezza
o alla tutela della propria reputazione. Il caso Sallusti sta facendo molto
scalpore. Cerchiamo di capire perché.
Nel merito Sallusti è accusato di
“omesso controllo” su un orrendo articolo nel quale si attribuiva – mentendo –
ad un giudice la responsabilità di un aborto di una tredicenne e veniva
auspicata la pena di morte per quel giudice (nonché per i genitori della
ragazza e per il medico). Il giudice si è ritenuto, comprensibilmente,
diffamato dall’articolo e ha sporto querela.
Nel merito nessuno se la sente di
prendere le difese di Sallusti. Erano talmente odiose le affermazioni
dell’articolo da renderlo indifendibile. In compenso è partita la corsa alla
difesa dei principi, in primo luogo quello della libertà di opinione. A parte
il fatto che dire una falsità non è esattamente un’opinione, ma una balla, è
impressionante la forza di fuoco dei difensori di Sallusti, che vede uniti
politici di sinistra e di destra. I primi per coerenza e i secondi per
convenienza, visto che Sallusti è la classica voce filoberlusconiana. L’esercito
innocentista assolda anche gran parte dei giornalisti, compresi gli antagonisti
di Sallusti, come Marco Travaglio, che snocciola una tesi molto ben articolata,
con cui afferma – in buona sostanza –che non ci può essere carcere per le
opinioni, ma solo – al limite – corpose sanzioni economiche. In pratica da due
potenti caste del paese si è levata una voce sola a difesa del “martire”
Sallusti, vittima di una legge liberticida ed ingiusta.
Ora, premesso che, al di là del
merito di questa sentenza, sarebbe comunque utile sapere se c’è un limite alla
menzogna e all’insulto e, in tal caso, quale sia (così, giusto per regolarsi),
faccio un’altra considerazione. Lo stimato – e facoltoso – Sallusti oltre ad
avere le spalle ben coperte dal proprio editore, si è ritrovato anche una
straordinaria cordata di solidarietà in difesa del suo diritto di “opinione”.
Va sottolineato che il diritto “leso” non sarebbe quello di cronaca, perché
nessuno ha avuto il coraggio di definire cronaca le stupidaggini scritte
nell’articolo, ma di opinione, ottenendo così l’effetto di far sembrare questa
condanna un attentato alle libertà individuali.
Cosa succederebbe, invece,
qualora venissi condannato io per analoghe fattispecie di reato? Sono stato
oggetto, negli ultimi anni, di una denuncia per “stampa clandestina”
(incredibile a dirsi, ma esiste ancora, nel nostro ordinamento, questa legge
fascista), una querela per diffamazione e una richiesta di risarcimento in sede civile, sempre per diffamazione. La mia “colpa” è quella di portare avanti una
battaglia contro il potere (piccolo nel mio caso, ma pur sempre potere) della
speculazione, del cemento, delle clientele. Ed ecco che gli strumenti di tutela
della legalità diventano una potente arma contro chi quella legalità vorrebbe
pienamente garantita e per questo si batte. Dubito che i vari Cicchitto,
Gasparri, Schifani si straccerebbero le vesti in un’aula parlamentare in difesa
della mia libertà di opinione e del mio diritto di critica politica. Dubito
anche che lo stesso Travaglio e il mondo
del giornalismo si preoccuperebbero per le mie sorti.
Supponiamo, però, che passi il –
in parte ragionevole – principio secondo il quale il carcere è sempre una pena
troppo dura per avere espresso il proprio pensiero: si creerebbe un meccanismo
odiosamente iniquo. A fare la differenza saranno i soldi: chi ne avrà in
abbondanza potrà offendere o diffamare chiunque (o pagare qualcuno per farlo),
con la consapevolezza di dover sostenere un prezzo esclusivamente finanziario.
Una sorta di investimento, a fronte del quale magari potrà rafforzare o aumentare
il proprio potere. Non è un caso che proprio i politici siano così fecondi
nella produzione di querele. Chi non se lo potrà permettere, sarà costretto a
rinunciare alle proprie battaglie ed alle proprie idee. Troppo costose in uno
stato di diritto, in cui anche le opinioni diventano soggette alla legge del
mercato.
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