E’ da troppo tempo che leggo con
preoccupazione pagine, post, commenti che additano la presenza dei ciclisti sulla
strada come uno dei mali che affliggono l’umanità. Tutto si basa su un assioma
non detto, ma che in qualche modo sembra avere fatto breccia nella nostra
cultura: le strade appartengono ai veicoli a motore, gli altri utenti della
strada sono a malapena tollerati, ma non devono recare disturbo. Una
particolare acrimonia riguarda la
categoria dei ciclisti, gli unici a cui non viene perdonato nulla. Ma
davvero i ciclisti rappresentano un “problema” per chi si muove in automobile?
Quanti preziosi minuti perde davvero un automobilista, che so, durante un anno
di guida della propria automobile? Certo non si può dire che i ciclisti urbani
facciano perdere tempo agli automobilisti, anzi, casomai è vero il contrario:
ogni bicicletta sulla strada urbana significa un’automobile in meno che circola,
meno inquinamento e un parcheggio libero in più. Eppure quando si è incolonnati
nel traffico non si pensa che la “colpa” sia delle automobili, perché
significherebbe ammettere la propria responsabilità. Eppure, se ci capita di
incrociare un ciclista nei pochi metri in cui riusciamo ad accelerare un po’
(fino al successivo semaforo, ovviamente) abbiamo la sensazione di aver
perso secondi preziosi… E per quanto
riguarda i ciclisti che troviamo sulle strade extraurbane? Quelli sono
censurabili senza appello. Intanto è evidente che loro non stanno facendo nulla
di utile, in quanto ciclisti. Certo, magari noi ce ne stiamo andando al centro
commerciale a fare la nostra “passeggiata” o stiamo andando a pranzo da amici.
Ma a condannare il malcapitato ciclista è il fatto che lui in tutta evidenza
sta utilizzando la sede stradale per svago. E questo lo trasforma in un utente
della strada di serie B, il quale deve rispettare non solo le regole del Codice
della Strada, ma anche altre regole non scritte che abbiamo deciso noi. E
quindi se non sta attaccato al bordo della strada viene subito aggredito a
colpi di clacson, per poi essere superato rombando e lanciando invettive.
Ovviamente tutto questo rigore non si applica alla propria personalissima
interpretazione del Codice della Strada. Infatti non si pretende che un automobilista
tenga la ruota di destra ad un millimetro dalla striscia longitudinale che
delimita la carreggiata, così come non si pretende che rispetti i limiti di
velocità, né ci si scandalizza se parcheggia in divieto di sosta o in doppia fila (quello sì che aumenta
la congestione e rallenta il traffico).
Il vero problema è che ci si
sente autorizzati ad imporre le proprie – personalissime – regole anche con la
legge del più forte, che sulla strada è la legge del più grosso e più veloce.
Senza pensare che in questo modo si mette a repentaglio la vita di una persona.
Superare un ciclista sfiorandolo a pochi millimetri è una pericolosissima prepotenza
che non può essere giustificata da un suo eventuale comportamento scorretto. Così
come l’essere protetti da una robusta carrozzeria non ci autorizza a non dare
loro la precedenza o a tagliare la strada in curva alle bici. Sono comportamenti
che purtroppo si verificano molto frequentemente. Con la differenza che quando
un ciclista commette un’irregolarità (per carità non è una categoria di santi e
neanche loro sono sempre rispettosi delle
norme) è il primo a pagarne le
conseguenze, mentre quando l’irregolarità la commette l’automobilista a pagarne
le conseguenze spesso è la cosiddetta “utenza debole” della strada. I diecimila
pedoni uccisi negli ultimi anni in Italia da chi sono stati uccisi? Dai
ciclisti forse? No, dai conducenti di veicoli a motore (in maggior parte
automobili), in buona parte dei casi per non aver rispettato le strisce
pedonali.
Nonostante queste banalissime e
persino ovvie considerazioni, la campagna di intolleranza sui social network
nei confronti dei ciclisti assume toni sempre più accesi. Ho letto molte,
troppe, volte affermazioni di persone pronte a “mettere sotto” i ciclisti
indisciplinati (“così imparano”) o, nei casi più gentili, ad affiancarli “sgasando”
copiosamente per ripristinare la gerarchia stradale. Questo avvilente
dibattito, con la giustificazione della riaffermazione con la forza dei propri
(presunti) diritti, innesca una spirale pericolosa. Ognuno di quelli che –
magari anche in modo scherzoso – condivide pagine o post che inneggiano alla
giustizia sommaria nei confronti dei ciclisti (la cui colpa spesso è solo
quella di circolare sulle strade, di esistere, in pratica) alimenta più o meno
consapevolmente un clima di aggressività inaccettabile. Perché sappiamo tutti
che la gran parte delle minacce sono parole al vento, però non dobbiamo
dimenticare che la percentuale di coglioni è tutt'altro che irrilevante. Lo dimostra l’omicidio (non parliamo di incidente, si ipotizza l’omicidiovolontario) di ieri in provincia di Lecce. Pensateci bene prima di condividere
l’ennesimo post contro i ciclisti.
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