Scena del film Shining |
Sono sempre abbastanza attento all'uso dei termini che derivano dalla parola "natura", che riconduce all'idea di ambiente e di ecosistema. Lo sono per formazione, cultura, sensibilità. Anzi, l'importanza che attribuisco all'esigenza di riportare la natura al centro delle nostre azioni è talvolta oggetto di critiche, anche piuttosto aspre. La contrapposizione tra natura e progresso non ammette punti di mediazione. Il progresso assume un ruolo di dominio assoluto nelle scelte e diventa esso stesso sinonimo di benessere. La tutela dell'ambiente che ci circonda è solo marginale ed eventuale. Ogni critica ad un modello d sviluppo che rischia di peggiorare la qualità della nostra vita, danneggiare la nostra salute, contaminare l'ambiente in cui viviamo viene rispedita al mittente senza mezzi termini. E così città avvelenate dallo smog, discariche, inceneritori, pesticidi, cemento, consumo di suolo agricolo diventano tutti effetti collaterali inevitabili della nostra modernità. La natura? Sì, bella, ma non possiamo farle certo condizionare le nostre vite. Eppure cosa c'è di naturale nel mondo che abbiamo costruito? Sono forse naturali le convenzioni sociali? Lo sono i confini tra gli stati? Gli ordinamenti giuridici? O magari la chirurgia estetica?
Mi chiedo come sia possibile che siano proprio i portatori di una visione così fortemente antropizzata (ed antropocentrica) ad usare l'aggettivo "naturale" come l'unico ammissibile per qualificare correttamente la famiglia. E pretendere che ogni altra forma di legame, affetto, amore o semplice solidarietà sia bandita dalla nostra società perfetta ed incorruttibile. Salvo poi, una volta imposto un precetto così severo, ammettere molte deroghe - alcune esplicite, altre implicite) che permettono ai sostenitori di una presunta naturalità (solo per la famiglia e comunque tutta da dimostrare, visto che neanche in natura la darei per scontata) di prendersi qualche libertà (le famiglie così si allargano, cambiano forma, si moltiplicano).
Non sono in grado di stabilire quali possano essere le regole in un ambito così complesso come quello che riguarda le scelte di vita dei degli individui, i loro rapporti interpersonali, la loro sessualità, il "diritto" alla genitorialità (che, ad esempio, non credo si debba considerare un valore assoluto). Trovo però sconcertante che troppo spesso chi vorrebbe dettare regole ferree e inviolabili agli altri su questi temi non si faccia altre domande. Perché gli stessi che scendono in piazza per impedire a due persone dello stesso sesso di costruire un accordo sulla falsariga di quanto previsto dal titolo VI del libro primo del Codice civile non hanno remore a volere che si bombardino paesi e città, mietendo vite umane. Sono gli stessi che vorrebbero affondare i barconi dei disperati che fuggono da guerre di cui spesso noi siamo i mandanti. Sono gli stessi che si ricordano della Bibbia solo quando si tratta di difendere la presenza del crocifisso nelle scuole, ma se ne dimenticano quando potrebbero servire i concetti di rispetto e solidarietà. E quella vita, così sacra e pura quando si parla di feti o malati terminali, diventa improvvisamente sacrificabile quando appartiene a chi proviene dal posto sbagliato. Un posto che ci conviene rimanga povero per garantire a noi - e solo a noi - una ricchezza, un tenore di vita ed uno spreco di risorse che il mondo intero non potrebbe permettersi e che solo una profonda disuguaglianza (tutt'altro che biblica) rende possibile. Entrambi gli atteggiamenti (l'imposizione della propria morale e la negazione dei diritti umani) sono descrivibili con un unico termine: "egoismo". Egoismo nello stabilire che gli altri debbano conformarsi alla nostra particolare idea di di famiglia ed egoismo nella costruzione di un mondo che si divide tra oppressori ed oppressi. Cosa ci sia di "naturale" in tutto questo non è dato sapere.
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