21 febbraio 2014

Sliding doors

In occasione del flash mob di San Valentino, l'associazione "Socialmente donna" di Labico mi ha chiesto di raccontare le storie (vere) di due donne vittime di violenza. Questa è la seconda. Purtroppo anche in questo caso il racconto si basa sulla realtà.

Questa è una storia “sliding doors” - citando il film nel quale il destino della protagonista dipende dal fatto di riuscire o meno a prendere una metropolitana - il cui sviluppo è condizionato dalle porte scorrevoli del fato, un fato che, in questo caso, si chiama giustizia. Pensate: dal funzionamento della giustizia può dipendere la vita e il destino di una persona. La persona in questione si chiama Giovanna e ci racconta la sua storia.

Ho conosciuto Antonio nove anni fa. C’è voluto poco perché iniziassimo a vederci, a frequentarci, insomma perché iniziasse una “storia”. C’è voluto poco per decidere anche di andare a vivere insieme.  E c’è voluto poco, purtroppo perché Antonio cambiasse, a cominciare dai modi, divenuti improvvisamente sgarbati, volgari, offensivi. Così come è scomparsa la gentilezza, e sono apparsi l’uso irrinunciabile dell’imperativo – nel modo e nel tono – e l’indifferenza. Poi sono arrivate le parole. Dure come pietre, taglienti come lame. Non serve la violenza a provocare il dolore. Spesso bastano le parole.
E ci si inizia a sentire sole e inadeguate. Si comincia a percepire la propria casa come un ambiente ostile. Però anche questo segnale non è sufficiente. Pensi: è solo un momento; forse sono io ad irritarlo, dovrei essere più comprensiva. Alla fine però, come se non bastasse, arrivano anche le botte. Senza una ragione plausibile. Arrivano e basta. E, nonostante tutto, pensi ancora che le cose possano cambiare. Che magari tra un’ora, o domani, o la settimana prossima tornerà tutto “normale”, senza renderti conto che in realtà la normalità è proprio quella. E che l’unica possibilità è quella di voltare pagina, fuggire.
Del resto non potevo neppure contare sulla solidarietà femminile dell’altra donna che viveva con noi, la madre di Antonio. Per lei, evidentemente, non ero all’altezza del figlio e non faceva nulla per nascondere il suo disprezzo e rendere più mortificanti le umiliazioni che ero costretta a subire. In qualche modo è stata lei a darmi l’opportunità di fuggire, cacciandomi in malo modo da casa al termine dell’ennesimo, futile, episodio di prevaricazione.
Quando mi si è chiusa quella porta alle spalle ho capito che la mia vita non poteva essere lì dentro. Non era vita quella e, soprattutto, non era mia. Non è facile allontanarsi dal proprio figlio, ma la mia disperazione era tale da non permettermi altra scelta. E poi io credevo nella giustizia. Avevo raggiunto la consapevolezza dei miei diritti e non intendevo rinunciarvi. Avevo diritto alla mia vita, alla mia dignità, alla mia libertà e, soprattutto, a mio figlio.
Ero orgogliosa della mia decisione. An che se piena di paura e di incertezza sapevo di fare la cosa giusta. Sono andata in un centro antiviolenza dove mi hanno accolta e aiutata. E’ stato importantissimo e mi ha fatto tornare un po’ di fiducia e di speranza. Purtroppo non riuscivo a vedere mio figlio, nonostante ne avessi il pieno diritto. Eh sì, perché ho scoperto sulla mia pelle che avere un diritto e poterlo esercitare non è esattamente la stessa cosa.
L’uomo che mi ha ferita e umiliata per anni ha pensato bene di usare la più subdola delle rappresaglie per avere osato ribellarmi e fuggire: impedirmi di vedere il mio bambino. Ma io avevo fiducia nella giustizia, e con l’aiuto del centro antiviolenza, ho chiesto alle “autorità competenti” di garantire il diritto mio e di mio figlio. Purtroppo la giustizia non sta funzionando bene. Attendo invano da  mesi senza poter riabbracciare il mio bambino. C’è qualcosa che non funziona se la burocrazia statale favorisce gli aguzzini e punisce le vittime. Io e Marco siamo indubbiamente le vittime, ma siamo stati fagocitati in una procedura di difficile comprensione. Lo psicologo ha anche detto che era necessario “preparare il bambino all’incontro con la madre”.  Un incontro che comunque non è stato possibile perché il padre – l’autore delle violenze – si è opposto. A nulla sono serviti i tentativi di contattarlo direttamente, chiamandolo e mandandogli degli sms in cui cercavo di fargli capire che il suo comportamento penalizzava non solo me, ma anche nostro figlio.
In quei lunghi mesi ho fatto decine di telefonate, ore di anticamera negli uffici dei servizi sociali. Il clima che si è creato mi sta dando la sensazione di essere io il problema. In fondo per gli impiegati degli uffici sembro essere una scocciatura… Alla fine, però, su suggerimento delle persone a cui mi sono affidata, ho deciso di denunciare mio marito per sottrazione di minore. Ora spero che la magistratura si muova in tempi rapidi e mi renda giustizia…

Fermiamoci qui. Questa è la storia di Giovanna ad un certo punto. Se la giustizia funzionerà come si deve, Giovanna potrebbe uscire dall’incubo della violenza, riabbracciare il figlio e ricominciare una vita serena. Ma se la giustizia non dovesse funzionare? E se Giovanna dovesse perdere la fiducia e rinunciare all’affermazione dei propri diritti? Che storia ci racconterebbe Giovanna? La stessa, almeno fino ad un certo punto? O? Sentiamo questa Giovanna che ci racconta la sua storia.

Anche io ho conosciuto Antonio nove anni fa. In effetti c’è voluto poco perché iniziassimo a vederci, a frequentarci, insomma perché iniziasse una “storia”. Certo, c’è voluto poco per decidere anche di andare a vivere insieme. Sì, in effetti, anche il mio Antonio è diventato un po’ più intrattabile. Qualche volta forse non troppo gentile, ma con tutti quei pensieri, poverino. Sì, anche qualche parolaccia, ogni tanto. Ma chi non le dice al giorno d’oggi?.
Comunque mi sono sentita un po’ a disagio. Forse ho dato peso a cose non troppo importanti. D’altronde pensavo: “magari è solo un momento; forse sono io ad irritarlo, dovrei essere più comprensiva”. Nel frattempo, era nato Marco, il mio, il nostro bambino. Ecco, qualche volta mi ha picchiata, non so perché, forse era un periodo difficile per lui. Nonostante qualche episodio, ero certa che le cose sarebbero cambiate e che, presto o tardi, sarebbe tornato tutto normale.
Sì, ho avuto anche qualche problema con la madre di Antonio, ma anche quella è una cosa a cui ho dato troppa importanza. Le liti tra nuora e suocera sono all’ordine del giorno e non è che si lascia il marito per quello. Certo, probabilmente, per lei non sono all’altezza del figlio e non ha mai fatto nulla per nasconderlo. Ma come mi comporterò io quando Marco avrà una moglie? In ogni caso è stato proprio un litigio con mia suocera a farmi commettere l’errore di andarmene da casa.
Quando mi si è chiusa quella porta alle spalle ero quasi convinta che la mia vita non poteva essere lì dentro. Ero addolorata e sconvolta, al punto da abbandonare mio figlio. Fuori da lì ho conosciuto delle persone che dicevano che mi avrebbero aiutato e mi hanno detto che dovevo credere nella giustizia e che avevo diritto alla mia vita, alla mia dignità, alla mia libertà e, soprattutto, a mio figlio.
Belle parole, le loro. Ero persino orgogliosa della mia decisione. Anche se piena di paura e di incertezza ero convinta di fare la cosa giusta. Mi hanno accolto al centro antiviolenza dove mi hanno incoraggiato ad intraprendere le vie legali, sia nei confronti di Antonio, sia con l’obiettivo di poter riabbracciare mio figlio, che da quel momento non ho più visto.
Sono passati giorni, sono passate settimane, sono passati mesi. Ma io continuavo a non poter vedere mio figlio. Mi sono sentita sola.  Ho fatto decine di telefonate, ore di anticamera negli uffici dei servizi sociali. Il clima che si era creato mi dava la sensazione di essere io il problema. In fondo per gli impiegati degli uffici ero una scocciatura… Ancora una volta ho dato retta alle persone che mi stavano “aiutando” e ho denunciato Antonio per sottrazione di minore, con la sicurezza – dicevano – che in quel modo si sarebbe risolto tutto in fretta.
E invece sono trascorsi altri lunghi mesi senza poter vedere mio figlio e in me, piano piano, è iniziato il dubbio di aver sbagliato. Forse aveva ragione mio marito a dirmi di non andare via da casa. In fondo la cosa più importante per me è Marco. Tutto il resto non conta. Non può essere più importante.
Alla fine ho chiamato Antonio. Mi ha detto che posso vedere mio figlio. Devo solo smettere di incaponirmi con questa storia. Forse davvero ho un po’ esagerato. Ho tolto il mandato all’avvocato, una donna.

Sono a casa mia adesso. Con mio figlio. Questo è l’importante. Se sono felice? Adesso non mi picchia più. Certo, non dimentica di farmi notare quanti problemi abbiamo avuto per le mie ubbie… ma non mi picchia. Felice? Beh. Ho mio figlio, l’amore della mia vita. E lui? Lui un po’ è cambiato. Sì, mi fa sempre un po’ paura. Quando si ammutolisce di colpo e capisco di aver detto o fatto qualcosa di male… ma adesso si limita a urlare o a farmi rimanere male… Felice? Oddio felice… chi può dirsi felice? Mi accontento, ecco, sì, mi accontento. E poi, avevo un’alternativa?

16 febbraio 2014

Se questo è un uomo

In occasione del flash mob di San Valentino, l'associazione "Socialmente donna" di Labico mi ha chiesto di raccontare le storie (vere) di due donne vittime di violenza. Questa è la prima delle due. Gli unici elementi di fantasia sono i nomi dei protagonisti. Tutto il resto è drammaticamente vero.

Se questo è un uomo

I segnali. Bisogna saper cogliere i segnali. Spesso arrivano presto, prestissimo, ma non si riesce a dare loro la giusta importanza. In fondo, abbiamo sempre bisogno di dare fiducia alle persone e forse è giusto che sia così. Però i segnali non andrebbero ignorati del tutto.
Certo, all’inizio va sempre tutto bene. Conosci una persona, decidi che ti piace. Chissà poi perché proprio quella persona. Però ti piace e anche a lui tu piaci. Te ne accorgi da come ti cerca, da come ti guarda, dalle parole gentili nei tuoi confronti. Questa è una fase in cui i segnali non ci sono e, se ci sono, non è facile decifrarli. Ma è anche una fase – intensa, bella, appagante – destinata, prima o poi, a far posto alla “normalità”. Ad un rapporto -  come si dice? – stabile. Magari rafforzato dalla decisione di vivere insieme per condividere tutto. Quello è il momento in cui è difficile sembrare diversi da come si è in realtà. Si inizia a giocare a carte scoperte. I segnali, a questo punto, diventano sempre più evidenti. Il rispetto che si deve ad ogni essere umano e, a maggior ragione, a chi si dice di amare, viene meno. All’inizio in modo occasionale, poi sempre più frequentemente, finché l’equilibrio non si altera completamente, ma a quel punto è già tardi, la spirale della violenza è iniziata e uscirne non è facile. Stefania ne sa qualcosa.
Il primo episodio “grave”, tra Stefania e Michele, arriva a luglio del 2002. Hanno già un figlio, Giorgio, di appena sei mesi. Michele è disoccupato e il congedo per maternità di Stefania è ormai terminato. A casa servono i soldi e lei potrebbe riprendere a lavorare. Ne parla a Michele, la cui reazione è inattesa, immediata e violenta. Si mette ad urlare, afferra la moglie per i capelli, la sbatte contro il muro e inizia a picchiarla. Il bimbo, spaventato, piange. Secondo Michele è colpa di Stefania e delle sue urla. Già, Stefania, anziché subire in silenzio la violenza osa difendersi, gridare… Alla fine Michele si calma e chiede persino scusa, però, certo Stefania questa storia del lavoro se la poteva pure risparmiare. Stefania non denuncia Michele, anche per paura, e decide di lasciare il lavoro.
Ad aprile del 2004 Stefania è di nuovo incinta. Michele è disoccupato e Stefania è preoccupata. C’è bisogno di un reddito su cui contare. Suggerisce a Michele di cercare un lavoro. Già dallo sguardo di Michele Stefania intuisce di aver detto le parole sbagliate. Michele inizia ad urlare. Gli anni di convivenza hanno insegnato a Stefania ad avere paura del marito. Scappa e cerca rifugio in bagno, ma non serve. Michele spacca la porta, la trascina fuori per i capelli e minaccia di farla abortire con un calcio sulla pancia. Giorgio, che adesso ha circa due anni, si mette a piangere per lo spavento. Michele non tollera che il figlio pianga e aumenta la rabbia nei confronti di Stefania, responsabile, a suo avviso, del pianto del figlio. Da quel momento la brutalità di Michele non risparmierà neppure il piccolo Giorgio…
L’incubo di Stefania e dei suoi figli è destinato a durare molto tempo. Gli episodi di violenza, per futili motivi, se non gratuita, si susseguono. Un giorno Michele, in presenza di un amico di famiglia, non si fa scrupolo di dare un calcio al piccolo Giorgio – di soli tre anni – così rabbioso e potente da farlo volare in aria e sbattere sul tavolo, per poi aggredire Stefania, rea di essere corsa ad abbracciare il figlio piangente.
Devono passare altri due anni di soprusi e violenze perché Stefania trovi il coraggio di denunciare Michele. E’ l’autunno del 2007 e Michele esplode di rabbia alla vista della moglie e dei figli sdraiati sul letto a vedere la TV. Michele è fatto così. Non sopporta l’idea che i suoi figli stiano sul suo letto. Per esprimere il suo disappunto pensa bene di sferrare un pugno alla porta, rompendola. Poi rompe il televisore e, non pago, se ne va in giro per casa a distruggere tutto ciò che trova sotto mano. Stefania sporge querela, prende i bambini e va a stare a casa della madre. Dopo un mese, però, si lascia convincere e torna dal marito.
Bastano poche settimane, siamo a febbraio 2008, e Michele picchia nuovamente prima Giorgio – che aveva osato provare ad accendere la TV (un’ossessione per Michele, a quanto pare) – e poi Stefania, intervenuta a difendere il figlio e punita con un vero e proprio pestaggio.
Fermiamoci un attimo. Lasciamo stare i primi – timidi? deboli? impercettibili? – segnali. Partiamo dalla prima assurda violenza. Non la parolaccia, non il gesto sgarbato, neppure lo schiaffo. Che pure sono all’ordine del giorno. “Troia”, “Incapace”, “Deficiente”, erano le parole con cui Michele apostrofava la moglie. Partiamo dal primo vergognoso e inqualificabile raptus di violenza cieca e furiosa.  Nel 2002. Sono passati sei anni. Sei lunghi anni dei quali – un po’ per pudore, un po’ per ipocrisia - omettiamo anche l’orrore degli stupri che Stefania impara a subire come qualcosa di inevitabile. Di quanto tempo c’è bisogno ancora per mettere la parola “fine” a tutto questo? Non è un giudizio. E’ la voglia di capire perché, stando “dentro”, è così difficile reagire, mentre “da fuori” sembra tutto così ovvio. Come quando guardi i film e urli al protagonista “scappa”, perché tu hai capito che sta per succedere qualcosa. Stefania, al momento, non ha la consapevolezza o la forza o il coraggio. E continua a subire.
A novembre del 2009 Michele aggredisce Stefania in cucina. Non serve neppure un perché. Magari ha lasciato la caffettiera nel lavandino, oppure non ha ancora preparato la cena. E’ indifferente. Michele picchia la moglie di fronte ai bimbi. Il più piccolino, piangendo, si butta sulla madre per proteggerla. Anche questa volta Stefania cerca di allontanarsi da Michele, si rivolge anche ad un centro antiviolenza, ma ancora una volta si lascia convincere a tornare a casa. Teme che possano portarle via i figli e decide di dare a Michele un’altra possibilità.
La “pace” – ma chiamarla così è un eufemismo, visto che i maltrattamenti psicologici non cessano mai – dura un paio d’anni. Nell’inverno del 2011 le violenze ricominciano. I figli intanto sono diventati tre e basta il pianto della nuova arrivata per scatenare l’ira di Michele, che sbatte il povero Luigi contro il muro e lo picchia senza pietà, per poi scagliarsi contro Stefania che cerca vanamente di difendere il figlio.
Ancora scene di ordinaria follia a maggio del 2012, a settembre del 2012, a gennaio 2013, a marzo 2013, ad aprile 2013. Una violenza che non risparmia nessuno. Non certo Stefania, ma neppure Giorgio, di 11 anni, neppure Luigi, che di anni ne ha 9, e nemmeno la piccola Barbara, di appena 7 anni.

Solo nel 2013, dopo ben 11 di umiliazioni e soprusi, Stefania trova finalmente il coraggio di dire “basta”. Ha la fortuna di incontrare – oltre alle persone del centro antiviolenza – uomini delle istituzioni competenti e sensibili, che intervengono in modo efficace e tempestivo.  Stefania sta cercando di ricostruirsi una nuova vita. Sa che non sarà facile e sia lei che i bambini avranno bisogno di aiuto e sostegno, anche psicologico, per superare la paura e l’angoscia che li hanno accompagnati in questi lunghi anni. Il piccolo Giorgio ha voluto fare un brindisi alla mamma coraggiosa che è riuscita a liberarli da quel terribile incubo. Il piccolo Giorgio che, pochi mesi prima, aveva chiesto a Stefania: “perché papà fa così con me? Sembra che non sono suo figlio!”. No, Giorgio, non è così. Nessun uomo – che sia o meno il padre – ha il diritto di comportarsi così con un bambino. E nessun uomo – che sia o meno il marito – ha il diritto di ferire la dignità di una donna. Nessun uomo, per nessuna ragione, ha il diritto di abdicare alla propria umanità. 

10 febbraio 2014

"Caro Tullino" di Lorenzo Piazzai

Ricevo dal mio amico Lorenzo (nella foto) un ponderoso commento al mio post "Una politica da stadio". Eccolo.


Caro Tullino,
come ti anticipavo vorrei seguire e di quando in quando commentare i tuoi post.
Hai detto di esserne entusiasta ed io apprezzo chi mente con garbo.
Molto spesso abbiamo avuto divergenze di opinione e mai, almeno credo, ci è capitato di votare per il medesimo partito alle elezioni nazionali. Questo va considerato ed introduce riflessioni importanti sui nostri percorsi politici.
Però, sarai d’accordo con me se affermo che ci siamo sempre sentiti, per così dire dalla stessa parte. E’ vero, discutevamo e anche molto, ma ricorda su quante questioni le nostre sensibilità si dimostravano invece affini e la nostra scala di valori  condivisa. Voglio aggiungere che considero le questioni che ci uniscono di spessore molto più significativo di quelle che ci dividono.
Ma oggi assistiamo alla presenza di un soggetto politico nuovo, le cui vicende seguo con grande attenzione ed interesse. I cinque stelle sono per me una continua fonte di dubbi e di interrogativi. Mi piacerebbe di proporti alcune riflessioni e sottoporle al tuo giudizio.
Essi, nella loro pratica politica ed anche nella accezione di democrazia e partecipazione, rompono alcuni meccanismi di gestione del potere e di formazione del consenso ai quali siamo abituati da decenni.
Questo è a mio giudizio un fatto positivo.
Sono convinto che quello che definiamo “la casta” non sia solo un modo di costruire un èlite politica, economica, culturale e militare, che garantisce a se stessa privilegi ed appare vivere in una torre d’avorio, mentre attorno il paese arranca faticosamente. Oltre a questo, che pure rappresenta una continua fonte di sdegno e di fastidio per me intollerabile, sono convinto che la nostra dirigenza ha perso la capacità di immaginare, di progettare un paese diverso. Mi pare che non vi sia più alcuna forza che si presenti capace di proporre una strada coerente, pensata, congrua da percorrere.
Non mi interessa ciò che accade a destra come sai. Né comunque se avessimo una destra capace di progettare essa riceverebbe altro da me che un plauso ideale per lo sforzo, lungi da ogni adesione possibile.
Ma a sinistra?
I “nostri” sindaci partecipano allegri alla distruzione del territorio, i ministri della difesa nei governi di centrosinistra hanno acquistato armamenti e partecipato a guerre, i “nostri” ministri degli interni hanno gestito le piazze con i manganelli ed accolto profughi segregandoli in strutture di cui vergognarsi, i governi che più avrebbero dovuto esprimermi hanno introdotto, sostenuto, quando non apertamente teorizzato la precarizzazione del lavoro e la riduzione dei diritti dei lavoratori, la politica economica ed industriale è stata gestita, anche dai governi di centrosinista, come merce di scambio con i lobbisti miliardari piuttosto che alla luce di un qualsivoglia progetto organico di riforma economico-industriale del paese.
Solo esempi, dimentico molto. Un elenco triste e lungi dall’essere esaustivo.
A fianco di questo scempio “cieco” delle risorse del paese, si sono modificate profondamente le regole e le abitudini del confronto politico e della formazione del consenso.
La distanza fra rappresentanti e rappresentati appare oggi a me, incolmabile. La selezione della classe dirigente politica si è via via resa sempre più indipendente dalle usuali cinghie di trasmissione del consenso e del potere. I nostri dirigenti sono sempre meno il frutto di un dibattito politico, non appaiono più come interpreti di una proposta, ma si definiscono leader, si assumono responsabilità sempre meno condivise, concentrano un potere grande e di anno in anno sempre più oscuro, nei suoi contenuti e nei suoi confini.
Abbiamo assistito infine ad un parlamento di nominati. Non dobbiamo piegarci a considerare questa cosa come normale. Il vulnus non è tanto nella scandalosa composizione dello stesso, ma sul significato che questa cosa assume nel definire i limiti democratici del potere conferito alla nostra classe dirigente. Quando è successo questo? Quando abbiamo accettato di abdicare all’esercizio fondamentale della democrazia rappresentativa  che è plasticamente espresso nell’eleggere fra liste di nomi contrapposte quelli che meglio ci esprimono?
Allora certo, chiunque iscriva nella propria azione politica, l’obbiettivo di riformare, riducendolo, il potere di questa classe dirigente merita attenzione.
Prima di continuare proponendoti la mia attuale idea sul 5 stelle voglio precisare una cosa.
Beppe grillo non lo sopporto più. Le mie sensazioni verso di lui, si sono di anno in anno deteriorate. Il suo linguaggio lo trovo offensivo, provocatorio e pericoloso. Giudico i suoi atteggiamenti contrari alla mia abitudine di confronto rispettoso verso chi non la pensa come me. Non aiuta a riflettere. A fare chiarezza.
Il fatto incontestabile che egli rappresenti una figura carismatica che raccoglie consenso elettorale ai miei occhi non vale più di quanto affermato. Altri personaggi pretendevano di barattare la ragione con il consenso. Non mi erano simpatici loro e lo stesso vale per il leader dei grillini oggi.
Sono certo che questo outing non inficerà la serenità di quello che voglio dire.
Ad esempio, mentre scrivo, capita che una procura lo abbia rinviato a giudizio perché nel corso di una azione di protesta ha violato, insieme ad altri, una proprietà sottoposta a sequestro. Questa notizia mi rende triste. Un deputato grillino, credo una donna, ha commentato dicendo che erano in molti quel giorno e che quel provvedimento quindi andrebbe esteso anche agli altri.. Considererei un privilegio poter aggiungere il mio nome a chi si trova indagato per una azione di disobbedienza civile, non violenta, tesa a sottolineare la follia e la prepotenza che l’investimento per l’alta velocità in val di susa rappresenta.
Allo stesso modo, mentre scrivo, si consuma uno strappo grave dovuto alle polemiche seguenti  la approvazione del contestatissimo decreto legge IMU banchitalia.
Proverò ad esprimere le mie perplessità proprio usando a beneficio della chiarezza queste due questioni.
La prima questione, la TAV in val di susa dico, è molto chiara. Comunque la si pensi, che si sia a favore o contro, direi che tutto è molto comprensibile.
Ci si confronta sull’utilizzo del territorio. Sulle modalità di partecipazione alle decisioni, da parte delle comunità locali e delle forze sociali. Sulle priorità di spesa di denaro pubblico in periodi di drammatica difficoltà del paese. Sull’idea di sviluppo sostenibile. L’orizzonte ideale di quella battaglia abbraccia tante questioni, pone interrogativi che considero paradigmatici e perfettamente esemplificativi della crisi fra dirigenza politica e “gente”. Tanto è vero che essa ha avuto a sinistra un effetto dirompente, non è stata solo patrimonio di gruppetti di opposizione radicale, ma spacca e fa riflettere. Aggiungo inoltre, che è stata, ed è ancora, un laboratorio eccezionale di idee e di proposte. È facile per chiunque raggiungere i siti di diffusione e confronto no-TAV e rendersi conto che, invece di essere espressione di una generica “not in my backyard”, è al contrario una fucina di proposte e di riflessioni che hanno smontato con dovizia di particolari la proposta governativa. Lì qualcosa è nato. Di coerente e di condiviso. Spero che si vinca. In politica si vince e si perde, ma è importante ricordare che in tempi di disgregazione quella vicenda è davvero una perla di organizzazione dal basso, comunque vada a finire.
Allora in un contesto di quel tipo, l’azione politica di beppe grillo è fantastica. Oltre tutto è riuscito ad essere anche ragionevolmente rispettoso verso gli altri soggetti che animano quella protesta, è riuscito, così mi sembra, a non egemonizzare la scena, tenendo un atteggiamento utile ed efficace.
Altra cosa, del tutto diversa, quanto accaduto a proposito del decreto. Ne voglio parlare, non tanto perché nella ricostruzione che ne fai sul tuo blog ravvedo delle imprecisioni e in alcuni passaggi non sono affatto d’accordo, ma perché è l’esempio meglio calzante delle perplessità che il movimento grillino mi suscita.
Molto brevemente, epperò credimi che su ognuna di queste cose molto avrei da dire:
l’affermazione che il decreto, per la parte relativa alla rivalutazione delle quote in possesso ad alcuni istituti di credito, sia un regalo di 7,5 miliardi alle banche, sostenuto da fondi pubblici è una volgare falsità.
L’affermazione che l’utilizzo, magari irrituale, di norme regolamentari della Camera dei Deputati, da parte della presidenza, finalizzato a consentire l’esercizio del diritto di voto dell’assemblea, sia un colpo di stato è delirante.
La considerazione che nell’opinione pubblica si sia formata l’idea di una classe dirigente corrotta e pronta ad ogni bassezza pur di rubare ai poveri per donare ai ricchi, rende estremamente redditizie dal punto di vista del consenso quelle due affermazioni. Ma lo stesso vale per la propaganda leghista che affigge manifesti ogni volta che uno straniero ubriaco provoca un incidente stradale, un marocchino viene arrestato per spaccio o uno straniero violenta una donna.
Cavalcare i sentimenti di disagio è un’attività lucrativa, certo, ma pericolosa. Specie se poi si scopre che lo straniero era innocente.
Vorrei dilungarmi su ognuna delle due affermazioni. Ma, per ora me la cavo invitando tutti coloro che ne avranno la voglia, alla lettura dei diversi articoli (almeno 2 uno di dicembre ed uno di gennaio) del senatore del pd mucchetti. Voce critica, che ha posto questioni importanti sull’argomento e che ha il pregio di rendere abbastanza comprensibile anche per un profano come me una materia così complessa, come quella dell’assetto azionario di banchitalia. Suggerisco questa lettura, proprio perché è forse la più ferocemente critica verso le soluzioni prospettate, almeno nella prima formulazione del decreto.
Ti risparmio peraltro ogni considerazione sull’abuso della decretazione di urgenza, questione sulla quale purtroppo tutti si dichiarano d’accordo fin quando non si trovano a governare….
So che sei un conoscitore raffinato dei regolamenti parlamentari e non ho motivo di dubitare quando dici che la boldrini ne fa un uso quanto meno non condivisibile.
Vado al sodo. Quello che considero tale. Alla questione politica.
Il M5S è impegnato in una riflessione che porta verso l’uscita dell’italia dall’euro. Ignoro se questa posizione sia stata già formulata, mi pare che sia in attesa di essere sottoposta al vaglio del “televoto”, con rispetto parlando. Però è certamente una di quelle posizioni sventolate in campagna elettorale e che maggiore presa hanno suscitato nell’opinione pubblica, la quale diffusamente ha la percezione che i rincari dei prezzi e la diminuzione del potere d’acquisto che funestano il vivere quotidiano di così larga parte della nostra società sia da imputare proprio all’introduzione della moneta unica europea.
Ora, quale migliore occasione di questa per spiegarci quale sarebbe il migliore assetto dell’organo che dovrebbe tornare ad avere funzioni centrali per la politica monetaria e finanziaria del nostro paese, se quella idea di reintrodurre la lira vedesse la luce?
La questione centrale è questa: un movimento politico si appresta a proporre e a sostenere una posizione impegnativa e vitale come quella relativa all’abbandono dell’eurozona, decisione così carica di conseguenze che neanche gli esperti della materia riescono a sintetizzare, e non è in grado di formulare neanche una proposta per la soluzione dei problemi di assetto che affliggono l’organo che secondo loro dovrebbe assumere la funzione centrale di controllo della valuta che vogliono ripristinare?
Ho capito che fai giorni e giorni di ostruzionismo, ma due paroline su cosa si fa col 30% di banca intesa?
Io pretendo di leggere una proposta di legge del M5S che risolva le questioni che il decreto affronta.
Bene o male. Che io sia d’accordo o no, poco importa. Pretendo però che un movimento che propone una scelta così gravida di conseguenze, una scelta che se sbagliata può prefigurare il dissesto economico del paese, dia prova di sostenere tesi, non perché pagano dal punto di vista elettorale, ma perché sono parte di un progetto.
Pretendo di sapere se il fatto che l’azionariato di banchitalia sia concentrato nelle mani di solo 2 gruppi bancari privati, venga considerato un problema oppure no. E nel caso, come si risolve.
A me sembra un problema oggi, eppure parte rilevante delle funzioni di banca centrale sono demandate ad altro istituto, alla banca centrale europea. Tornare alla lira, significa rendere immediatamente alla banca d’italia tutte le funzioni di gestione della politica monetaria e finanziaria.
Se le proposte dei grillini non sono solo lo specchietto delle allodole per un paese provato e piegato, che rischia di essere vittima di ogni capopopolo che fa a gara per spararla più grossa, quale migliore occasione di questa per dimostrarci che un’altra strada sarebbe possibile?
Quanta differenza con la vicenda no-TAV.
Si in entrambi i casi la stampa spesso concentra l’attenzione su epifenomeni marginali, una ragazza che bacia un poliziotto o un cretino (peraltro compaesano) che brucia un libro……
Ma quanta differenza….
Mi pare che il movimento no-TAV sia il risultato coerente di una serie di riflessioni. È stato capace di protesta, ma foriero di proposta. Se si vincesse in val di susa ho la convinzione che i margini per la speculazione edilizia, per il consumo del territorio, per la programmazione economico industriale scellerata e spesso delinquenziale (penso alla tua taranto così ferita…) sarebbero ridotti. Non so se saremmo già in un mondo migliore, ma un passo in quella direzione certamente lo avremmo fatto.
Ho l’impressione che se il M5S vincesse sulla questione dell’euro neanche loro saprebbero bene da che parte ci stanno portando.
Non si gioca con la politica. Non si chiede consenso se non si hanno le idee chiare. Non vi è serietà.
Non lo si fa, poi, su questioni che possono addirittura mettere in discussione l’esistenza stessa di un’economia nazionale.
Qui non è questione di insulti.
Qui non è questione di non essere d’accordo con i grillini.
Il fatto è che i militanti pentastellati farebbero bene a prendersi una pausa di riflessione fra un insulto e l’altro e chiedersi:
ma davvero mentre propongo di ripristinare la lira non sono capace neanche di partorire uno straccio di proposta per sistemare lo scandalo dell’azionariato della banca che sto, proprio io, rimettendo al timone di tutta la baracca?
I resoconti delle audizioni del senato fanno tenerezza.
Ho sentito parlare di copia-incolla dello statuto della bundesbank.
Questo mentre ci si prepara a televotare sulla permanenza nell’eurozona.
Avrei voluto sentire grillo, o chi per lui, prendere la parola e cogliere l’occasione di spiegarci il ruolo di banca d’italia nel futuro assetto che egli prefigura qualora si uscisse dall’euro.
Aspetto, con fiducia che tu mi indichi dove reperire tale documento.
A me risulta non esserci.
Se così fosse, non mi resta da pensare che abbiamo incontrato un altro mago della comunicazione.
Mago non nell’accezione figurata di “particolarmente bravo”, ma in quella letterale di “capace di far apparire ciò che non c’è”. Più triste e preoccupante, visto che ha deciso di giocare non con cilindri e conigli, ma con il nostro futuro.
Con affetto ed immutata devozione,

Lorenzo

6 febbraio 2014

Una politica da stadio

Mi pare che in questo momento ci sia un clima politico da stadio, con le opposte tifoserie incapaci di dare valutazioni, non dico imparziali, ma accompagnate da un minimo di buonsenso. E quando l’arbitro assegna un rigore o una punizione la sua scelta sarà giudicata quasi esclusivamente in base a chi viene avvantaggiato o penalizzato. Un clima analogo c’è stato al momento dell’ingresso in politica di Berlusconi. Un clima probabilmente giustificato da enormi differenze di contenuto: la maggioranza berlusconiana era portatrice di una cultura e di un modello di sviluppo decisamente in contrasto con una visione “progressista” (anche se in senso ampio, per carità). Questo diede vita a scontri verbali – e non solo – durissimi. E blog e forum non erano certo teneri nei commenti nei confronti degli avversari e gli insulti abbondavano. Per non parlare delle interviste fatte durante le manifestazioni. I media più vicini ad una coalizione andavano a solleticare gli istinti peggiori dei sostenitori dell’avversario e viceversa. Alla fine il conto era pari (o quasi, visto che almeno per le TV Berlusconi godeva di un certo vantaggio).
Adesso le cose sono cambiate. I nemici di un tempo sembrano essere molto meno distanti, mentre sembra che il vero “pericolo” sia un soggetto politico terzo, pieno di contraddizioni e difetti, ma che – su molti temi – potrebbe essere un interlocutore importante.  Adesso, forse, si sta smarrendo il senso delle proporzioni e, in questo, i media hanno una responsabilità enorme, soprattutto quando fanno – o pensano di fare – informazione. Pensiamo alle vicende che hanno costellato i talk show e le prime pagine dei giornali della scorsa settimana. Le notizie a cui – spesso – è stato dato più risalto sono state: la “rissa” nell’aula del Parlamento, l’epiteto ingiurioso di un deputato grillino ad alcune deputate PD, l’aggressione web alla Boldrini e un libro di Augias dato alle fiamme. Che mi ricordi sono successe altre cose a cui non sembra si sia data moltissima importanza: la “tagliola” operata per la prima volta alla Camera dei deputati o la legittimazione di un voto irregolare in commissione Affari Costituzionali, temi davvero rilevanti per una democrazia, mentre sono stati additati come “eversori” coloro i quali – in modo scomposto, goffo e indubbiamente censurabile – hanno cercato di contestare l’uso spigliato del potere della maggioranza (e di “tirannia della maggioranza”, per citare il filosofo Alexis de Tocqueville, si è parlato altre volte in passato). Vorrei però soffermarmi su quanto conta il “peso” che l’informazione riesce a dare ai singoli fatti, ognuno dei quali dovrebbe essere valutato nella specifica circostanza. Pensiamo alla volgarissima insinuazione fatta da Massimo De Rosa nei confronti delle deputate PD. Un insulto sciocco e gratuito e che merita una critica ferma e senza appello. Per quelle parole De Rosa ha fatto benissimo a scusarsi. Ma è davvero una colpa talmente grave da meritare le aperture dei tg e le prime pagine dei giornali? E’ questa l’eversione di cui vengono accusati i cinque stelle? O il termine “eversivo” viene usato con una disinvoltura tale da snaturarne completamente il significato? Oppure eversive sono state le scomposte reazioni dei deputati cinque stelle di fronte alla scelta della Boldrini di dare legittimità ad un voto irregolare avvenuto in commissione Affari Costituzionali e di strozzare il dibattito parlamentare, quella sì decisamente grave, come ebbe a dire il capogruppo del PD nel 2009 che la definì la “fine della democrazia parlamentare” (salvo poi, evidentemente, cambiare idea alla legislatura successiva). A mia memoria negli ultimi anni ad esprimere atteggiamenti eversivi – ossia volti al capovolgimento di quel complesso di principi ed istituti nei quali si esprime la forma democratica dello Stato - è stato (fatte salve alcune pagliacciate della Lega, che non sono mai state prese sul serio) un solo uomo politico: Silvio Berlusconi, autore di attacchi senza precedenti ad uno dei tre poteri dello Stato, quello della magistratura. E solo un’attenta architettura costituzionale ne ha frenato i tentativi di indebolimento e smantellamento. Berlusconi, però, per insondabili motivi, non solo non viene più considerato un pericolo per la democrazia, ma diviene persino un alleato di governo e il coestensore di una legge elettorale (peraltro palesemente incostituzionale fin dal primo comma). Tutto questo per i giornali e le TV sembra non contare nulla. La “notizia” è un alterco da bar tra deputati, del quale si riportano solo le frasi offensive di una delle parti. Ci siamo chiesti, almeno, quale fosse il contesto? Perché un conto è il ceffone ammollato dal questore della Camera ad una deputata al termine della seduta o l’invito allusivo a trovarsi un fidanzato fatto durante un intervento in aula (dallo stesso deputato autore in un recente passato di minacce di morte nei confronti di colleghi) e un altro conto è la discussione in ambito che non può certo essere definito pubblico (i locali di una commissione parlamentare, a lavori chiusi). Non a caso le querele depositate fanno riferimento all’articolo 594 del codice penale sull’ingiuria e non al 595 che parla di diffamazione. La cosa più divertente è che un certo tipo di sgradevoli allusioni sono all’ordine del giorno, non solo in politica, ma in tutti i luoghi dove c’è la possibilità di ambire a ruoli, stipendi o incarichi di maggior prestigio. Nelle aziende, nelle università, nei ministeri. E anche le donne talvolta non sono troppo tenere nei confronti delle colleghe che riescono ad ottenere rapidi avanzamenti di carriera. Per non parlare dell’ironia della sinistra (e, seppur con grande prudenza, anche a destra) sui “meriti” di un’intera generazione di donne della politica berlusconiana: dalla Minetti alla Gelmini e alla Carfagna (vedi la striscia di Disegni). L’anomalia sta tutta in questa diversa valutazione delle circostanze a seconda del ruolo. Fino ad ora, nessuno escluso, al momento di stare all’opposizione ha censurato l’eccessivo ricorso ai decreti-legge, ha usato tutte le forme di ostruzionismo possibili e immaginabili, non rinunciando a qualche azione teatrale, con cartelli, volantini, gesti, urla. Ogni tanto sono volati insulti, spintoni e anche qualche sberla. Una volta in maggioranza le azioni e i gesti di contestazione diventano esecrabili, i decreti-legge l’unica scelta possibile e l’ostruzionismo un incomprensibile impedimento all’azione di governo.

Per quanto riguarda gli insulti alla Boldrini e il libro bruciato sono una “non notizia”. Gli idioti sono una categoria molto ben rappresentata in tutti gli schieramenti e dubito possa esistere un qualunque soggetto (partito, associazione, movimento) che possa permettersi il lusso di aprire qualche forum senza correre il rischio che partano insulti e invettive nei confronti degli “altri”. Persino il mondo pacifista era stato accusato in passato di essere vicino ai violenti, perché magari qualche manifestante o qualche blogger esprimeva parole non proprio galanti nei confronti dei gentiluomini in giacca e cravatta che decidevano di far bombardare città e villaggi in nome della democrazia. Anche in quelle circostanze si assisteva ad uno straordinario mutamento di prospettiva: l’evento – criticabilissimo – dell’insulto al ministro o al sottosegretario di turno (magari formulato da un anonimo utente di un forum) diventava il fatto grave e la morte di centinaia di uomini, donne e bambini, una mera notizia di cronaca, omettendo accortamente ogni nesso causale tra quegli omicidi e i mandanti. L’accostamento forse non è pertinente, ma ha il solo scopo di sottolineare quanto l’informazione possa – volendo, e troppo spesso vuole – deviare l’attenzione verso questioni secondarie, se non marginali. Bisognerebbe puntare ad un’informazione che si preoccupi seriamente di una politica che privilegia le banche rispetto ai cittadini, di una politica che tende a mutare le regole in funzione dell’esigenza di mantenere il proprio potere, di una politica che non si rende conto (o, meglio, fa finta di non rendersi conto) delle devastazioni causate non dalle avversità atmosferiche, ma dalla disastrosa pianificazione territoriale, di una politica incapace di una corretta gestione dei rifiuti, ma complice di gigantesche frodi a danno della collettività, della salute e dell’ambiente. Servirebbe un’informazione così. Un’informazione che releghi gli insulti da osteria tra deputati dei vari schieramenti (ché le offese in questi casi vanno in entrambe le direzioni) in un trafiletto a pagina 8, a fianco della notizia sulla coppia che mette per sbaglio il filmino hard sul web.

Alle colonne d'Ercole

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