23 giugno 2004

Quel semaforo lungo la Casilina

Labico per me non esisteva. Era un semaforo di dubbia utilità che talvolta aveva l’insolenza di interrompere il mio transito lungo la Casilina. Labico era un non-luogo. Uno di quei posti da cui devi passare perché la strada l’hanno messa lì (ma più probabilmente Labico è lì perché c’era la strada, ma non è il caso di divagare), ma la cui presenza è spesso avvertita con fastidio da chi non ha tempo da perdere. Il caso ha voluto che il non-luogo diventasse la mia residenza. Ho scoperto così l’esistenza di Labico. Ho scoperto che ai lati della Casilina, là dove c’è quel semaforo impertinente, ci sono case, strade, piazze, vicoli, negozi e, soprattutto, “persone”. Nella fretta di vivere la nostra vita concitata trascuriamo spesso di ricordarci che il mondo è fatto di altre realtà, a cui non facciamo caso e che tendiamo ad escludere dal nostro campo visivo. Non saprei dire cosa pensassi di Labico. Non saprei dire se pensassi che fosse bella o brutta. Non si giudica qualcosa di cui si ignora l’esistenza. Venire ad abitare a Labico mi ha permesso di familiarizzare con un posto che non conoscevo, di apprezzarne gli aspetti positivi e di criticarne gli elementi meno gradevoli.
Indubbiamente le testimonianze storiche e artistiche di Labico non possono certo competere con città che vantano doti ben più ricche e decantate, ma vi sono elementi che andrebbero comunque tutelati e valorizzati. D’altronde la bellezza di un paese dipende molto da questa capacità di valorizzarne le ricchezze e di migliorarne la qualità complessiva.
Una delle mie prime esperienze di conoscenza di Labico è stata “il percorso delle fonti”, una piacevole passeggiata tra il centro storico e quel poco che si è salvato dalla imponente cementificazione avviata nel paese – vanto di un’amministrazione comunale che circoscrive il significato della parola “sviluppo” alla sola proliferazione di case e villette - e che unisce alcune sorgenti e fontane (qualcuna anche piuttosto antica) del territorio labicano.
Mi colpì favorevolmente l’entusiasmo di chi si impegnava per il recupero di quel piccolo patrimonio – e a cui voglio esprimere il mio apprezzamento - e fui ben lieto di sapere che c’era l’intenzione di proseguire gli interventi di riqualificazione e rendere il percorso delle fonti una piacevolissima passeggiata tra storia e natura pienamente godibile da tutti i labicani (vecchi e nuovi).
Le cose, purtroppo, non sono andate così e non solo non si sono fatti passi avanti nell’opera di recupero ambientale, ma quel poco che era stato fatto veniva vanificato dalla trascuratezza e dall’incuria. Si potrebbe obiettare che Labico ha bisogno di utilizzare le proprie risorse per ben altro tipo di interventi, di gran lunga più importanti ed urgenti, come le opere di urbanizzazione primaria e secondaria, le scuole, i servizi, ecc. Vero. Verissimo. Peccato che su questo versante sia tutto praticamente immobile e, anzi, si debbano registrare gravi omissioni e ritardi nella realizzazione di opere essenziali.
Dalla lettura del bilancio comunale – ancorché falcidiato dall’accorta politica economica di un governo che predica federalismo e riduzione fiscale e pratica l’indebolimento degli enti locali e la riduzione dei servizi ai cittadini – emerge in modo molto chiaro l’’assenza della volontà di intervenire su quelle indiscutibili priorità che consentirebbero – se realizzate – di dare al paese un ragionevole livello di qualità e funzionalità delle infrastrutture e dei servizi. Ed è paradossale che si lavori alla ricerca di zone di nuova edificazione senza prima aver messo mano alla sistemazione di tutto il pregresso.
Senza un inversione di rotta, senza un cambiamento dell’approccio sulla gestione amministrativa e territoriale si corre il rischio di trasformare – e di farlo colpevolmente – un piccolo e gradevole paese della campagna romana in una delle tante borgate di periferia, privandolo così della propria identità sociale e storica e negandogli ogni valenza culturale. Mi troverei, ci troveremmo, così ad abitare uno dei tanti quartieri-dormitorio della Capitale, uno di quei “nonluoghi” dove non ha senso rallentare quando si passa con la propria automobile e dove proprio non ci si riesce a spiegare la presenza di un semaforo inopportuno e impertinente.


Tullio Berlenghi

Alle colonne d'Ercole

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La mia ultima avventura