23 gennaio 2016

Dagli al ciclista

E’ da troppo tempo che leggo con preoccupazione pagine, post, commenti che additano la presenza dei ciclisti sulla strada come uno dei mali che affliggono l’umanità. Tutto si basa su un assioma non detto, ma che in qualche modo sembra avere fatto breccia nella nostra cultura: le strade appartengono ai veicoli a motore, gli altri utenti della strada sono a malapena tollerati, ma non devono recare disturbo. Una particolare acrimonia riguarda la  categoria dei ciclisti, gli unici a cui non viene perdonato nulla. Ma davvero i ciclisti rappresentano un “problema” per chi si muove in automobile? Quanti preziosi minuti perde davvero un automobilista, che so, durante un anno di guida della propria automobile? Certo non si può dire che i ciclisti urbani facciano perdere tempo agli automobilisti, anzi, casomai è vero il contrario: ogni bicicletta sulla strada urbana significa un’automobile in meno che circola, meno inquinamento e un parcheggio libero in più. Eppure quando si è incolonnati nel traffico non si pensa che la “colpa” sia delle automobili, perché significherebbe ammettere la propria responsabilità. Eppure, se ci capita di incrociare un ciclista nei pochi metri in cui riusciamo ad accelerare un po’ (fino al successivo semaforo, ovviamente) abbiamo la sensazione di aver perso  secondi preziosi… E per quanto riguarda i ciclisti che troviamo sulle strade extraurbane? Quelli sono censurabili senza appello. Intanto è evidente che loro non stanno facendo nulla di utile, in quanto ciclisti. Certo, magari noi ce ne stiamo andando al centro commerciale a fare la nostra “passeggiata” o stiamo andando a pranzo da amici. Ma a condannare il malcapitato ciclista è il fatto che lui in tutta evidenza sta utilizzando la sede stradale per svago. E questo lo trasforma in un utente della strada di serie B, il quale deve rispettare non solo le regole del Codice della Strada, ma anche altre regole non scritte che abbiamo deciso noi. E quindi se non sta attaccato al bordo della strada viene subito aggredito a colpi di clacson, per poi essere superato rombando e lanciando invettive. Ovviamente tutto questo rigore non si applica alla propria personalissima interpretazione del Codice della Strada. Infatti non si pretende che un automobilista tenga la ruota di destra ad un millimetro dalla striscia longitudinale che delimita la carreggiata, così come non si pretende che rispetti i limiti di velocità, né ci si scandalizza se parcheggia in divieto di  sosta o in doppia fila (quello sì che aumenta la congestione e rallenta il traffico).
Il vero problema è che ci si sente autorizzati ad imporre le proprie – personalissime – regole anche con la legge del più forte, che sulla strada è la legge del più grosso e più veloce. Senza pensare che in questo modo si mette a repentaglio la vita di una persona. Superare un ciclista sfiorandolo a pochi millimetri è una pericolosissima prepotenza che non può essere giustificata da un suo eventuale comportamento scorretto. Così come l’essere protetti da una robusta carrozzeria non ci autorizza a non dare loro la precedenza o a tagliare la strada in curva alle bici. Sono comportamenti che purtroppo si verificano molto frequentemente. Con la differenza che quando
un ciclista commette un’irregolarità (per carità non è una categoria di santi e neanche loro sono sempre rispettosi delle
norme) è il primo a pagarne le conseguenze, mentre quando l’irregolarità la commette l’automobilista a pagarne le conseguenze spesso è la cosiddetta “utenza debole” della strada. I diecimila pedoni uccisi negli ultimi anni in Italia da chi sono stati uccisi? Dai ciclisti forse? No, dai conducenti di veicoli a motore (in maggior parte automobili), in buona parte dei casi per non aver rispettato le strisce pedonali.

Nonostante queste banalissime e persino ovvie considerazioni, la campagna di intolleranza sui social network nei confronti dei ciclisti assume toni sempre più accesi. Ho letto molte, troppe, volte affermazioni di persone pronte a “mettere sotto” i ciclisti indisciplinati (“così imparano”) o, nei casi più gentili, ad affiancarli “sgasando” copiosamente per ripristinare la gerarchia stradale. Questo avvilente dibattito, con la giustificazione della riaffermazione con la forza dei propri (presunti) diritti, innesca una spirale pericolosa. Ognuno di quelli che – magari anche in modo scherzoso – condivide pagine o post che inneggiano alla giustizia sommaria nei confronti dei ciclisti (la cui colpa spesso è solo quella di circolare sulle strade, di esistere, in pratica) alimenta più o meno consapevolmente un clima di aggressività inaccettabile. Perché sappiamo tutti che la gran parte delle minacce sono parole al vento, però non dobbiamo dimenticare che la percentuale di coglioni è tutt'altro che irrilevante. Lo dimostra l’omicidio (non parliamo di incidente, si ipotizza l’omicidiovolontario) di ieri in provincia di Lecce. Pensateci bene prima di condividere l’ennesimo post contro i ciclisti.

19 gennaio 2016

E’ arrivata la sveglia

E’ almeno dalla fine degli anni ’80 che le cose si sono incanalate in questa direzione. Era il periodo dove le parole “sviluppo”, “crescita”, “progresso” venivano pronunciate da amministratori tanto boriosi quanto incompetenti. La trasformazione di un piccolo borgo alle porte di Roma in periferia metropolitana è iniziata così. Certo, l’espansione edilizia non è stata accompagnata dai promessi vantaggi per la piccola economia locale – esclusi i pochi che si sono arricchiti con le speculazioni fondiarie – e paradossalmente il livello e la qualità dei servizi si è persino ridotta, così come gli esercizi commerciali quasi completamente scomparsi dal centro storico. A fronte di una popolazione triplicata è diminuito il numero dei dipendenti comunali, i servizi e le infrastrutture sono rimasti pressoché invariati e in alcuni casi sono diventati inadeguati per le nuove esigenze e tutte le nuove zone hanno criticità enormi. La politica edilizia ha tenuto principalmente conto delle esigenze dei costruttori e non si è preoccupata di rispettare una corretta pianificazione urbanistica. Spesso sono stati realizzati immobili con destinazioni d’uso reali difformi da quelle risultanti sulla carta (locali commerciali inseriti all’interno di civili abitazioni, garage sulla carta ma soggiorni di fatto, ecc.). Tutte cose piuttosto note e che è difficile immaginare che gli amministratori ignorassero. Né si erano mai preoccupati del fatto che gli immobili venissero venduti tranquillamente ancorché privi del certificato di agibilità, tema sul quale avevo inutilmente cercato di sollecitare l’amministrazione in passato. Siamo andati avanti per oltre vent’anni in una situazione in cui la svendita del territorio non stava neppure portando un ritorno in termini di entrate per le casse comunali, né per gli oneri di urbanizzazione (scomputati a favore di opere fantasma) né per le tasse sugli immobili (almeno in misura sufficiente a coprire l’aumento dei costi dei servizi).
E probabilmente le cose sarebbero andate avanti ancora così se – sempre grazie all’incapacità di chi amministra – non ci fossimo trovati, a seguito del sequestro dei depuratori (inadeguati a far fronte all’enorme aumento della popolazione), un debito da pagare di diversi milioni di euro e ad un passo dalla bancarotta. A questo punto l’Amministrazione si è accorta che l’unica soluzione era quella di ricordarsi che esiste un patrimonio immobiliare sul quale l’imposizione fiscale era stata, come dire, trascurata. In fretta e furia si è dato mandato ad una società per fare quello che non era stato fatto in vent’anni e per recuperare più soldi possibile (la corsa di fine anno era motivata dall’esigenza di includere l’anno 2009). Peccato che, a far e in fretta, le cose non riescano particolarmente bene e ci siamo trovati di fronte alla pioggia, all’acquazzone, alla bufera delle cartelle esattoriali. Secondo i dati forniti a Maurizio Spezzano, che è andato a d informarsi presso il comune, il numero delle lettere inviate ammonta ad oltre 9mila. In media una e mezza a labicano, compresi i neonati. L’importo complessivo che il comune ritiene di recuperare è di quasi 12 milioni di euro. In sostanza, sempre contando anche i neonati, in media ogni cittadino labicano avrebbe un debito di 2mila euro verso il comune. Sarebbe un vero e proprio evasore. E non lo diciamo noi, per fare terrorismo, come afferma la precisazione del sindaco, che quando si vergogna di quello che combina non mette nome e cognome in calce al comunicato istituzionale.
Le frasi del primo comunicato dell’amministrazione sono abbastanza chiare. Si parla di un “accertato e apprezzabile livello di evasione”. E, poche righe dopo, si chiede che i cittadini “comprendano di aver agito non solo contro la legge ma anche a danno della comunità di cui fanno parte”. Non è stata quindi l’amministrazione a creare le premesse per una situazione di così ampia portata, ma i cittadini che agiscono contro la legge. Salvo poi affermare che la stragrande maggioranza dei cittadini sono persone oneste e coscienziose. Quindi rimane da capire come è possibile che in una comunità di 6mila anime, vi sia una minoranza così irrispettosa della legge da riuscire a ricevere ben 9583 avvisi di pagamento.

La seconda comunicazione è altrettanto interessante. L’intento è quello di tranquillizzarci e di questo siamo tutti molto lieti. Il presupposto è che le banche dati del Comune (amministrato da loro dal secolo scorso) “non sempre sono aggiornate” (eufemismo per dire che non ci stanno capendo nulla), che “si è provveduto ad annullare e rettificare diversi provvedimenti viziati da errori” e che “sono in corso di notificazione numerosi atti di annullamento degli avvisi precedentemente notificati”. Insomma vi è arrivata una roba da pagare, ma può darsi che non la dobbiate pagare. Forse vi arriverà una notifica di annullamento o forse no. Ma, insomma, devo pagare? Boh! Non si sa. L’unica cosa certa è che chi lavora dovrà prendere un giorno di ferie o di permesso per andare a cercare di capirci qualcosa. Immancabile, al termine della comunicazione, l’ormai abituale intimidazione nei confronti di chi osi criticare sua maestà, con la rituale minaccia di denuncia alla Procura della Repubblica. Perché chi amministra ha il pieno diritto di essere un pessimo amministratore, ma chi viene amministrato non ha alcun diritto di farglielo notare.

16 giugno 2015

Gli intoccabili

Gentile Alfredo,
rispondo ben volentieri alla tua replica, che ho letto scrupolosamente e dalla quale sono emersi interessanti spunti di riflessione, che intendo sottoporre alla tua attenzione.
1.    Nelle prime tre righe dell’articolo affermi che quanto ho scritto sarebbe “falso e tendenzioso”, salvo poi – nel prosieguo della replica – essere incapace di smentire nei fatti una sola delle mie affermazioni.
2.    Nella tua replica ripercorri in modo sommario la procedura di individuazione e scelta del locale, magari omettendo qualche dettaglio, ma senza correggere le mie affermazioni né aggiungere nulla di rilevante.
3.    Quali nomi e cognomi dovrei fare? Mi sembra che la mia ricostruzione sia sufficientemente chiara. O forse serve che dica che il sindaco di Labico si chiama Alfredo Galli e il fratello Patrizio Galli? O serve che dica che la GA.TO. s.r.l. - la società con la quale è stato stipulato il contratto di locazione da parte dell’amministrazione comunale - risulta legata proprio a Patrizio Galli (tra l’altro in qualità di procuratore)? O serve che spieghi che la Casilina Prefabbricati II s.r.l. - la società che si era aggiudicato il contratto, salvo poi girarlo alla GA.TO. s.r.l. - è partecipata al 45% proprio dalla GA.TO. s.r.l., in un meccanismo di scatole cinesi tipico di alcuni assetti societari?
4.  Per quanto riguarda le cosiddette priorità dell’amministrazione, mi limito, da semplice cittadino, a rilevare i fatti: grande solerzia ed impegno a beneficio del “Palazzo” e indolenza e sciatteria per ciò che serve davvero ai cittadini. L’elenco sarebbe davvero lungo, ma tra opere di urbanizzazione mai terminate, strade dissestate, marciapiedi inesistenti, rete fognaria inadeguata, standard urbanistici scomparsi, scuole in condizioni pietose il quadro è davvero desolante.
5.    Sullo “spreco di fondi” l’elenco potrebbe essere ancora più lungo e anche qui sono costretto a limitarmi ad alcune perle. Vogliamo parlare di progetti falliti, come Eiffel? Vogliamo parlare dei soldi spesi per la realizzazione dell’area industriale? Vogliamo parlare dei soldi buttati per un piano regolatore che, come avevamo immaginato, non è stato accolto con particolare entusiasmo dalla regione Lazio (e infatti è fermo lì dal 2008) e ci è costata 60mila euro la versione “elettorale” e altri 40mila quella per sanare le storture della precedente? Vogliamo parlare di altri soldi buttati per un piano di recupero del centro storico di cui non si hanno notizie da anni, ma intanto si assiste alla realizzazione di interventi evidentemente in contrasto con il piano? Vogliamo parlare della pista ciclabile più lunga dell’universo, iniziata e mai finita (forse la lunghezza misurava il tempo di realizzazione e non la distanza coperta)? Vogliamo parlare di un appalto sul quale il comune non ha vigilato in modo adeguato e che potrebbe essere costato qualcosa come 100mila euro in più e sul quale è in corso un procedimento penale al Tribunale di Velletri per turbativa d’asta, a cui, vista l’inerzia dell’amministrazione, ci siamo costituiti parte civile io e Maurizio Spezzano? Vogliamo parlare di svariati milioni di euro buttati al cesso (non esattamente in senso metaforico) per l’incapacità di programmare, governare e controllare la realizzazione e gestione degli impianti di depurazione?
6.    Nella replica ricorri ancora una volta alla tua arma preferita: la minaccia di denunciarmi. Ti vorrei sommessamente ricordare dell’ultima volta che mi hai portato davanti ad un giudice. Dopo un mio articolo in cui esprimevo le mie perplessità sulla singolarità di un iter procedurale a seguito del quale  eri riuscito a realizzare una bella villa in zona agricola, mi avevi chiesto un risarcimento danni in sede civile. Peccato che il giudice, in riferimento al mio articolo abbia affermato che, “La notizia si presenta adeguatamente rispettosa del limite della continenza, in quanto espressa con toni non ingiuriosi e comunque rispettosi della dignità personale del Galli, e riveste indubbio interesse pubblico, tenuto conto del generale principio che la condotta pubblica degli amministratori locali dovrebbe essere di esempio e di monito per la collettività degli amministrati, che hanno pieno diritto di essere informati su eventuali comportamenti o azioni irregolari o anomale da parte degli amministratori, ed hanno anche diritto ad una amministrazione trasparente tesa alla cura dell’interesse pubblico”. Immagino che quelli della trasparenza e dell’interesse pubblico siano concetti coi quali non hai una particolare confidenza, ma hai visto mai che a furia di sentirli nominare non decida di prenderli in considerazione.
7.    La parte conclusiva della tua replica è davvero sgradevole. La riporto integralmente: «Rimaniamo in attesa di conoscere i suoi autorevoli riferimenti presso gli uffici comunali, anche al fine di valutare la necessità di eventuali iniziative verso chi eventualmente le avesse riferito cose false o così “strane”». Anche questa ha il sapore amaro di una, nemmeno troppo velata, minaccia. Tra l’altro nei confronti del personale comunale, che ha maggiori difficoltà ad opporsi alle intimidazioni.
8.    Ovviamente tutte le mie dichiarazioni espresse in forma assertiva sono suffragate da documenti e atti amministrativi che non avrò difficoltà ad esibire in caso di necessità.
Infine, perdonami se, a differenza tua, uso la prima persona singolare, ma lascio a te l’uso del plurale maiestatis, che indubbiamente si addice alla tua, del tutto personale, interpretazione del ruolo che rivesti. L’unica magra consolazione è la consapevolezza dell’imminente tramonto della tua dinastia, anche se temo, purtroppo, che alcuni dei danni fatti siano irreversibili.

P.S. – In compenso la vignetta è divertente.

12 giugno 2015

Questione di stile


Alfredo Galli ha reagito con un tono molto piccato al mio ultimo articolo. Per correttezza nei confronti dei (pochi) frequentatori di questo blog metto il testo della sua replica, con la promessa che, a breve, arriverà anche la mia risposta.


Buona lettura!









La necessità dell’Amministrazione di trovare un locale per il deposito di una parte dell’archivio comunale al fine di eseguire i lavori della sede municipale ha reso indispensabile reperire la disponibilità di un privato in quanto il Comune non dispone di adeguati locali. L’UTC ha fatto un avviso che è stato pubblicato su internet e sul territorio e ha individuato il locatore sulla base dell’unica offerta pervenuta,  ovvero quella di una società che si è resa disponibile a cedere un locale idoneo. Il canone è stato definito sulla base dei prezzi di mercato vigenti per analoghi immobili nella zona e il Comune detiene le chiavi del magazzino.
Peraltro al momento del contratto, PER LO STESSO CANONE, si è avuta la possibilità di ottenere un locale ancora più grande e, vista l’urgenza di provvedere per evitare inutili e dannose sospensioni dei lavori, se ne è dato atto  con la determinazione dirigenziale dell’UTC, regolarmente pubblicata.
Non si capisce da chi il sig. Berlenghi acquisisca i dati per l’elaborazione dei suoi fantastici racconti, dove prenda le notizie che poi elabora e divulga senza neppure rendersi conto se corrispondano esattamente al vero; gli chiediamo pertanto, se ne ha il coraggio, di fare nomi e cognomi.
Quanto alla programmazione dei lavori pubblici è appena il caso di ricordare che il comune ha ricevuto un contributo per l’opera in questione e che non poteva certo rinviarlo al mittente dal momento che la sede comunale aveva comunque bisogno di interventi di ristrutturazione e messa in sicurezza. Evidentemente il sig. Berlenghi non sa che, a prescindere dalla programmazione, che sicuramente non vede al primo posto l’intervento in esecuzione presso il municipio, non sempre i contributi sono concessi in base alle priorità definite dall’amministrazione …………….ma allora cosa dovremmo fare? Rinunciare ai finanziamenti e magari farli dare ad altri?
Questa amministrazione fa quello che può con le risorse disponibili e ritiene che non le si possa imputare alcuno spreco di fondi né di sostenere spese inutili; al contrario, si cerca, con quel poco a disposizione, di continuare a mandare avanti “la baracca”, in un momento critico e difficile per tutti, grazie anche all’impegno di cittadini volontari e di alcuni dipendenti e collaboratori che nonostante la gravissima carenza di organico, prendono ogni giorno a cuore  le sorti del Comune e si impegnano per  garantire i servizi alla popolazione.
Non accettiamo quindi lezioni da chi vive lontano dalla realtà del suo? Paese e che si affaccia alla finestra di internet solo per denigrare chi lavora….anche per lui.
Nessun affare di UNA famiglia…….caro sig.Berlenghi! Semmai affari della Comunità, grande famiglia di cui fanno parte tutti i cittadini di Labico e nella quale forse lei non si riconosce più.
La invitiamo pertanto a rivolgersi all’Ufficio tecnico per avere gli atti e le esatte informazioni, sperando che la inducano a riflettere sulle affermazioni rese, anche per evitare di incorrere in denunce che per questa volta ci limitiamo ad annunciare ma che non esiteremo a sporgere nell’ipotesi in cui volesse insistere su tale linea, data la gravità di quanto affermato pubblicamente.
Rimaniamo in attesa di conoscere i suoi autorevoli riferimenti presso gli uffici comunali, anche al fine di valutare la necessità di eventuali iniziative verso chi eventualmente le avesse riferito cose false o così “strane”.
E a proposito di “stranezze”, speriamo di farle cosa gradita allegando anche una spiritosa vignetta/caricatura che, a differenza della “funerea” raffigurazione dei fratelli Galli, da lei inserita sul suo blog, rende alla sua persona sicuramente il dovuto merito.
IL SINDACO
Alfredo Galli


17 maggio 2015

Affari di famiglia

“Buongiorno, sono Tizio Caio e ho bisogno di consultare un atto amministrativo che mi riguarda”
“Ah, buongiorno Tizio. Devi andare da P.G.”
“P.G.?”
“Sì, P.G., il fratello del sindaco. Tutta la documentazione del comune ce l’ha lui. Qui stanno facendo i lavori di ristrutturazione e non sapevamo dove mettere l’archivio”
“Fatemi capire: P.G., fratello del sindaco, principale costruttore della città, quello che faceva parte della commissione edilizia, quello che ha pesantemente condizionato la pianificazione urbanistica della città, quello che ha attività economiche strettamente legate alle scelte dell’amministrazione, “ospita” tutti i documenti amministrativi del comune, anche quelli che lo riguardano direttamente?”
“Ehm, sì… Però è tutto regolare”
Questo dialogo è tanto surreale quanto verosimile. A Labico succede anche questo. Il Comune ha deciso di spendere un po’ di soldi pubblici per sistemare la sede comunale. E fin qui nulla da eccepire. Certo, qualcuno potrebbe obiettare che forse il sindaco e gli assessori potrebbero rimandare il restyling dei loro uffici ed occuparsi prima di strade, scuole, infrastrutture e spazi pubblici, ma non vogliamo discutere in questa sede la scala di priorità della giunta (peraltro tristemente nota). La questione – sicuramente marginale – su cui intendiamo soffermarci è un’altra e riguarda le immutabili dinamiche con cui viene amministrato questo Paese.
Quando mi hanno raccontato la vicenda ho fatto fatica a crederci, nonostante in questi anni ne abbia già viste molte. La cosa divertente è che non è stato facile avere gli atti che attestano questa singolare procedura. Tutto regolare, per carità, ma le perplessità restano.
Noi abbiamo chiesto la documentazione sull’iter di questa operazione e – ovviamente – siamo riusciti a gran fatica ad ottenere solo una parte degli atti. Ad esempio non
siamo riusciti ad avere l’avviso pubblico con cui gli uffici hanno invitato “tutti i possessori di immobili liberi […] ubicati ad una distanza massima di tre chilometri dall’edificio comunale”. Un avviso che evidentemente era sfuggito  a tutti, tranne – guarda la combinazione – al fratello del sindaco, o meglio alla sua società, l’unica ad aver presentato un’offerta. Dopo qualche mese la società ha cambiato idea perché nel frattempo aveva deciso di utilizzare per altri scopi l’immobile, ma ha ceduto l’accordo ormai siglato con l’amministrazione ad altra società, in quanto “facente parte dello stesso gruppo”. Sotto il profilo giuridico non sembra che tutto ciò abbia un senso (tecnicamente è un altro soggetto e non è che si possano cedere gli appalti pubblici come i posti sull’autobus), ma spiega in modo impeccabile la filosofia che ispira l’azione amministrativa. Sarebbe un po’ come dire: “rimane tutto in famiglia”.  Tralasciando i dettagli della vicenda, il nocciolo della questione è esattamente quello di un colossale conflitto di interessi che nessuno intende, non dico rimuovere, ma almeno circoscrivere. Non per ragioni etiche (capirai, “etica”, termine ignoto agli amministratori labicani), neanche per ragioni di opportunità (non esageriamo), ma per un briciolo di pudore. In un comune con una situazione economica disastrosa – e chissà di chi sarà la responsabilità dell’enorme buco di bilancio – e con aumenti per i cittadini per sanare i danni fatti da una pessima conduzione amministrativa,  il fortunato imprenditore con cui viene stipulato un contratto di locazione di un locale per custodire la documentazione amministrativa del comune è, attraverso una sua società, il fratello del sindaco.
Tra l’altro il costo della locazione, pari a 16mila euro l’anno, è pienamente in linea con i valori di mercato, nonostante la crisi immobiliare. Insomma il privato continua a lucrare allegramente sul pubblico, anche in una situazione difficile come quella che sta vivendo il comune di Labico. Ma il vero paradosso è che gli eletti nelle istituzioni devono sempre faticare molto per consultare – come sarebbe loro diritto – la documentazione amministrativa, mentre c’è qualcuno che ha in tasca le chiavi per accedere liberamente a qualsiasi atto e lo paghiamo pure per avere questo privilegio.  A noi non resta neppure la forza di stupirci.

Alle colonne d'Ercole

Alle colonne d'Ercole
La mia ultima avventura