La frequentazione dei tribunali è molto istruttiva.
L’ho scoperto solo di recente, da quando seguo la politica locale, ma sto
recuperando un po’ del tempo perduto. Per questo devo ringraziare Alfredo Galli e il suo
personalissimo modo di amministrare. Noto a tutti, ma che quasi nessuno ha mai
avuto il coraggio di contrastare seriamente. Io l’ho fatto e questo mi ha
portato a conoscere piuttosto bene la strada che separa Labico da Velletri,
sede del tribunale – penale e civile – competente per il nostro territorio.
Qualche giorno fa sono stato, in qualità di parte
civile, all’udienza del processo contro Alfredo Galli. Il reato contestato dal
pubblico ministero, che ne aveva chiesto il rinvio a giudizio, è “abuso
d’ufficio”. Una bazzecola. Un semplicissimo “reato contro la pubblica
amministrazione”. Si parla di indebita distrazione di fondi pubblici. Robetta.
Tra l’altro lui non è semplicemente indagato. E’ imputato. Per una cosa così,
neppure il suo partito di riferimento – il PDL, notoriamente un partito molto
“elastico” sulle vicende penali dei propri rappresentanti – potrebbe
candidarlo, a sentire le ultime dichiarazioni del segretario Alfano. Invece lui
non solo non ha fatto una piega, ma si è anche ricandidato come sindaco.
L’altro giorno, però, era particolarmente nervoso.
Dall’esame dei testimoni e degli imputati sono emerse diverse incongruenze sulla
vicenda.
Provo a ricostruire in modo sintetico i fatti. Nella
scorsa consiliatura l’opposizione scopre, complice una piccola ingenuità nella
redazione di una delibera, che da un paio d’anni l’amministrazione comunale
“regalava” l’erogazione di cinque pasti ad una struttura privata. Senza uno
straccio di atto amministrativo, senza alcunché ne dimostrasse l’interesse
pubblico. Abbiamo sollevato la questione e la risposta è stata volgare e
arrogante. Il succo era “comandiamo noi, punto”. Di fronte ad un simile
atteggiamento abbiamo chiesto tutti gli atti e li abbiamo trasmessi alla
magistratura, affidando a loro la valutazione sulla legittimità delle
procedure. Il pubblico ministero ha subito individuato delle palesi
irregolarità e ha avviato una serie di indagini, al termine delle quali il
sindaco è stato rinviato a giudizio. Solo ieri, dopo circa due anni, c’è stata
la prima udienza “interessante”. Sono stati ascoltati Scaccia, la responsabile
della struttura e Galli. Il sindaco ha smentito alcune affermazioni di Scaccia,
che ha sostanzialmente preso le distanze dalla procedura di assegnazione del
patrocinio, decisamente molto disinvolta. La beneficiaria del patrocinio ha
spiegato che, per ottenere l’erogazione dei pasti, è stato sufficiente un
incontro nell’ufficio del sindaco. Galli ha chiamato il responsabile
dell’ufficio e gli ha detto di fare avere cinque pasti al giorno alla
struttura. Non c’è stato bisogno di altro. Un po’ insolito, vero? Sono comunque
migliaia di euro di costi aggiuntivi per l’amministrazione comunale e Alfredo
Galli - che all’epoca avrà avuto “appena” 25 anni di esperienza come
amministratore tra consigliere, assessore, vicesindaco e sindaco – non si è
posto il problema di rispettare le procedure di legge, non sì è chiesto se
l’appalto prevedesse una simile possibilità, non ha pensato che, essendoci un
impegno di spesa, era necessario quantomeno un visto di regolarità da parte
dell’ufficio competente. Del resto, se non fosse stato per un’ingenuità, non se
ne sarebbe saputo nulla. E ci si chiede: in quante altre occasioni il sindaco
avrà disposto in modo così spigliato delle risorse pubbliche?
La strategia processuale viaggia su due binari: si
sta cercando, da un lato, di sminuire la gravità della vicenda, e, dall’altro, di
dimostrare la regolarità della procedura. E’ infatti comparso un documento,
privo di numero di protocollo, che dovrebbe rappresentare l’atto amministrativo
con cui il sindaco avrebbe dato le disposizioni necessarie. Per il resto buio
assoluto. Ci si basa solo su presunzioni indimostrabili. “Tutti sapevano”,
“Tutti erano stati informati”. Ma tutti chi? Non c’è un solo documento che
attesti la trasparenza di quanto avvenuto, anzi. I maldestri tentativi di
rabberciare la situazione hanno dato vita ad un sacco di contraddizioni. Ad
un’udienza hanno addirittura fatto pervenire una pagina del bilancio, dalla
quale si sarebbe dovuto desumere che l’iniziativa aveva finalità sociali (l’ho
fatto a fin di bene, è la tesi). Peccato che la pagina non dimostri alcunché e,
soprattutto, il capitolo citato non è quello da cui sono stati presi
effettivamente i soldi.
Per quale motivo un sindaco dovrebbe destinare
risorse pubbliche ad un’attività privata senza avere la certezza di un
vantaggio per la collettività? Che l’attività privata sia di interesse pubblico
non è in discussione, ma è anche vero che la finalità – legittima, per carità –
è comunque quella del guadagno. Anche il panettiere e la farmacia sono di
interesse pubblico. Se non ci fossero sarebbe un problema. Però nessuno
immagina che un sindaco possa decidere – ad esempio – di cedere loro un locale
del comune schioccando semplicemente le dita. E Galli sa bene che non poteva
farlo. E lo sapeva anche quando ha ostentato il proprio potere di fronte alla
giovane imprenditrice chiamando il funzionario e indicandogli quello che doveva
fare. Durante la difesa in aula Galli ha citato la legge Bassanini
sulla responsabilità dei funzionari. In pratica, è la tesi del sindaco, io non
ho deciso praticamente nulla. Ha fatto tutto il dirigente. Se c’è un errore,
l’ha fatto lui. Immaginiamo la situazione. Un potente sindaco intima ad un
funzionario di dare seguito ad una sua richiesta. Mancano i presupposti
giuridico-amministrativi. Lo sanno entrambi. Ma il sindaco ha appena fatto lo
“splendido” (come si dice a Roma) e il funzionario sa che il suo “status”
all’interno dell’amministrazione dipende da quel sindaco. Tra l’altro ci sono le
elezioni amministrative alle porte e questo tipo di azioni genera gratitudine e
la gratitudine si trasforma facilmente in consenso. Il funzionario avrebbe
dovuto dire: “Certo sindaco, appena approvate la delibera di giunta, faccio la
determina”. Ma, probabilmente, lo sguardo del sindaco non lascia spazio ad
esitazioni. Quella cosa va fatta e subito. Senza troppi appesantimenti
burocratici. In fondo ogni mese il comune paga migliaia di euro per i pasti. In
parte vengono recuperati con la vendita dei buoni pasto, ma la copertura dei
costi è sempre piuttosto bassa. Quanto vuoi che incidano su un capitolo di
spesa per il quale la previsione è sempre piuttosto incerta? Tanto vale
chiamare la ditta (non risulta, infatti, neppure anche un ordine scritto) e chiedere
di portare cinque pasti da un’altra parte. Non è previsto dall’appalto (e anche
qui si viola la legge) ma anche la ditta avrà avuto le sue buone ragioni per
non stare a fare troppe storie. L’irregolarità nasce tutta qui. Da questa
approssimazione mista a debolezza, connivenza o interessi. Certo, poi, anche se
parte un’indagine della magistratura, gli anni passano, i ricordi diventano
sbiaditi e le cose sembrano meno gravi. Poche migliaia di euro. In fondo è una
struttura che serve. Magari davvero si è abbassato il costo della retta per le
famiglie. Inoltre ci vanno di mezzo quelli che c’entrano poco o niente: il
privato (che non è tenuto a conoscere le procedure) o il funzionario (che è
comunque l’anello debole).
Non so come andrà a finire. Gli atti processuali
dimostrano – senza tema di smentita – che c’è qualcosa di piuttosto singolare
nella procedura. Intanto, non solo manca agli atti un documento che attesti la
richiesta di patrocinio. La risposta, in compenso, c’è. E’ un atto firmato dal
sindaco, datato settembre 2006, ma non protocollato. In sostanza – se il
documento è autentico, ma l’assenza del protocollo e l’evidente fretta con cui
è stato scritto giustificano eventuali dubbi – il sindaco concede il patrocinio
prima ancora di autorizzare l’attività, che avverrà solo due mesi dopo, a
novembre del 2006. Facciamo il confronto con la recente richiesta di sostegno
economico del gruppo donatori di sangue. La finalità è evidentemente più che
meritoria e senza alcun fine di lucro. La somma è decisamente modesta, appena
200 euro. Eppure è stata necessaria una richiesta scritta e regolarmente
protocollata a cui ha fatto seguito una delibera di giunta, provvista del visto
di regolarità contabile. Tutto questo per soli 200 euro. Mentre, per migliaia
di euro l’anno ad un’impresa privata sono bastati un colloquio nell’ufficio del
sindaco e un paio di telefonate. Tutto molto strano. Così come è strano che,
subito dopo la scoperta, si siano precipitati ad annullare l’erogazione dei
pasti, quasi a riconoscere l’errore. Ed è strano anche che, durante l’iter
processuale, l’amministrazione abbia deciso – con delibera di giunta - di
fornire la tutela legale (pagata quindi con i soldi pubblici) al proprio
dirigente. L’avvocato è lo stesso che, all’inizio, difendeva anche il sindaco.
Massima fiducia nella deontologia professionale degli avvocati, ma è un altro
segnale che non tranquillizza. Chi non può certo stare tranquillo è il
dirigente, a cui, a quanto pare, Galli sta cercando di scaricare ogni
responsabilità. Tra l’altro la delibera stabilisce che, in caso di condanna, le
spese legali non le sosterrebbe più l’amministrazione, ma il dipendente. Oltre
al danno, la beffa.
???????????. SENZA PAROLE.
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