In un impeto autolesionista
ferragostano ho dato un’occhiata al sito del comune e mi sono imbattuto nelle
ultime delibere di giunta pubblicate. Ancora una volta ho potuto constatare la
pervicace sciatteria con cui vengono redatti atti importanti, dai quali dipende
il buon funzionamento della macchina amministrativa, i cui effetti riguardano
tutti noi. La prima cosa che salta agli occhi è il mancato rispetto dell’ordine
cronologico di pubblicazione. Ragion per cui la delibera n. 46, del 13 luglio,
è stata pubblicata dopo la delibera n. 49, approvata il 26 luglio. La prima è
stata pubblicata il 13 agosto (un mese dopo l’approvazione) e la seconda il 2
agosto (nemmeno una settimana dopo l’approvazione). Sciocchezze, si dirà. Mica
possiamo stare qui a sindacare su ogni dettaglio marginale. Nella passata
consiliatura ebbi già modo di imbarcarmi in un’accesa polemica con l’allora
segretario comunale, anche lui troppo disponibile ad avallare alcune procedure
al limite della correttezza. Il risultato fu che si trovò costretto ad
annullare una delibera di giunta, con tanto di data e numero, ma “congelata” in
attesa di non si sa bene quali elementi. Nella circostanza ero del tutto ignaro
di cosa ci fosse dietro all’operazione, ma chiesi il rispetto di uno dei
principi basilari dell’attività della pubblica amministrazione: la forma degli
atti. E non per ragioni di mera apparenza stilistica, ma perché dietro ad ogni
sciatteria possono nascondersi insidie ben più gravi e veri propri aggiramenti
della legge. Ad esempio, col trucco della delibera datata e numerata, ma non
pubblicata, è facilissimo scrivere la delibera “alla bisogna” sulla base di sopravvenute
esigenze di carattere “politico”. In questo modo diventa, di fatto, possibile
redigere atti amministrativi, non solo ad efficacia retroattiva, ma sui quali
nessun cittadino farebbe in tempo ad esercitare eventuali diritti (ad es. l’impugnazione),
perché semplicemente non ne avrebbe il tempo.
Un'altra “perla” che ho trovato
riguarda una delibera approvata con due soli presenti: sindaco e vicesindaco. C’è,
in primo luogo, un aspetto formale. Non c’era, in quella circostanza, la
maggioranza dei membri della giunta. E il nostro statuto prevede che, per la
validità delle deliberazioni di giunta, debbano partecipare tre membri della
stessa. Certo, la legge ha imposto un taglio – sia di consiglieri che di
assessori – ma, eventualmente, bisognerebbe adeguare lo statuto (e avrei
comunque delle riserve) e non applicarlo o disapplicarlo a seconda della
convenienza. Ma il vero nodo della questione non è formale, è sostanziale.
Possibile che il nostro sindaco non sia riuscito ad individuare tre persone
disponibili a svolgere in pieno il proprio mandato assessorile? E’ questo il
senso di responsabilità di chi ci amministra? Nemmeno la fatica di partecipare
alle sedute di giunta?
Tra l’altro la delibera in
questione è di enorme importanza, visto che riguarda l’adeguamento del secondo
depuratore (Fontana Marchetta). Siamo di fronte ad un appalto, affidato senza
gara direttamente ad una ditta individuata secondo una non meglio precisata “ricerca
di mercato”, sulla base di un’inesistente (almeno agli atti) proposta di una
ditta, senza alcun riferimento sui costi dell’intervento. Il tutto ad opera di
due sole persone: Alfredo Galli e Giorgio Scaccia. E non credo che sia un caso –
sempre a proposito della forma degli atti – che manchi il visto di regolarità
contabile dell’atto. Perché, tra le tante mancanze, l’elemento che sicuramente
difetta alla delibera è la sua regolarità contabile. E non mi stupisce che il
responsabile del dipartimento si sia guardato bene dall’avallare una simile
mostruosità giuridico-amministrativa. In sostanza per sanare gli errori e le
omissioni di queste persone stiamo lasciando che le stesse immarcescibili
figure politiche individuino ed avviino le soluzioni.. Purtroppo i metodi e le
procedure sembrano essere ancora gli stessi e, temo, anche i risultati.
Ma torniamo alla delibera “congelata”
e notiamo un’altra pregevolezza. L’oggetto della delibera è l’estate labicana e
l’assessore di riferimento è, ovviamente, Nadia Ricci. Si suppone, leggendo la
parte introduttiva della delibera, che sia stata lei (e comunque il suo
assessorato) a curarne il contenuto. E mai e poi mai, avremmo giurato, si
sarebbe sognata di non partecipare alla seduta di giunta in cui si approvava l’estate
labicana. Invece, a leggere il frontespizio della delibera, lei risulta l’unica
assente. Salvo poi apporre la propria firma – in qualità di assessore di
riferimento – in calce all’atto. Curioso, vero? So già che si dirà che c’è
stato un “mero errore materiale” e che, come al solito, l’opposizione si
aggrappa a qualsiasi pretesto pur di criticare l’operato della maggioranza.
Troppo facile. La sensazione è che – con la presunzione di buona fede - questa superficialità
sia troppo persino per il più sconsiderato degli sciatti. Poi, con un po’ di
malizia, si può sempre pensare che dietro all’apparente casualità ci sia un
disegno ben preciso. Quanto sarà agevole, infatti, celare imbrogli e irregolarità
in una situazione in cui regna il caos più completo, dove ogni singolo elemento
essenziale di un atto amministrativo (data, firma, oggetto, pareri, allegati) è
potenzialmente errato, incompleto o mancante, dove spariscono i documenti e non
si trovano i fascicoli, in cui persino gli assessori e i capidipartimento non
si sa bene se ricoprono o meno l’incarico (memorabile l’assessore “fantasma”
della scorsa consiliatura) e tutto viene gestito con disarmante pressapochismo?
Abbastanza agevole. Anzi, molto. Forse troppo. Lo testimoniano le tante volte che
le responsabilità di questa classe politica si sono trasformate in costi per l’intera
collettività. Quando la percezione di quanto sia pesante il fardello che siamo
costretti a sopportare sarà sufficientemente chiara, riusciremo a liberarcene.
Non credo che manchi molto.
P.S. - Si vocifera che la
candidatura e la nomina di Mirko Ulsi siano legate all’esigenza, tutta
personale, di un trasferimento. Spero che si tratti di amene chiacchiere di
paese, ma se così fosse sarebbe un gravissimo (anche se non certo isolato)
utilizzo improprio e “privato” della pubblica amministrazione. Chi svolge l’incarico
di assessore (incarico retribuito, peraltro) dovrebbe mettersi a disposizione a
tempo pieno per la collettività, non tanto per l’indennità percepita, quanto
per la grande responsabilità che ci si assume di fronte alla propria
cittadinanza. Prendere un incarico e disinteressarsi dell’onere che implica è
un comportamento che tradisce la fiducia dei propri elettori e di tutto il
paese. Speriamo quindi che così non sia e che il nostro giovane assessore cambi
rotta e svolga il proprio ruolo con la dedizione e l’impegno che merita, fino
alla fine del mandato. Una sua eventuale sostituzione a trasferimento avvenuto
avrebbe il sapore di un oltraggio alla correttezza e al buonsenso e mi auguro
che nessun aspirante assessore intenda prestarsi a equivoche manovre di potere.
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