Cultura, per un piccolo paese,
vuol dire anche biblioteca. Anche questa è una parola che può essere svuotata
di ogni significato e utilizzata a casaccio, come hanno fatto i governanti labicani
negli ultimi cinque anni. Dopo aver chiuso una biblioteca esistente e
funzionante, infatti, i nostri saggi amministratori hanno ammucchiato il
piccolo patrimonio culturale del nostro paese (centinaia di libri tra acquisti
e donazioni) in qualche scantinato, lasciando che l’incuria e l’umidità ne
compromettessero irrimediabilmente lo stato di conservazione. E qui non c’è
nemmeno da scoprire chissà quale trama oscura finalizzata a trarre indebiti
vantaggi dalla gestione della cosa pubblica. In questa circostanza la
protagonista di questa misera vicenda è una sola: la sciatteria. Non
c’è disonestà, non c’è malizia, non c’è furbizia, solo sciatteria. In fondo,
cosa importa se si butta via l’enorme e non commensurabile valore che possono
avere dei libri. Tanto si ricomprano - coi soldi pubblici, neanche a dirlo -
come hanno fatto due anni fa per dei libri che nessuno ha mai potuto vedere.
Cosa importa se alcuni libri avevano un valore storico e non potranno mai più
essere ricomprati. Sta di fatto che, dopo qualche anno di abbandono, si è
deciso di mandare al macero una grande quantità di libri. Per non lasciare
nulla di intentato – come associazione culturale Labicocca - ne abbiamo fatto
richiesta, in modo da cercare di salvare il salvabile e rimetterli a disposizione
della collettività. Ce li siamo caricati e li abbiamo portati a casa, dove, con
molta pazienza, abbiamo cercato di selezionare quelli che muffa e umidità non
avevano compromesso irrimediabilmente. Per farlo li abbiamo sistemati
nell’unico spazio disponibile: il garage, che era diventato un piccolo
laboratorio di restauro librario.
Purtroppo, nemmeno così, quei
poveri libri sono stati tratti in salvo dalla malamministrazione labicana. Stavolta,
però, non per sciatteria. Non solo quella, almeno. Qui si aggiunge la mission, la vera ragione sociale di
questa amministrazione, che è anche la cancrena della nostra comunità: favorire
la speculazione edilizia. Il miglior
modo per lucrare sullo sviluppo urbanistico è quello di costruire case di
modesta qualità, risparmiando su qualunque onere (come le opere di
urbanizzazione) da vendere a prezzi di mercato in tempi rapidissimi. Per fare
questo ci vogliono amministratori compiacenti: che non si preoccupino di
verificare se gli immobili siano a norma, se siano stati realizzati gli
impianti fognari, dividendo, come stabilisce la normativa vigente, le acque
chiare dalle acque scure; che chiudano un occhio – e forse due – sulla mancanza
di un requisito essenziale di ogni immobile destinato ad uso abitativo, la certificazione
di agibilità; che ignorino le segnalazioni su irregolarità e abusi; che,
insomma, si preoccupino più degli interessi dei costruttori che dei diritti dei
cittadini. E così, ancora una volta, a Labico è successo quello che succede nei
paesi del terzo mondo. Basta un forte acquazzone. Con l’acqua che, anziché
essere incanalata in una rete autonoma e convogliata direttamente verso un
corpo idrico, viene buttata prima nelle condotte fognarie, la cui rete è stata
manipolata, modificata, alterata – anche ostruendo illecitamente pozzetti di
ispezione - in ogni modo ed in ogni momento sulla base, non certo di una sua efficacia funzionale, ma
delle esigenze dei costruttori. Non è necessaria una laurea in ingegneria
idraulica per capire che, in questo modo, basta un flusso abbondante per
mandare in tilt il sistema. L’acqua, mischiata ai liquami fognari, aumenta la
pressione e fuoriesce al primo punto debole della struttura: una guarnizione,
un tombino, un pozzetto. Qualche volta si infiltra semplicemente nel terreno,
altre volte sgorga copiosa e impetuosa ad inondare case e pertinenze, come il
nostro garage. Senza alcuna pietà per i
libri che qualcuno aveva cercato di sottrarre all’incuria, ma che, per la
stessa incuria (ironia della sorte), hanno fatto una brutta fine. Come il
tappeto di Drugo. Nel suo caso però era solo pipì. Gli antichi libri labicani,
invece, hanno fatto proprio una fine di merda.
Rosanna Palazzi e Tullio Berlenghi
TRISTEMENTE BELLO QUESTO INTERVENTO! Sabino
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