Cosa
si prova di fronte all’orrore
di una ragazza barbaramente uccisa da chi probabilmente sosteneva di amarla o,
quantomeno, di averla amata? Rabbia? Indignazione? Frustrazione? Impotenza?
Angoscia?
Sì,
è più o meno questa la gamma di sensazioni che ci pervadono quando arriva una
notizia così. A me, inevitabilmente, si aggiunge qualcos’altro: il senso di colpa. In qualche
misura mi sento responsabile anche io. E’ insensato? Solo apparentemente.
Ricordo
perfettamente il mio stato d’animo
dopo aver visto film come Schindler's List o Balla coi lupi. Al netto dello
strazio emotivo di quelle pellicole, io avvertivo una incomprimibile sensazione
di corresponsabilità «sineddochica».
Come italiano per il fattivo contributo del mio paese alla persecuzione e allo
sterminio degli ebrei, come europeo/occidentale per il massacro e genocidio
delle popolazioni indigene americane, come essere umano per il cruento
saccheggio degli ecosistemi e della biodiversità.
Poi
leggo di Sara, una ragazza di 22 anni, strangolata, cosparsa di alcol (o
benzina) dall’ex fidanzato e
bruciata solo perché voleva decidere da sola della sua vita. Il senso di colpa
per l’occasione è come
appartenente al genere maschile, mediamente incapace di distinguere tra amore e
smania di possesso. Finché continueremo a pensare che il problema sia dei
singoli, degli individui, di quelle miserabili teste di cazzo che non
sopportano l’idea che la
“propria” donna in realtà sia
semplicemente una persona, sulla quale non possono rivendicare alcun diritto di
proprietà, saremo ben lontani
dal trovare una soluzione. Il problema non è di alcuni maschi. Il problema è
nella cultura maschile, una cultura ancora adesso intrisa di violenza e
sopraffazione. La stessa cultura che porta altri miserabili a pronunciare frasi
del tipo “difendiamo le nostre donne”, come se con noi, maschi italiani,
fossero al sicuro. Eppure in Italia le donne uccise dalla violenza di genere (per
tacere di quelle vittime di violenza psicologica, molestia, stupro) - una ogni
due giorni - sono, per la stragrande maggioranza dei casi, vittime dei propri
mariti, compagni, amanti, padri. Normalmente italianissimi e spesso persone
socialmente e professionalmente affermate. No, il problema continuiamo ad
essere noi maschi e la nostra vulnerabilità. Sembra un paradosso, ma è proprio la nostra debolezza - non
fisica, per carità, ché ci sentiamo
tanto virili (da vir, uomo, etimologicamente vicino a vis, forza) - a
renderci così pericolosi. Noi maschi dobbiamo esserne consapevoli, dobbiamo
sentirci in colpa per ogni Sara, dobbiamo iniziare a chiedere scusa e,
soprattutto, dobbiamo essere parte attiva in un cambiamento culturale che ci
porterà a non dover più chiedere scusa a Sara e alle altre donne vittime della “nostra” violenza.
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