“Buongiorno, sono Tizio Caio e ho
bisogno di consultare un atto amministrativo che mi riguarda”
“Ah, buongiorno Tizio. Devi
andare da P.G.”
“P.G.?”
“Sì, P.G., il fratello del
sindaco. Tutta la documentazione del comune ce l’ha lui. Qui stanno facendo i
lavori di ristrutturazione e non sapevamo dove mettere l’archivio”
“Fatemi capire: P.G., fratello
del sindaco, principale costruttore della città, quello che faceva parte della commissione
edilizia, quello che ha pesantemente condizionato la pianificazione urbanistica
della città, quello che ha attività economiche strettamente legate alle scelte
dell’amministrazione, “ospita” tutti i documenti amministrativi del comune,
anche quelli che lo riguardano direttamente?”
“Ehm, sì… Però è tutto regolare”
Questo dialogo è tanto surreale quanto
verosimile. A Labico succede anche questo. Il Comune ha deciso di spendere un
po’ di soldi pubblici per sistemare la sede comunale. E fin qui nulla da
eccepire. Certo, qualcuno potrebbe obiettare che forse il sindaco e gli
assessori potrebbero rimandare il restyling dei loro uffici ed occuparsi prima
di strade, scuole, infrastrutture e spazi pubblici, ma non vogliamo discutere
in questa sede la scala di priorità della giunta (peraltro tristemente nota). La
questione – sicuramente marginale – su cui intendiamo soffermarci è un’altra e
riguarda le immutabili dinamiche con cui viene amministrato questo Paese.
Quando mi hanno raccontato la
vicenda ho fatto fatica a crederci, nonostante in questi anni ne abbia già
viste molte. La cosa divertente è che non è stato facile avere gli atti che
attestano questa singolare procedura. Tutto regolare, per carità, ma le
perplessità restano.
Noi abbiamo chiesto la
documentazione sull’iter di questa operazione e – ovviamente – siamo riusciti a
gran fatica ad ottenere solo una parte degli atti. Ad esempio non
siamo
riusciti ad avere l’avviso pubblico con cui gli uffici hanno invitato “tutti i
possessori di immobili liberi […] ubicati ad una distanza massima di tre
chilometri dall’edificio comunale”. Un avviso che evidentemente era
sfuggito a tutti, tranne – guarda la
combinazione – al fratello del sindaco, o meglio alla sua società, l’unica ad
aver presentato un’offerta. Dopo qualche mese la società ha cambiato idea
perché nel frattempo aveva deciso di utilizzare per altri scopi l’immobile, ma
ha ceduto l’accordo ormai siglato con l’amministrazione ad altra società, in
quanto “facente parte dello stesso gruppo”. Sotto il profilo giuridico non
sembra che tutto ciò abbia un senso (tecnicamente è un altro soggetto e non è
che si possano cedere gli appalti pubblici come i posti sull’autobus), ma
spiega in modo impeccabile la filosofia che ispira l’azione amministrativa.
Sarebbe un po’ come dire: “rimane tutto in famiglia”. Tralasciando i dettagli della vicenda, il
nocciolo della questione è esattamente quello di un colossale conflitto di
interessi che nessuno intende, non dico rimuovere, ma almeno circoscrivere. Non
per ragioni etiche (capirai, “etica”, termine ignoto agli amministratori
labicani), neanche per ragioni di opportunità (non esageriamo), ma per un
briciolo di pudore. In un comune con una situazione economica disastrosa – e
chissà di chi sarà la responsabilità dell’enorme buco di bilancio – e con
aumenti per i cittadini per sanare i danni fatti da una pessima conduzione
amministrativa, il fortunato
imprenditore con cui viene stipulato un contratto di locazione di un locale per
custodire la documentazione amministrativa del comune è, attraverso una sua
società, il fratello del sindaco.
Tra l’altro il costo della locazione, pari a 16mila
euro l’anno, è pienamente in linea con i valori di mercato, nonostante la crisi
immobiliare. Insomma il privato continua a lucrare allegramente sul pubblico,
anche in una situazione difficile come quella che sta vivendo il comune di
Labico. Ma il vero paradosso è che gli eletti nelle istituzioni devono sempre
faticare molto per consultare – come sarebbe loro diritto – la documentazione
amministrativa, mentre c’è qualcuno che ha in tasca le chiavi per accedere
liberamente a qualsiasi atto e lo paghiamo pure per avere questo
privilegio. A noi non resta neppure la
forza di stupirci.
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