Galli ha sempre avuto un rapporto difficile con l’articolo 21
della Costituzione. Proprio non riesce a tollerare l’idea che normali cittadini
abbiano una propria opinione, decidano di esprimerla, addirittura pubblicamente
fino ad arrivare all’inimmaginabile: la sua diffusione nero su bianco
attraverso, che so, un foglio di informazione locale. Ed è per questo che, da
quando si è ritrovato a fronteggiare un’opposizione non troppo “collaborativa”,
è andato completamente in crisi.
Per Alfredo Galli la critica politica integra la fattispecie
di un reato ormai cancellato dal nostro ordinamento giuridico, la lesa maestà,
e ogni strumento è lecito per punire chi si macchia di questa orrenda colpa. Ed
è così che si sono succeduti goffi quanto vani tentativi di mettere a tacere il
dissenso e la critica: denunce per “stampa clandestina”, ordinanze sindacali
per vietare la diffusione di fogli informativi (come ai bei tempi del
ventennio), querele e citazioni in sede civile per diffamazione.
L’ultima batosta, in ordine di tempo, gli è arrivata a
seguito del maldestro tentativo di chiedere al sottoscritto 50mila euro di
danni per un mio articolo, da lui giudicato diffamatorio e lesivo della sua
dignità personale. Veniamo ai fatti. Il 18 luglio del 2009 scrissi un articolo in
cui sottolineavo una curiosa anomalia: Alfredo Galli, in qualità di sindaco di
Labico (sono in pochi a ricordare un tempo in cui non lo sia stato), aveva
permesso la realizzazione di un’edificazione nel proprio terreno situato in
piena zona agricola. Sulla carta l’immobile era giustificato attraverso il
ricorso ad una norma che consentiva la realizzazione della civile abitazione
del conduttore del fondo agricolo e di un immobile di servizio. Io avevo
ironizzato sui rapporti tra il Sindaco e la terra da coltivare (considerando
che la sua principale attività in questi anni è consistita nel cementificare
ogni singolo centimetro di terreno fertile) e avevo evidenziato alcuni aspetti
che legittimavano dubbi sulla irreprensibilità della procedura. Dubbi per i quali
avevo chiesto al sindaco di rispondere ad un’interrogazione in consiglio
comunale. Galli, anziché fornire una risposta esauriente (la risposta c’è
stata, ma, se possibile, ha confermato la ragionevolezza delle perplessità) ha
pensato bene di annunciare una querela (mai inviata, in realtà) e di citarmi in
sede civile.
In questi casi si ha la sensazione di essere vittima di un
atto intimidatorio. Che senso ha fare politica a livello locale se non si ha
intenzione di partecipare alla spartizione di potere, poltrone, interessi e
clientele? Che senso ha fare politica solo ed esclusivamente per chiedere agli
amministratori di rispettare le leggi, di fare gli interessi dei cittadini, di
essere corretti e trasparenti? Che senso ha spendere il proprio tempo, il proprio
impegno, i propri soldi, col rischio di pagare decine di migliaia di euro il
prezzo della propria libertà? Più di qualcuno penserebbe (e io stesso ho avuto
questa tentazione): “ma chi me lo fa fare?”.
Ovviamente non ho ceduto, non sono sceso a “più miti
consigli” e ho affrontato la causa civile, andando alle udienze (Galli,
prevedibilmente, non si è mai visto), spiegando i fatti, argomentando le mie
ragioni, producendo documenti. Sono passati oltre cinque anni, ma alla fine il
Tribunale di Velletri ha pronunciato la sentenza sulla vicenda, rigettando la
domanda di risarcimento di Galli e condannandolo a risarcirmi per le spese
legali sostenute. Una vittoria netta delle ragioni del diritto di cronaca, del
diritto di critica politica, del diritto alla legalità e alla trasparenza
contro le ragioni dell’arroganza del potere.
Nelle motivazioni della sentenza ci sono alcuni passaggi
esemplari e che spero servano di monito ai nostri amministratori, come quando
si afferma che “la circostanza dell’appartenenza allo schieramento politico di
opposizione legittima la necessità di approfondire le condotte di esponenti
della maggioranza nell’esercizio delle proprie funzioni al fine di verificare
se la cosa pubblica venga amministrata tenuto conto dello scopo precipuo
dell’attività politica amministrativa, ossia la cura dell’interesse pubblico”,
quasi come se a Velletri conoscessero bene il sindaco e la giunta labicani.
Oppure quando si dice che “la notizia… si presenta adeguatamente rispettosa del
limite della continenza, in quanto espressa con toni non ingiuriosi e comunque
rispettosi della dignità personale del Galli”, a spiegare che la dignità del
sindaco non è messa in discussione dalle critiche che gli vengono poste, ma più
ragionevolmente dalla condotta non adamantina che legittima le critiche.
Infatti, poco oltre il giudice spiega che la notizia “riveste indubbio
interesse pubblico, tenuto conto del generale principio che la condotta
pubblica degli amministratori locali dovrebbe essere di esempio e di monito per
la collettività degli amministrati, che hanno pieno diritto di essere informati
su eventuali comportamenti o azioni irregolari o anomale da parte degli
amministratori”, per concludere che i cittadini “hanno diritto ad una
amministrazione trasparente tesa alla cura dell’interesse pubblico”. A questo
punto spetta ai cittadini decidere se vogliono davvero un’amministrazione
trasparente e tesa alla cura dell’interesse pubblico. Gli elementi per farsi
un’idea ce li hanno tutti e la magistratura ha sancito - insieme al nostro
diritto di esprimere il nostro pensiero, di criticare e di informare - il loro
diritto ad essere informati.
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