17 maggio 2015

Affari di famiglia

“Buongiorno, sono Tizio Caio e ho bisogno di consultare un atto amministrativo che mi riguarda”
“Ah, buongiorno Tizio. Devi andare da P.G.”
“P.G.?”
“Sì, P.G., il fratello del sindaco. Tutta la documentazione del comune ce l’ha lui. Qui stanno facendo i lavori di ristrutturazione e non sapevamo dove mettere l’archivio”
“Fatemi capire: P.G., fratello del sindaco, principale costruttore della città, quello che faceva parte della commissione edilizia, quello che ha pesantemente condizionato la pianificazione urbanistica della città, quello che ha attività economiche strettamente legate alle scelte dell’amministrazione, “ospita” tutti i documenti amministrativi del comune, anche quelli che lo riguardano direttamente?”
“Ehm, sì… Però è tutto regolare”
Questo dialogo è tanto surreale quanto verosimile. A Labico succede anche questo. Il Comune ha deciso di spendere un po’ di soldi pubblici per sistemare la sede comunale. E fin qui nulla da eccepire. Certo, qualcuno potrebbe obiettare che forse il sindaco e gli assessori potrebbero rimandare il restyling dei loro uffici ed occuparsi prima di strade, scuole, infrastrutture e spazi pubblici, ma non vogliamo discutere in questa sede la scala di priorità della giunta (peraltro tristemente nota). La questione – sicuramente marginale – su cui intendiamo soffermarci è un’altra e riguarda le immutabili dinamiche con cui viene amministrato questo Paese.
Quando mi hanno raccontato la vicenda ho fatto fatica a crederci, nonostante in questi anni ne abbia già viste molte. La cosa divertente è che non è stato facile avere gli atti che attestano questa singolare procedura. Tutto regolare, per carità, ma le perplessità restano.
Noi abbiamo chiesto la documentazione sull’iter di questa operazione e – ovviamente – siamo riusciti a gran fatica ad ottenere solo una parte degli atti. Ad esempio non
siamo riusciti ad avere l’avviso pubblico con cui gli uffici hanno invitato “tutti i possessori di immobili liberi […] ubicati ad una distanza massima di tre chilometri dall’edificio comunale”. Un avviso che evidentemente era sfuggito  a tutti, tranne – guarda la combinazione – al fratello del sindaco, o meglio alla sua società, l’unica ad aver presentato un’offerta. Dopo qualche mese la società ha cambiato idea perché nel frattempo aveva deciso di utilizzare per altri scopi l’immobile, ma ha ceduto l’accordo ormai siglato con l’amministrazione ad altra società, in quanto “facente parte dello stesso gruppo”. Sotto il profilo giuridico non sembra che tutto ciò abbia un senso (tecnicamente è un altro soggetto e non è che si possano cedere gli appalti pubblici come i posti sull’autobus), ma spiega in modo impeccabile la filosofia che ispira l’azione amministrativa. Sarebbe un po’ come dire: “rimane tutto in famiglia”.  Tralasciando i dettagli della vicenda, il nocciolo della questione è esattamente quello di un colossale conflitto di interessi che nessuno intende, non dico rimuovere, ma almeno circoscrivere. Non per ragioni etiche (capirai, “etica”, termine ignoto agli amministratori labicani), neanche per ragioni di opportunità (non esageriamo), ma per un briciolo di pudore. In un comune con una situazione economica disastrosa – e chissà di chi sarà la responsabilità dell’enorme buco di bilancio – e con aumenti per i cittadini per sanare i danni fatti da una pessima conduzione amministrativa,  il fortunato imprenditore con cui viene stipulato un contratto di locazione di un locale per custodire la documentazione amministrativa del comune è, attraverso una sua società, il fratello del sindaco.
Tra l’altro il costo della locazione, pari a 16mila euro l’anno, è pienamente in linea con i valori di mercato, nonostante la crisi immobiliare. Insomma il privato continua a lucrare allegramente sul pubblico, anche in una situazione difficile come quella che sta vivendo il comune di Labico. Ma il vero paradosso è che gli eletti nelle istituzioni devono sempre faticare molto per consultare – come sarebbe loro diritto – la documentazione amministrativa, mentre c’è qualcuno che ha in tasca le chiavi per accedere liberamente a qualsiasi atto e lo paghiamo pure per avere questo privilegio.  A noi non resta neppure la forza di stupirci.

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