15 febbraio 2011

Chiusura via Leonardo da Vinci: fare di necessità virtù non rende necessariamente virtuosi

di Rosanna Palazzi e Tullio Berlenghi


A Labico le cose si fanno sempre in un modo un po’, come dire, naif. Alla buona, insomma. Ultima, in ordine di tempo, la pseudo-chiusura al traffico veicolare di via Leonardo da Vinci durante l’orario di entrata e uscita dalle scuole. La prima perplessità è sul “metodo”. Perché una decisione così importante viene assunta dal giorno alla notte, senza preoccuparsi di valutare con attenzione le possibili conseguenze e, soprattutto, senza un minimo di informazione ai cittadini? E’ tutto un passaparola sulle motivazioni. Sembra che dipenda dai lavori in un plesso della scuola elementare. Che lavori? Per fare cosa? Non si sa nulla. Gli amministratori non spiegano nulla. Sul sito internet non c’è una sola riga in proposito. Solo dopo una decina di giorni esce un comunicato congiunto di sindaco e vicesindaco che si sbrodolano per i segnali positivi della chiusura della strada. In realtà la strada è tutt’altro che chiusa. Sono in molti ad avere il permesso in deroga. Qualcuno indubbiamente più che giustificato, ma le deroghe sono talmente tante che i genitori che non fanno parte della categoria dei privilegiati si sentono spesso costretti ad accompagnare i figli, visto che la strada è percorsa comunque da decine di automobili. Non è stato organizzato un servizio di vigilanza adeguato e i problemi di sicurezza per i ragazzi rimangono irrisolti (l’attraversamento pedonale della Casilina in prossimità della “croce” non è presenziato, con conseguente pericolo per i bambini che attraversano in quel punto). I primi giorni c’è stata la protezione civile, adesso c’è un vigile (e non sempre) all’inizio della strada. I furbi – che non mancano mai – si organizzano in vari modi per eludere i pochi controlli presenti. A pagare il prezzo sono le persone corrette e i bambini, la cui sicurezza nel percorrere a piedi la strada non è certo migliorata, anche perché le auto che passano si sentono autorizzate ad andare a velocità piuttosto sostenuta (la strada è più libera).

Ancora una volta emerge una chiara superficialità di chi amministra e che sciupa anche un’occasione “contingente” come questa per dare un valore ad una scelta che in moltissime città d’Italia è stata fatta nell’interesse della salute dei bambini. Eppure i nostri amministratori questa opportunità l’avevano avuta ben sette anni fa. Un progetto talmente “avveniristico” che sembra non l’abbiano proprio capito. Per loro il problema era esclusivamente l’intasamento di via Leonardo da Vinci. Non avevano colto la valenza culturale, ambientale e sociale della proposta. E lo dimostra il fatto che abbiano declassato a “referendum” un articolato questionario elaborato per studiare con attenzione le problematiche che la pedonalizzazione della strada avrebbe potuto comportare. Quel progetto aveva un senso, un significato, un obiettivo. La giunta Giordani l’ha trasformato in una più semplice riduzione del traffico connessa ai lavori della scuola. Il che significa due cose: la prima è che la grande elasticità con cui si applica una regola di per sé molto incerta ha creato una categoria di cittadini di serie B ai quali è preclusa la possibilità di percorrere la strada; la seconda è la ragionevole certezza che quando termineranno i lavori (che, a quanto pare, non sono neppure iniziati) tutto tornerà come prima. Non si capisce perché, allora, si cerchi di spacciare questa scelta come qualcosa di diverso da quello che è: una semplice ordinanza temporanea di modifica della viabilità.

8 febbraio 2011

Una riflessione sul conclave di Bologna del 29 e 30 gennaio 2011


Ho partecipato all’ecoconclave di Bologna. Non è stato facile organizzarsi per dedicare due giorni all’iniziativa, ma mi sembrava importante esserci. Mi accompagnava un cauto entusiasmo e il bisogno di avere un punto di riferimento. Il desolante quadro politico ha reso diversi milioni di cittadini “orfani” di rappresentanza istituzionale. Si potrebbe discorrere a lungo sulle cause che sono alla base di questa situazione. Si potrebbe cercare di individuare colpe e responsabilità. Probabilmente non serve o, perlomeno, non è la priorità. Bisogna intanto cercare di capire quali sono gli obiettivi che si prefiggevano le persone che si sono riunite a Bologna, come raggiungerli e come organizzarsi per farlo.
A Bologna c’erano molte persone che non si conoscevano. C’erano gruppi che avevano lavorato (e che stanno lavorando) in modo autonomo, ma con moltissimi punti in comune. Dal punto di vista dei contenuti mi sembra di poter dire che si era registrata una grande condivisione di intenti. Nella suddivisione dei gruppi di lavoro, io ho seguito proprio quello sui contenuti ed ho potuto notare (e apprezzare) proprio questo aspetto positivo. Non sembrava – come spesso avviene nelle aggregazioni politiche – una melassa indistinta in cui le posizioni sui singoli temi possono essere le più disparate. Tutti i partecipanti erano accomunati dal medesimo approccio etico e culturale. Probabilmente potranno esserci differenti visioni su aspetti marginali, ma un comune denominatore c’era ed era di notevole spessore. Mi era sembrato un buon punto di partenza, ma – forse – ho peccato di ottimismo.
In effetti i contenuti, forse proprio perché dati per “scontati”, non sono stati al centro dell’attenzione dei “conclavisti”, molto più attenti ad altre due questioni: regole e alleanze. Proprio questi aspetti hanno dato vita ad un clima – non proprio gradevole – di diffidenza degli uni verso gli altri, creando la sensazione che qualcuno si sentisse un po’ più puro e un po’ più pulito degli altri. Atteggiamento che, spesso, è accompagnato da spontaneità, sincerità ed onestà intellettuale. Il problema è capire se e quanto un clima di “sospetto” possa nuocere alla nascita – già di per sé non agevole – di un nuovo soggetto politico.
L’altro visto come una minaccia, un problema, un pericolo è un atteggiamento piuttosto diffuso e anche comprensibile, però, forse irrazionalmente, mi sarei aspettato un clima più accogliente.
La sensazione è quella di un dejà vu. Sia per esperienza diretta, che indiretta. Solo nella recente storia del panorama politico si sono visti nascere soggetti nuovi, in cui l’elemento di maggiore rilievo era la alterità rispetto al sistema politico tradizionale, considerato corrotto ed incapace di rappresentare i bisogni dei cittadini. Nei casi in cui l’unico elemento distintivo era l’essere “diversi” questi soggetti politici si sono sciolti come neve al sole subito dopo aver conquistato le prime poltrone. Quando invece c’è anche una pulsione ideologica, dei contenuti, degli obiettivi (buoni o cattivi che siano) il soggetto può anche sperare di durare un po’ di più. In questo caso, però, iniziano i dubbi, le contraddizioni, le difficoltà a mantenere fede a propositi che sembravano naturali e irrinunciabili. Emergono invece dinamiche ineluttabili, che hanno a che fare con la gestione di potere, con i contrasti personali, con la diversità di visione di strategie e obiettivi che – inesorabilmente – portano a fratture e scontri. Ci si accorge quindi che, per quanto possano essere state rigorose le regole che ci si è dati, per quanto possano essere state meditate le scelte, il soggetto politico - che è un’entità viva, dinamica, che cambia nel tempo – si può trasformare in qualcosa d’altro rispetto a quello che era in origine. Qualcosa che, magari, non ci piace più come prima. Qualcosa che fa scelte che non condividiamo. A quel punto cosa si deve fare? Si può scegliere di rimanere all’interno e di portare avanti una battaglia democratica perché ci sia un nuovo cambiamento nella direzione opposta, oppure si può decidere di costruire un nuovo soggetto politico, il quale, in quanto “nuovo”, sarà sicuramente più puro, più pulito, più presentabile di quello “vecchio”. La storia della politica italiana è costellata di tantissime – più o meno fortunate – esperienze di questo tipo. Esperienze che dovrebbero insegnare qualcosa, anche perché le energie e le risorse delle persone che partecipano sono un bene prezioso che non si può disperdere per l’incapacità di trovare un accordo che porti a costruire davvero qualcosa.

Proviamo però a passare dalla teoria alla pratica e cerchiamo di capire le potenzialità di questo progetto e a vedere se e in che modo queste potenzialità possano tradursi in un agire politico concreto.

Obiettivi. L’obiettivo è probabilmente quello di incidere sulle scelte di chi governa e amministra. Si vuole un’economia più attenta ai diritti delle persone ed alla tutela dell’ambiente. Questo signfica mutare radicalmente alcune scelte (urbanistica, trasporti, industria, agricoltura, ecc.). Come si fa? Con la cosiddetta “moral suasion” dell’autorevolezza nostra e delle nostre idee? Non mi sembra molto probabile. Ci sono più che prestigiose associazioni ambientaliste, le cui tesi sono suffragate da studi economici e scientifici, che da anni danno indicazioni e suggerimenti, per lo più inascoltati. La via è un’altra, la stessa su cui in molti hanno fallito: entrare nelle istituzioni e “dall’interno” cercare di orientare le scelte. Su questo mi è sembrato che ci fosse un sostanziale accordo. Il problema è sul metodo e sulle alleanze. Si va da soli? Anche quando le leggi elettorali penalizzano fortemente questa autonomia? Qui si può discutere all’infinito e ognuno ha una sua opinione. E le ingarbugliate vicende politiche nostrane sono in grado di accreditare qualunque ipotesi. Indubbiamente l’assoluta solitudine difficilmente può pagare in termini di risultati. E una delle domande che bisogna sempre porsi è: quali, ragionevoli, obiettivi si intende perseguire? Perché il mondo esattamente come piacerebbe a noi non si può costruire in un anno o due, ma nemmeno in una generazione. E non perché ci sono i cattivi, i venduti e gli affaristi. Il livello socio-culturale di questo paese non è pronto a rivoluzioni eco-copernicane. Parlare astrattamente di rifiuti zero è gratificante. Poi bisogna andare dai cittadini e spiegare loro che dovrebbero modificare comportamenti e stili di vita. Nella maggior parte dei casi la reazione non sarà delle migliori. E questo vale per moltissime altre cose per le quali la percezione di benessere è completamente distorta e le persone sono davvero convinte di stare “meglio” nella situazione peggiore. Pensiamo ad una persona che deve percorrere tre chilometri nel traffico urbano. E’ convinta di fare prima e meglio in automobile, quando – in una situazione ideale – una forte riduzione di mezzi privati consentirebbe di percorrere in metà tempo lo stesso tragitto con un mezzo pubblico. Siamo certi di poter fare tutto questo da soli? Con la consapevolezza che – in democrazia – per poter andare avanti “da soli” su alcune scelte dobbiamo prima conquistarci il consenso di un parte rilevante (la maggioranza possibilmente) di quelle stesse persone che sono del tutto inconsapevoli della necessità di modificare il proprio stile di vita? Persino la Lega, portatrice di cultura e valori molto più facili da comunicare (anche e soprattutto perché basati su presupposti egoistici), ha dovuto costruire un’alleanza per poter imporre le proprie scelte. E, per farlo, ci ha messo comunque oltre vent’anni. Io non ho la soluzione. Credo solo che sia necessario riflettere con molta attenzione sui rischi che un atteggiamento troppo rigoroso possa nuocere alla realizzabilità del progetto.

Regole interne. Ho la sensazione che il nascente progetto ondeggi tra la voglia di mettere regole molto rigide per evitare che qualcuno faccia il furbo e la tentazione di essere un po’ anarchici, lasciando che il rispetto verso gli altri sia affidato al buonsenso di ognuno. Entrambe le posizioni hanno una loro ragionevole dignità. Certo, una totale assenza di elasticità crea un clima poco ospitale, ma, d’altro canto, il buonsenso è merce rara anche nel nostro ambito. Pensiamo, ad esempio, agli interventi in assemblea plenaria. Ci si è dati una regola – giusta – di limitare il tempo degli interventi affinché tutti potessero parlare. Salvo poi derogare ampiamente per qualcuno – soprattutto per i primi (che non si sono preoccupati certo di autolimitarsi) -. Si è peccato sicuramente di ingenuità, ma il risultato è stato che man mano che passava il tempo si diventava sempre più severi e qualcuno – come il sottoscritto – non ce l’ha comunque fatta ad intervenire. Altre cose non hanno funzionato al meglio e, probabilmente, qualche contrattempo è addebitabile ad un eccesso di zelo democratico, ma bisogna rendersi conto che, con le migliori intenzioni, si ottiene l’effetto opposto, ossia la sottrazione di democrazia o, almeno, di partecipazione.

Gli “altri” partiti. Sotto questo aspetto ho avuto la sensazione di una grande ingenuità. La cartina di tornasole della qualità di un soggetto non può essere la sua denominazione. Nello stesso errore incorsero proprio i Verdi alla loro nascita. I Verdi non si vollero definire un “partito” (uno degli slogan era “i partiti sono partiti, ora sono arrivati i verdi”). Ma alla fine era diventato solo un espediente dialettico. Formalmente era difficile spiegare la differenza. Tantomeno considererei affidabile un soggetto solo perché si chiama “lista civica”. Pensiamo davvero che essere “lista civica” sia garanzia di qualità? La coalizione che amministra il mio paese e che ha deturpato in modo irreversibile il territorio per avvantaggiare speculazioni edilizie è esattamente una “lista civica”, senza simboli di partito. L’unica certezza che dobbiamo avere è quella della complessità del problema e che ogni tentativo di suddividere per categorie (buoni e cattivi, nuovi e vecchi, politica e antipolitica) fallirebbe miseramente. Conosco persone che hanno fatto politica per molto tempo ed hanno mantenuto coerenza, rigore ed onestà intellettuale per tutta la durata del proprio mandato istituzionale e ne ho conosciute molte, “nuove”, che ci hanno messo pochissimo ad incarnare il peggiore degli opportunismi.

I Verdi. Ho provato una strana sensazione al conclave di Bologna. Mi sono iscritto ai Verdi nel 1987. E’ l’unica tessera di partito che abbia mai avuto. Non ho mai avuto un incarico elettivo, istituzionale o in qualche azienda grazie ai Verdi. Sono consigliere comunale, eletto in una lista civica (quindi “buona”?). A casa ho montato pannelli fotovoltaici, e un impianto di solare termico, uso lampadine a basso consumo. Produco pochissimi rifiuti e quei pochi li differenzio da sempre. Faccio parte di un gruppo di acquisto solidale. Compro preferibilmente prodotti a chilometri zero e biologici. Sono vegetariano, pacifista e mi curo con le medicine alternative. Non fumo e non foraggio così le multinazionali del tabacco. Per i miei spostamenti quotidiani vado a piedi, in bici o con i mezzi pubblici. Questo senza biasimare chi non ha fatto le mie stesse scelte.
Per 15 anni sono stato considerato da molti miei interlocutori il male assoluto e responsabile di molti disastri. Esondano i fiumi: è colpa dei verdi che non li fanno dragare. C’è traffico: è colpa dei verdi che non fanno fare le strade. C’è il black-out: chi è che non ha fatto fare le centrali nucleari? I verdi, ovviamente.
Ero andato al conclave pieno di entusiasmo e di speranza… e mi sono trovato a personificare, di nuovo e mio malgrado, il “male assoluto”. Non è importante e mi preoccupa poco, a certe cose si fa l’abitudine. Dove svolgo il mio incarico sono stato oggetto di minacce e insulti, sono stato denunciato per un reato (stampa clandestina), querelato per un altro (diffamazione), il mio vicesindaco ha promosso nei miei confronti una causa civile, chiedendomi 50mila euro di anni perché mi oppongo alla politica di devastazione del territorio.
Di responsabilità vere i verdi ne hanno più di qualcuna. Di furbi che ne hanno approfittato per fare carriera politica personale. Di scelte di governo discutibili e che io ho criticato con forza in tutte le sedi possibili. Non è questo il momento per parlarne. Penso soltanto che adesso c’è un’assenza di rappresentanza delle mie (e non solo mie) istanze nelle istituzioni. Quella promossa a Bologna potrebbe essere un’occasione per restituire rappresentanza a quei valori e alle persone che ne sono portatrici. E io ho fatto lo sforzo di dedicare un po’ del mio tempo ad “ascoltare”, sperando in un clima positivo e propositivo. I contenuti, il merito, le proposte, i valori, sono sembrati gli stessi che io porto avanti da tempo. Però, ad un certo punto, ho avuto la stessa sensazione che avevo provato in passato con altri interlocutori: quella di essere il “male assoluto”.
Forse il mio destino è quello di continuare a fare le mie battaglie (quasi) da solo. Ecoterrorista per i miei avversari, troppo ecologista per i miei alleati, troppo compromesso per chi sta lavorando ad un progetto che sembra voler rappresentare le mie istanze. Un bel progetto, promosso da persone che apprezzo e stimo, ma che rischia di arenarsi prima ancora di nascere. Nella drammatica situazione che sta vivendo il nostro Paese mi sembra da irresponsabili sciupare così questa opportunità.


Tullio Berlenghi

4 febbraio 2011

Decoro urbano a Labico: una chimera.

Labico, 3 febbraio 2011


Al Sindaco di Labico
Al consigliere delegato all’ambiente

Oggetto: decoro centro storico

Con la presente si segnala quanto segue:

in diverse zone del paese (si allegano foto) sono presenti contenitori “speciali” per la raccolta di pile e farmaci, nonché vecchi contenitori per la raccolta dei rifiuti urbani;

alcuni di questi contenitori risultano in stato di abbandono ed anzi spesso sono oggetto di atti di vandalismo che ne deturpano l’aspetto, ne compromettono l’utilità e ne rendono pericolosa la presenza;

in particolare si ritiene che una particolare attenzione debba essere posta al contenitore dei farmaci usati – perennemente colmo a riprova della mancanza di regolarità nella raccolta - che costituisce un oggettivo pericolo, soprattutto in considerazione della sua ubicazione in un luogo molto frequentato dai bambini;

oltre ad essere evidentemente inutili, tali contenitori abbandonati compromettono il decoro urbano del nostro paese, specie di un centro storico che sta faticosamente adattandosi alle nuove regole della raccolta differenziata;

ancora in tema di rifiuti si segnala che la drastica diminuzione delle campane di raccolta differenziata rende impossibile per i cittadini che, pur non essendo coperti dal porta a porta, desiderano differenziare i rifiuti domestici;

si segnala altresì che la rimozione delle “campane” in prossimità del centro anziani è stata un’occasione persa per procedere alla sistemazione del marciapiede, che invece si è trasformato in un parcheggio per le automobili, con notevole disagio per chi percorre a piedi la via Casilina;

da ultimo i cassonetti indifferenziati rimasti nelle zone del paese non ancora coperti dalla raccolta porta a porta risultano sempre sovraccarichi di immondizia, ciò induce a pensare che molti cittadini non curanti del porta a porta continuino a non differenziare i rifiuti e ad utilizzare i cassonetti indifferenziati – oltre, ma questo è un altro problema – a cospargere i centro storico di immondizia.

Alla luce di quanto esposto chiediamo al sindaco e al consigliere delegato:

se il sindaco sia a conoscenza di questo grave problema di decoro urbano;

se intenda far rimuovere i contenitori inutili e distrutti che sono presenti sul territorio labicano, oppure incentivarne l’uso;

se intenda potenziare la presenza della campane della raccolta differenziata nelle zone dove non è ancora presente il porta a porta;

se non intenda mettere in atto – come si era detto in occasione dell’avvio – un serio controllo sui cittadini che dovrebbero avvalersi della raccolta porta a porta ma che, evidentemente, non lo fanno.


BERLENGHI, SPEZZANO

3 febbraio 2011

Da non credere: anche il giornale del comune è "clandestino"...



Ogni volta che esce LabicoNews è d’obbligo una controreplica da parte nostra per sottolineare almeno una parte delle, tante, sciocchezze che vengono fatte passare per informazione. Dopo la polemica per la denuncia per “stampa clandestina”, abbiamo pensato, però, di verificare il rispetto della legge da parte della pubblicazione istituzionale. Siamo andati a cercare il numero di registrazione presso il tribunale e abbiamo visto che non c’è. Il notiziario amministrativo è ancora in attesa di registrazione. A rigor di logica, visto che Galli – a proposito della denuncia – pontificava: “Se ci sono delle regole vanno rispettate”, sarebbe stato più opportuno aspettare l’avvenuta registrazione. Diciamo che va bene così, in fondo perché essere troppo rigidi. Tuttavia sovviene un’altra domanda: ma quanto tempo ci vuole a registrarsi presso il tribunale? Siamo in attesa di registrazione da oltre un anno? Siamo andati a vedere il precedente numero (dicembre 2009). Ecco, qui non c’è nulla di nulla. Nel primo numero di LabicoNews manca la registrazione e, finanche, l’indicazione del direttore responsabile. Siamo in palese violazione della legge n. 47 del 48. Si integra l’ipotesi del reato di “stampa clandestina”. Qui, come diceva l’ispettore dell’assicurazione a Benigni in Johnny Stecchino, si va nel penale… Ma sono certo che Galli e Giordani, così ligi alla legge, provvederanno subito a segnalare la gravissima irregolarità alle autorità competenti…o no?

2 febbraio 2011

Un'amministrazione in piena attività... onirica


Con una certa forzatura semantica del termine il nostro sindaco ha deciso che “LabicoNews”, giunto alla sua seconda uscita, è ormai una tradizione. Se consideriamo anche “Notizie dal comune” le uscite complessive della pubblicazione (dis)informativa dell’amministrazione diventano quattro negli ultimi cinque anni. Solo il costo eccessivo frena l’auspicio che se ne intensifichino le uscite, visto che la sua inconsapevole comicità lo rende un prezioso passatempo nelle fredde serate invernali.
Molti cittadini labicani – quelli che non si lasciano ingannare facilmente – lo avevano, già da tempo, soprannominato “bugiardino”. E il “bugiardino” è talmente compreso nel suo ruolo di mentitore ufficiale che la prima bubbola la scodella ancor prima di uscire. Infatti, la delibera con cui la giunta ne ha approvato l’impegno di spesa parla di una richiesta economica invariata rispetto all’anno precedente. Peccato che non si dica che il giornale, nel frattempo, si sia praticamente dimezzato. Un po’ come telefonare all’albergatore per prenotare la settimana bianca, sentirsi rispondere che il prezzo è lo stesso dell’anno precedente, e ritrovarsi fuori dall’albergo il giovedì pomeriggio: un affarone. Sul contenuto, poi, c’è davvero da sbizzarrirsi, anche se bisogna apprezzare la fantasiosa capacità di mettere insieme una tale congerie di amenità e, soprattutto, di rendicontare il nulla. Il prodotto editoriale finale ha pienamente confermato il nostro timore che, con i soldi dei cittadini, si facesse un’operazione di propaganda politica. Così è stato. Non un’informazione utile. Non una notizia degna di questo nome. Non una comunicazione che possa essere considerata un servizio ai cittadini. Il bugiardino non è altro che la passerella della maggioranza. Il problema è che, dovendo riepilogare l’attività amministrativa della più inattiva amministrazione degli ultimi 150 anni (dall’unità d’Italia in poi, quindi), l’estensore (o chi per lui) ha dovuto faticare non poco. Sia Giordani che Galli citano trionfalmente una cifra legata alle opere pubbliche: oltre 4 milioni di euro per il sindaco che diventano oltre 4,5 per il suo vice (da pagina 3 a pagina 4, ma è noto che l’inflazione galoppa). Per Giordani questi sono soldi “smossi”, mentre per Galli sono stati “messi a disposizione”. La tecnica è sempre quella di sparare cifre a casaccio, come se un valore alto fosse intrinsecamente un successo. Intanto è abbastanza ridicolo fare il resoconto del 2010 e mettere insieme somme stanziate (e spese) negli anni precedenti e importi relativi ad opere che verranno realizzate (se va bene) nei prossimi anni. Poi bisogna vedere “come” si spendono i soldi. Infatti, non è detto che un prodotto costoso sia automaticamente un buon prodotto. Esistono anche le fregature. Tra queste, tanto per fare un esempio, la mitica pista ciclopedonale, che è costata (dati di Galli) 184mila euro. Un altro affarone. Un inservibile prezzo di asfalto, ancora non ultimato, non utilizzabile dai ragazzi che ci tengono alla propria pelle e il cui costo per metro lineare ammonta ad oltre 430 euro. A farla in mogano si risparmiava. Le opere citate sono le stesse del precedente bugiardino. L’unica “terminata” (per modo di dire) e ampiamente sbandierata già l’anno scorso (ma la sarà anche il prossimo e il successivo), il primo lotto dei marciapiedi di via Roma, ha già avuto bisogno di interventi di riparazione, a causa della mancata installazione dei dissuasori di sosta. In particolar modo Galli si spertica in un avvilente elenco di “incompiute”, tutte molto costose e in programma da tempo, ma il cui effettivo completamento sembra essere di là da venire. Si va dalla messa in sicurezza e ampliamento di alcuni plessi scolastici agli spogliatoi del campo di calcetto, dall’asfaltatura del parcheggio degli impianti sportivi all’illuminazione stradale. Tutta roba che dovrebbe essere già stata consegnata ai cittadini da un pezzo. Non a caso, infatti, le ditte chiedono dilazioni che l’amministrazione tende a concedere con grande generosità. In fondo gli oltre 4,5 milioni di euro mica sono i loro, sono i nostri. La vena umoristica pervade l’intero libercolo promozionale. Ad esempio nelle pagine dedicate alle attività produttive, si citano due iniziative: il fondo per i commercianti in difficoltà (che nasce da una proposta dell’opposizione, promossa da Benedetto Paris) e la mancata creazione di un’area di sviluppo industriale. In sostanza si riporta come un successo il fatto di aver fatto marcia indietro su un progetto che ci è costato 20mila euro (sempre soldi dei cittadini), omettendo di dire che chi si è battuto per ottenere la revoca della delibera sono stati i consiglieri di opposizione i quali, insieme ai cittadini, hanno conseguito una straordinaria vittoria per la tutela del nostro territorio. La pagina della cultura non è da meno. Intanto la novità è che sta per aprire la biblioteca. La stessa cosa che disse Giordani nel 2007, la ridisse nel 2008, la ripeté nel 2009, la ribadì nel 2010. Ogni anno c’è un traguardo intermedio da raggiungere prima dell’apertura: il finanziamento, il regolamento, l’adesione al sistema bibliotecario. E, alla fine, un po’ come nel paradosso di Zenone, non si riesce mai a raggiungere l’obiettivo finale. Scaccia ha vantato lo straordinario successo dello sportello antiusura, dove sembra abbia trovato impiego il nipote, dimenticando di dire che sono così soddisfatti del risultato che quest’anno non hanno riproposto il progetto. L’assoluta assenza di iniziativa ha portato i nostri zelanti amministratori ad appropriarsi del lavoro altrui, come nel caso della – splendida – iniziativa organizzata dalle associazioni (Banda Larga in primis) durante il periodo natalizio, che è diventata una decisione del comune e nella quale, guarda caso, l’unica cosa che non ha funzionato è stata la mostra del libro promossa dal comune, pagata dal comune (e quindi da noi) e della quale non c’è stata la benché minima traccia. Per non parlare della squadra di calcio, nata dalla passione e dall’entusiasmo di un gruppo di ragazzi, iscritta d’ufficio tra i successi dell’amministrazione.
Ci sarebbe molto altro da dire, ma si ha sempre un po’ la sensazione di sparare alla croce rossa e mi rendo conto di quanto sia stato arduo cercare di raccontare in tono brioso e convincente l’assoluta immobilità di questa amministrazione. E’ un po’ come fare la telecronaca di una partita durante l’intervallo. Con l’unica differenza che nell’intervallo di una partita c’è un prima da ricordare e un dopo su cui avanzare delle ipotesi. Con i nostri amministratori il prima è da dimenticare e c’è solo da augurarsi che ci sarà un dopo e che arrivi il prima possibile.

Alle colonne d'Ercole

Alle colonne d'Ercole
La mia ultima avventura