22 marzo 2008

Cronache dal consiglio

Giovedì 13 marzo. L’ordine del giorno prevede la prosecuzione della burrascosa seduta sospesa (per impegni della maggioranza, tanto per cambiare) il 28 febbraio.

Erano rimasti da smaltire due punti, quello sulle osservazioni al piano regolatore (ne erano state esaminate soltanto una parte) e le interrogazioni. Ne hanno approfittato per inserire tre nuovi punti e, tanto per cambiare, anziché aggiungerli in fondo li hanno messi “prima” delle interrogazioni. Niente di nuovo, quindi. La novità è costituita dalla presidenza dell’assemblea che, in assenza del sindaco, era svolta dal vicesindaco. La seduta inizia con 35 minuti di ritardo (tanto se poi non si fa in tempo a finire l’ordine del giorno si può sempre attribuire la colpa all’opposizione) e si ha la sensazione che ci sia un certo nervosismo. Subito dopo l’avvio della seduta Maurizio Spezzano chiede la parola nel tentativo di avere alcuni chiarimenti in merito alla procedura avviata dal comune a seguito dell’atto approvato sulla bretella Cisterna- Valmontone e sui rapporti intercorsi con la Regione Lazio in proposito. Domanda lecita per chi svolge una funzione di controllo caratteristica di ogni eletto (e in particolare di quelli dell’opposizione). Non la pensa così Alfredo Galli che ha l’aria di chi vuol far capire a tutti – compresi (in primis?) gli assenti – come si fa a condurre un consiglio comunale. Secondo un’audace interpretazione del regolamento del Consiglio comunale durante le sedute è consentito intervenire solo ed esclusivamente in merito ai punti all’ordine del giorno. Spezzano a quanto pare sta violando questa elementare regola di democrazia e quindi il presidente vuole togliergli la parola. Spezzano insiste (è fatto così), il presidente minaccia di cacciarlo.

Incredibilmente le forze di pubblica sicurezza compaiono in sala. Non le avevo mai viste in un anno di sedute, mentre stavolta erano lì, pronte ad intervenire. Misteri.

Tornata la calma si ricomincia l’esame delle osservazioni.

Ancora una volta siamo costretti a denunciare l’impraticabilità di un metodo che rischia di creare una disparità di trattamento e una disomogeneità nella pianificazione.

Il principio – argomentiamo noi, alternandoci negli interventi – è (o dovrebbe essere) quello di un corretto governo del territorio nell’interesse della collettività e nel rispetto della vocazione e dell’identità di un paese. Ci guardano come se fossimo marziani. Il vero principio probabilmente è quello nominale. Di chi è l’osservazione? A chi appartiene la particella? Bene, teniamone conto.

Il resto sono chiacchiere. In alcune circostanze, facciamo presente, è evidente che l’approvazione di una richiesta crea legittime aspettative da parte di persone che si trovano in circostanze analoghe. Non fa niente.

Chi vivrà vedrà. Altre volte proviamo a ricordare che il criterio stabilito dalla legge è che l’osservazione si accoglie o si rigetta e non sono consentite operazioni di mercanteggiamento del tipo “gliene diamo un pezzo”, perché l’urbanistica un tanto al chilo va tanto di moda in alcuni contesti (ma poi qualcuno considera noi dei “mercanti in fiera”). Ad un certo punto provo a fare una domanda all’- assessore all’urbanistica. Parto da una riflessione molto semplice: sono state presentate circa 150 osservazioni.

La stragrande maggioranza di queste a quanto risulta consiste in una richiesta di maggiore edificabilità (cambiamento di zona, inserimento in una zona edificabile, eliminazione di uno standard, ecc.). L’amministrazione le conosce e le ha esaminate tutte. E’ facile immaginare che, alla fine dell’esame delle osservazioni, aumenterà la quantità di metri cubi edificabili, l’incremento demografico conseguente, nonché la quantità di standard e servizi necessari per far fronte alle aumentate esigenze della popolazione. Un assessorato all’urbanistica che si rispetti in una simile circo stanza si preoccupa di quantificare questi aumenti, soprattutto avendo la consapevolezza di quale sia l’orientamento dell’amministrazione su ogni singola osservazione. Chiedo quindi se sia in grado di fornirmi questi dati. La risposta però è un’altra. “Non siamo in grado”. Perché non siete in grado? Incalzo.

Perché mica possiamo sapere quale sarà il risultato del voto. Mi sfugge un sorriso che sta a significare: “Ma come? La nostra granitica maggioranza, che sembra esprimere un assenso bulgaro e acritico ad ogni refolo di galliana provenienza, nutre dei dubbi sull’esito di qualche voto?”. Se era una battuta ho fatto bene a sorridere, era una bella battuta. Se non la era c’è da preoccuparsi.

Prendiamola come battuta.

Si chiude la parte urbanistica e si passa agli altri punti all’ordine del giorno. Tra noi c’è l’accordo di chiedere una modifica dell’ordine del giorno, anticipando il punto sulle osservazioni (nel rispetto della prosecuzione “naturale” della precedente seduta). Non faccio in tempo a chiedere la parola che il vicesindaco annuncia il ritiro del punto n. 2 (senza specificarne il contenuto). Chiedo la parola. Colgo l’occasione per commentare la decisione e provo a spiegare cosa prevedesse la delibera frettolosamente ritirata. Galli cerca di impedirmelo. “Non è all’ordine del giorno”. Sostiene. “Bella, questa” (le battute inconsapevoli si sprecano). A parte la modesta rilevanza dell’asserzione di Galli, il punto è all’ordine del giorno ed è legittimo approfondire la questione. Insisto (sono fatto così). Galli si altera. Alza la voce. Anche io alzo la voce. Rivendico il diritto di esprimermi e di spiegare che il punto prevedeva un aumento dell’addizionale IRPEF (faccio presente che la coppia Galli-Giordani tra il 2007 e la delibera “rinviata” raddoppierà la quota parte comunale del prelievo IRPEF) e avanzo il dubbio che la decisione di ritirare (provvisoriamente immagino) la delibera abbia a che vedere con la candidatura di Galli alle provinciali. Apriti cielo. Galli mi vuole buttare fuori dall’aula. Chiede la messa ai voti della mia espulsione.

Lesa maestà, dovrebbe essere la motivazione. Mi unisco alla richiesta di Galli. Guardo i consiglieri di maggioranza e chiedo a loro di approvare o bocciare la mia proscrizione per avere espresso un giudizio politico (che poi sarebbe la ragione della mio incarico istituzionale).

Mi sembrano tutti piuttosto preoccupati. E’ evidente che non possono esimersi, ma sanno bene di rendersi corresponsabili di una gravissima violazione democratica.

Galli intuisce l’arrivo del boomerang e lo schiva abilmente.

Rinuncia al dispotico proposito. Riprendo la parola.

Chiedo l’inversione dell’ordine dei lavori. Bocciata.

Qualcuno aveva dubbi? Passiamo quindi ai due punti successivi. Il primo riguarda il piano di zona. Giovannoli presenta a questo proposito un documento – pubblicato nel box - in cui si chiede all’amministrazione di vigilare sul buon funzionamento della macchina amministrativa in tema di politica sociale. Approvato all’unanimità. Il secondo è una delibera di attuazione di una norma della finanziaria 2008. L’obiettivo della norma è quello di ridurre i costi amministrativi legati ad incarichi e consulenze, attraverso i quali, troppo spesso, vengono elargite risorse al di fuori di criteri e controlli. La delibera, così come formulata dall’amministrazione, ci sembra troppo vaga e fumosa. Proponiamo alcuni emendamenti. Tra questi: uno per abbassare del tetto al di sopra del quale sono necessarie ulteriori cautele (accolto parzialmente); uno per chiedere un rapporto semestrale degli incarichi, comprensivo di costi, motivazioni e nominativi (accolto); uno per chiedere un codice etico di assegnazione degli incarichi in modo che non vengano assegnati a chi ha pendenze giudiziarie (accolto); uno per rendere obbligatoria la pubblicizzazione sul sito web, come prevede la legge (accolto); un altro per impedire l’assegnazione di incarichi a persone che svolgano un ruolo di controllo degli atti del comune (questo lo bocciano e forse bisognerebbe chiedersi come mai). Con questi aggiustamenti l’atto, pur perfettibile, è sensibilmente migliorato. Per senso di responsabilità votiamo a favore, a parte Maurizio Spezzano che si astiene.

Ultimo punto le interrogazioni. I consiglieri di maggioranza scalpitano. Cominciano a ricordarsi di avere impegni inderogabili. Chiediamo il rispetto degli accordi. Sembra sempre che se si perde tempo è colpa nostra. Peccato che c’è ancora tutto il pomeriggio e noi siamo disposti a trascorrerlo in aula. Loro, a quanto pare, no. Ci accordiamo su una prima tranche e sulla promessa che le interrogazioni restanti saranno il primo punto della prossima seduta.

8 marzo 2008

Riflessioni sul consiglio

Peccato che a Labico i consigli comunali si tengano così di rado. Sono invece estremamente interessanti ed istruttivi e ogni volta che il Sindaco decide di ricorrere a questo fondamentale momento di partecipazione democratica si ha la possibilità di imparare cose nuove. Proviamo a fare una breve analisi degli episodi più significativi del consiglio comunale del 28 febbraio. Il consiglio prevedeva originariamente solo quattro punti, nonostante Benedetto Paris avesse fatto notare che fosse necessario approvare gli atti presentati sull’ufficio Informagiovani e sul Consiglio dei giovani per non rischiare di far slittare di un anno l’opportunità di avviare questi strumenti amministrativi (finanziati dalla regione) che rappresentano un’importante opportunità per le nostre ragazze e i nostri ragazzi. Non c’era una ragione particolare che impedisse di mettere i due punti all’ordine del giorno, ma - e questo deve far riflettere - non ce n’era una “a favore”. Ossia, per i nostri amministratori qualcosa che fosse semplicemente “utile” per il paese e per i cittadini non suscitava alcun interesse, quindi perché preoccuparsene e, soprattutto, perché occuparsene? Solo a consiglio convocato e dopo le reiterate pressioni di Benedetto - e l’impegno ad approvare i due punti in poco tempo (insomma non ci si può trastullare con queste sciocchezze?) - i due punti sono stati inseriti.
Poi accolti all’unanimità e riducendo al minimo il dibattito sugli argomenti.
Secondo elemento di riflessione. Il Consiglio comunale non è - nella testa dei nostri amministratori - il luogo “principe” del dibattito politico locale e il luogo dove si affrontano le questioni più delicate ed importanti che riguardano la nostra collettività. Il consiglio comunale è un passaggio (purtroppo obbligato dalla legge sugli enti locali) di alcuni atti amministrativi. Si prega quindi di limitarsi a quelli e senza disturbare troppo il manovratore. Il nostro era solo un dubbio. Ma il dubbio è diventato certezza quando Danilo Giovannoli ha sollevato un problema di grande importanza come la situazione scolastica nel nostro paese. In particolare Danilo ha denunciato il mancato ottenimento dell’autonomia scolastica da parte di Labico. Una questione importante quindi. Una questione che forse avrebbe dovuto sollevare autonomamente l’amministrazione o, almeno, la maggioranza (il capogruppo è tra l’altro consigliere delegato competente) e avviare di sua sponte il dibattito politico in consiglio. Invece la disarmante risposta del vicesindaco (a cui si è immediatamente conformata l’opinione del sindaco) è stata: “non è all’ordine del giorno”. Ossia una questione per essere importante deve essere prevista dal burocratico elenco di questioni, altrimenti non è argomento di discussione.
Faccio un parallelo per rendere l’idea. Seduta parlamentare (Camera o Senato non importa). All’ordine del giorno c’è la ratifica del trattato bilaterale con Malta sulla etichettatura delle palline colorate. Nottetempo c’è stato un terremoto di vaste dimensioni che ha interessato diverse regioni. Un parlamentare (deputato o senatore, di maggioranza o di opposizione, è del tutto irrilevante) esprime preoccupazione, chiede un’informativa del Governo, apre in buona sostanza un dibattito. Secondo voi come risponderà il presidente di quel ramo del Parlamento? Dirà: “Non è all’ordine del giorno”, come gli illustri statisti nostrani o riterrà l’argomento meritevole dell’attenzione dell’assemblea? Terzo spunto di riflessione. L’interminabile saga della pianificazione urbanistica. Le puntate precedenti recavano i seguenti titoli: “La variante trappola. Chi ci casca è perduto” Anno di uscita 2004. “La variante prelettorale.
Si aprono le danze”. Anno di uscita 2007. Memorabile.
Subito seguito da “Il mercato delle osservazioni. Come intascare soldi e consensi da alcuni e garantire il profitto ad altri”. Sempre 2007. Nel 2008 abbiamo “I buoni e i cattivi. Le osservazioni approvate è merito nostro, quelle respinte è colpa degli altri”. Questo film sta venendo meno bene, perché il nostro impegno per chiedere la massima trasparenza e chiarezza nelle valutazioni e, soprattutto, la richiesta di un criterio uniforme ed un metodo razionale di esame, stanno sparigliando le carte alla maggioranza. Su questo punto non intendo dilungarmi, visto che Maurizio Spezzano, che, insieme a Danilo Giovannoli, ha presidiato la commissione ad hoc sulle osservazioni, ha spiegato in modo chiaro quali siano le dinamiche che regolano la questione. Vorrei soffermarmi però su alcuni aspetti. Intanto la confusione che viene fatta sul significato del termine “collaborazione”, che noi continuiamo ad offrire alla maggioranza e alla giunta per confrontarci con la massima correttezza. Il vicesindaco (e di conseguenza il sindaco) si è lamentato perché, a suo avviso, non abbiamo rispettato “gli accordi” e mantenuto l’impegno alla collaborazione. Credo sia utile chiarire un aspetto. Collaborazione - sul piano istituzionale - non significa accettare supinamente quanto stabilito dalla maggioranza. Collaborazione per noi significa evitare inutili ostruzionismi e dilazioni dei lavori, ma quando le questioni di merito giustificano richieste di approfondimento e di chiarimenti, non vogliamo sentire ragioni. Prima di approvare o bocciare un qualsiasi atto vogliamo sapere cosa c’è scritto e cosa comporta. E se vi sono dei dubbi se ne discute. Senza considerare che buona parte del tempo utilizzato per l’esame delle osservazioni è stato utilizzato dagli stessi membri della maggioranza.
Più che legittimamente. Anzi, personalmente, considero un segnale positivo e di autonomia il tentativo da parte di alcuni di “capire” quello che succede e di non accettare acriticamente le decisioni prese dai maggiorenti della coalizione.
Peccato che tutto ciò sfugga ai nostri amministratori che considerano i consigli comunali inutili perdite di tempo e se una seduta si protrae oltre i tempi da loro giudicati equi, ecco che arriva puntuale la “rappresaglia”. Non si dà risposta alle interrogazioni, lasciando in primo luogo i cittadini senza risposta su quesiti, spesso suggeriti proprio da loro e si minacciano ulteriori provvedimenti di tipo “punitivo”. Uno di questi è la mancata costituzione delle commissioni consiliari. Organo ritenuto inutile (nella scorsa consiliatura nessuno si è preoccupato di attivarle) e che il Sindaco avrebbe permesso di costituire quasi come se fosse una cortesia nei confronti dell’opposizione, a patto che, ovviamente, i suoi componenti si comportassero bene, altrimenti niente commissioni, anzi, si cancella anche quella creata per esaminare le osservazioni sul prg. Così imparate.
La manfrina poi, sulle difficoltà a portare a termine i punti all’ordine del giorno, è sempre quella: l’ostruzionismo dell’opposizione. Peccato però che noi siamo disponibili a proseguire i lavori consiliari e loro hanno sempre “impegni più importanti” che li portano a dover chiudere prematuramente il dibattito. Perché, invece di accusare l’opposizione di voler bloccare i lavori non dedicano un po’ più del loro tempo al consiglio comunale? Si convoca il consiglio alle otto di mattina (possibilmente di sabato o domenica come abbiamo chiesto più volte) e si prosegue fino alla sera, invece di convocarlo alle 15 e di chiuderlo alle 20, oppure convocarlo alle 9 e chiuderlo alle 13. Tutti noi abbiamo preso un impegno con la cittadinanza e allora cerchiamo di svolgerlo al meglio, senza considerarlo un’attività marginale, da inserire, nell’ordine delle priorità tra la briscola e il corso serale di origami.
Noi, come sempre, siamo disponibili a garantire il nostro massimo impegno, purché sia chiaro che questa “disponibilità” è a lavorare e a confrontarsi, ma non certo ad assistere remissivamente alle scelte dell’amministrazione.

5 marzo 2008

Una democrazia di serie B

Il termine democrazia significa, letteralmente, “governo del popolo”. E’ evidente che questo termine, nel corso dei secoli ha assunto sfumature di significato diverse e più rispondenti alle esigenze di una società complessa e con una pluralità di organi politici e amministrativi. Due dei caratteri rilevanti di questa più estesa accezione della parola “democrazia” sono quelli della trasparenza e dell’informazione da un lato e del corretto funzionamento degli organismi elettivi che fungono da raccordo tra la collettività e la macchina amministrativa dall’altro. Con ciò intendendo quell’avvicinamento tra cittadino ed istituzioni che, con i ritmi convulsi che caratterizzano la nostra epoca, diventa essenziale per consentire una reale partecipazione democratica.
Ciò vale, e a maggior ragione, per la politica locale, spesso considerata ingiustamente una “cenerentola” del nostro ordinamento, ma che invece riveste un ruolo cruciale soprattutto perché è quella più vicina ai problemi e alle esigenze dei cittadini. Ecco allora che un’amministrazione illuminata e consapevole dovrebbe fornire ai propri amministrati quegli strumenti necessari per metterli a conoscenza delle scelte prese e delle decisioni assunte che inevitabilmente sono destinate a ripercuotersi sulla loro esistenza.
Questo purtroppo non avviene o avviene in modo insufficiente nel nostro comune e gli strumenti che dovrebbero rafforzare e sviluppare l’assetto democratico sono spesso ignorati o sottoutilizzati.
Proviamo a citarne alcuni e a fare una verifica del loro stato di salute.
- In primis il consiglio comunale, ossia l’organo per eccellenza di confronto democratico e trasparente sui temi e sulle problematiche che interessano una comunità. Per una sua efficace utilizzazione è necessario il rispetto di alcuni requisiti: convocazioni frequenti, esame e valutazione delle più importanti decisioni amministrative, massima pubblicità dei lavori. Nessuno di questi requisiti è rispettato a Labico. Per quanto riguarda la frequenza basti pensare che l’ultimo consiglio comunale risale a prima di Natale, ben due mesi fa, quindi. Sulla competenza c’è poco da dire: passano in consiglio quasi esclusivamente gli atti “dovuti”, ossia quelli per la cui approvazione è la legge stessa ad imporre il passaggio consiliare. Sulla pubblicità dei lavori sindaco e assessori si ostinano non solo a non voler provvedere ad un’adeguata diffusione pubblica dei dibattiti consiliari, ma pretendono di proibire anche ad altri di farlo.
- Un altro strumento è quello delle commissioni consiliari. Sono previste dalla legge e dal nostro statuto. Però, a dieci mesi dalle elezioni, non sono ancora state costituite. Noi abbiamo segnalato la questione al prefetto. Il prefetto ha chiesto spiegazioni e il sindaco – mentendo – ha dichiarato che la colpa era dell’ostruzionismo dell’opposizione. Peccato che nessuno dei consigli comunali convocati fino ad oggi abbia mai avuto tra i punti all’ordine del giorno le commissioni consiliari.
- E, infine, un comune che si rispetti cerca di mettere a disposizione dei cittadini tutta la documentazione possibile, riducendo quella distanza tra amministratori e amministrati che tanto alimenta quella disaffezione che è causa della crisi della politica nel nostro paese. Eppure, nell’anno 2008, è molto semplice e a costi decisamente accessibili anche per un piccolo comune rendere pubbliche – magari attraverso il proprio sito internet – le più importanti documentazioni relative all’attività amministrativa. Tanti comuni lo fanno e i cittadini sono ben lieti di risparmiare inutili viaggi e attese per ottenere molte informazioni. Nel suo piccolo Cambiare e Vivere Labico cerca di mettere in rete tutte le informazioni di cui dispone attraverso il proprio sito internet. Anche il comune ha un sito, pagato con i soldi dei contribuenti. Peccato che non sia proprio il massimo dell’efficienza e della tempestività. Basti pensare che alla pagina “Il saluto del Sindaco”, ad accoglierci è Alfredo Galli. E’ sicuramente una svista, ma si aggiunge a quella messe di piccole e grandi leggende metropolitane che inducono i più maliziosi ad ironizzare sulla differenza tra mandato elettivo e potere decisionale reale.
Sul delicato rapporto tra democrazia e trasparenza la partita più importante si giocherà sull’esame delle osservazioni alla variante al piano regolatore generale. Una variante che è nata nel peggiore dei modi e che, come ha egregiamente spiegato Maurizio nel suo articolo, ha attivato un sistema di interessi e clientele non proprio cristallino. Questo secondo passaggio però non sarà altrettanto semplice e noi metteremo in evidenza tutto ciò che, a nostro avviso, è in contrasto con un corretto governo del territorio e con gli interessi dei cittadini e della collettività. Saranno poi proprio i cittadini a dare un giudizio sulla bontà delle scelte fatte. Noi ci limitiamo semplicemente a metterli in condizione di poter valutare con la massima cognizione di causa.

Alle colonne d'Ercole

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La mia ultima avventura