![]() |
L'indiscreto Magazine |
Il giorno prima. L’indiscreto magazine?. Ah, no. Non l’avevo
mai sentito. Mensile di approfondimento. Bello. Interessante. Io? Un
editoriale? Certo, volentieri. Grazie… Su? Sulla politica labicana??? Ah. Ehm.
Sì, sì. Ok. Per domani. Va bene. Il giorno dopo. No, scusa. Volevo essere sicuro. Un editoriale sulla politica labicana.
Ne sei certo? Io? L’editoriale non è cronaca asettica, presuppone un’opinione,
un giudizio, una valutazione. Io sono parte in causa… Sì, un po’ di
autocritica, certo. Va bene. Ci provo.
Dunque, eccomi qui a scrivere un
editoriale sulla politica labicana (l’ho già detto, vero?). Sì, proprio io. Un
po’ come se ad uno studente si chiedesse di esprimere un giudizio sulla propria
interrogazione. Come se la Gazzetta dello Sport proponesse a Totti di dare un
voto alla propria prestazione agonistica. Come chiedere ad uno scrittore di
recensire la sua ultima fatica letteraria. Se continua su questo binario il
giornale di approfondimento di strada ne farà pochina, ma tant’è, proviamo a
parlare del quadro politico a Labico, ad un mese dalle elezioni. Non dalle
tribune, ma dal terreno di gioco, dove, è noto, la visuale è un tantino
circoscritta.
La politica labicana è sempre
stata caratterizzata da una certa staticità. Ci sono alcuni nomi ricorrenti
nell’agone politico. Talvolta si intrecciano. Ogni tanto si modificano gli
accordi e cambiano le alleanze. Ma il quadro sembra improntato ad un
sostanziale immobilismo. E questo, presumibilmente, per la felice etimologia
della parola, ché a Labico l’immobile, nell’accezione cementizia del termine, è
il baricentro di tutti gli interessi economici e – di conseguenza – politici.
Pensiamo alla storia politica recente, diciamo dal 1995. I nomi dei
protagonisti politici dell’epoca erano Scaccia (sindaco), Marcelli, Zelli,
Galli, Tulli. Nel 1997, dopo la caduta di Scaccia – grazie al fuoco amico di
Marcelli e Zelli –, sindaco è diventato Galli, con Giordani vicesindaco e Tulli
assessore. mentre Marcelli, Zelli e Scaccia sono passati all’opposizione (un
parolone, se vogliamo). Nel 2002 si replica con la stessa squadra. E’ una
consiliatura importante, perché si lavora ad uno dei più orrendi piani
regolatori mai visti nella storia dell’urbanistica. Viene presentato al
pubblico per la prima volta nel 2004. Fa già abbastanza schifo (ma i nostri
infaticabili amministratori sono riusciti a peggiorarlo in due successivi
passaggi), ma nessuno dei membri della giunta sembra accorgersene. Anche
l’opposizione (chiamiamola di nuovo così) è in gran parte entusiasta (3 su 4
voteranno a favore e Marcelli si mette persino a disposizione per coordinare il
lavoro della commissione nominata ad hoc). Nel 2006 Tulli lascia la maggioranza
a sua insaputa. Pare che se ne sia accorto quando ha visto che avevano
sostituito la targhetta del suo ufficio. Nel 2007 c’è il rinnovo del consiglio
comunale. La maggioranza si presenta compatta e forte della gestione dell’iter
della variante al piano regolatore (si invertono solo i ruoli di sindaco e
vicesindaco), mentre l’opposizione decide di puntare su un rinnovamento, totale
sui contenuti e parziale sulle persone (ecco, un po’ di autocritica, meno
male). Il risultato è lusinghiero ed è la premessa per la costruzione di
un’alternativa politica, fatta di credibilità e di competenza. Lo testimoniano
l’enorme quantità di lavoro svolto, sul piano amministrativo, della
comunicazione, dell’informazione. Lo testimonia l’enorme difficoltà in cui
viene messa puntualmente la maggioranza su ogni singolo atto amministrativo. Lo
testimoniano i piccoli, ma incoraggianti, cambiamenti positivi di una macchina
amministrativa pigra e indolente.
Arriviamo al 2012. A bocce ferme
questa opposizione ha tutte le credenziali per mandare a casa giunta,
maggioranza e metodo della politica labicana. E questo non va bene. Mandare a
casa la maggioranza, sì, ma non si può correre il rischio che cambino anche davvero
le cose. Soprattutto su temi caldi, come edilizia e governo del territorio. Ed
ecco dunque pezzi della maggioranza uscente unirsi a pezzi dell’opposizione,
con l’obiettivo di alterare gli equilibri e dare vita ad un’opposizione più
docile, meno conflittuale, più accomodante. Un’opposizione in cui non c’è più
spazio per chi è ancora convinto della bontà del progetto originale. Il marchio
vincente – il “brand”, come direbbero gli anglofili – era troppo appetitoso per
lasciarlo nelle mani di qualche ingenuo idealista (che magari avrebbe potuto
davvero tutelare il territorio e anteporre i diritti dei cittadini agli
interessi ed alle speculazioni). E così si è dato vita a quella che – prendendo
il termine in prestito dal linguaggio dell’economia – possiamo definire una
“scalata”, attraverso la quale è cambiata non solo la guida del progetto politico,
ma soprattutto il suo indirizzo. Ne è cambiato lo stile, i contenuti, la
pulsione ideologica. E’ rimasto il marchio, ma è cambiata la ragione sociale. A
chi quel progetto l’aveva ideato, costruito e realizzato sono state date due
possibilità: accettare il cambio di rotta con la promessa di ruoli e incarichi
oppure levare il disturbo. Gli interessati, per deplorevole coerenza, hanno
preferito rinunciare ad incarichi e prebende e levare il disturbo. Roba da
matti.
Tullio, con te mi devo incazzare: possibile che scrivi ciò che pensiamo in tanti e l'articolo lo firmi da solo? Sei veramente un egoista!!!!!
RispondiEliminaMaurizio