Apprezzabile l’iniziativa di
confronto sul tema della bretella Cisterna-Valmontone, organizzata dai giovani
democratici di Valmontone venerdì 17 gennaio. E’ un dibattito che si sarebbe
dovuto avviare seriamente qualche anno fa, ma che gli amministratori ad ogni
livello territoriale – salvo poche eccezioni - hanno sempre preferito evitare.
E neppure venerdì scorso si è registrata una partecipazione memorabile. In ogni
caso il dibattito c’è stato e merita alcune considerazioni.
Il primo elemento di riflessione
è che nessuno si è espresso incondizionatamente a favore dell’opera. Anche i
più accaniti sostenitori dell’esigenza di realizzare un nuovo asse viario di
collegamento tra Cisterna e Valmontone hanno voluto esprimere qualche però,
qualche distinguo, qualche perplessità. Da quando è stata “pensata” l’arteria
stradale (circa 40 anni fa) c’è stato un lieve, ma percettibile cambiamento
dell’approccio. Non più una visione sviluppista tout court, come ai bei tempi
del boom economico, in cui la crescita era l’unico valore di riferimento, bensì
la consapevolezza del danno (ambientale, paesaggistico, economico, sanitario)
che alcune scelte infrastrutturali comportano. E così gli interventi a favore –
pur partendo da un principio tutt’altro che assiomatico - sono stati tutti accompagnati - chi più, chi
meno – da un qualche “ma” o da qualche “però”. Chi si chiedeva quale sarebbe
stato l’impatto di un’opera analoga (dando per scontato il fatto che non si
potesse intervenire creando una riduzione della domanda di mobilità, ma solo
aumentando a prescindere una qualche offerta). Chi (il PD di Valmontone)
sostenendo l’importanza dell’opera purché si spostassero a Labico le
esternalità negative (traffico, opere connesse, ecc.). Chi (il PD di Labico)
sostenendo l’importanza dell’opera purché non si realizzassero a Labico le
esternalità negative (nello specifico il casello autostradale). Chi pretendeva
la realizzazione dell’opera in nome di una meglio precisata libertà di
spostamento e che però delegava agli organi competenti la ricerca di interventi
di mitigazione ambientale.
Da questo punto di vista credo
sia più coerente un genuino approccio cementista modello berlusconiano,
piuttosto che una sempre più diffusa schizofrenia di una certa sinistra (o
presunta tale) che organizza convegni ed iniziative sulla green economy, sulla
filiera corta, sullo slow food e sulla valorizzazione dei prodotti locali
(penso alle tante chiacchiere che si fanno sull’esigenza di tutela della
nocciola labicana), ma che poi, quando si tratta di fare le scelte di politica
infrastrutturali, dimostra di essere rimasta culturalmente ferma a quegli anni
’70, durante i quali era stata progettata la bretella. Gli stessi
anni in cui il Massachusetts Institute of Tecnology aveva redatto “I limiti
dello sviluppo”, il primo documento scientifico dell’ambientalismo moderno. Da
allora, in questi 40 anni, molte cose sono accadute e in tutto il mondo ci sono
stati straordinari cambiamenti culturali. L’Unione Europea - come ha
magistralmente ricordato una ragazza intervenendo a difesa del suo (e nostro)
territorio - ha dato, attraverso il libro bianco sui trasporti, delle
indicazioni chiarissime su come i governi nazionali dovranno gestire la
politica della mobilità. E la direzione è esattamente contraria a quella seguita
da governi nazionali e amministratori locali. Pur sapendo che così facendo si
rendono consapevoli della distruzione del nostro territorio e del nostro
paesaggio (art. 9 della Costituzione), che annienteranno il coraggioso
tentativo di giovani e appassionati imprenditori agricoli che stanno cercando –
loro sì – di valorizzare i prodotti della nostra terra e di creare le premesse
per un’economia locale sana e vitale, che aumenteranno inquinamento e danni
alla salute per la popolazione residente, che sottrarranno preziose risorse che
potrebbero molto più utilmente essere destinate ai pendolari, costretti ad un
continuo calvario per raggiungere il proprio posto di lavoro. Ebbene nonostante
questo, la loro posizione non è in discussione. Anzi, sono talmente convinti di
essere nel giusto che, subito dopo la passerella del palco, scappano via, da perfetti
politici navigati, senza degnarsi di ascoltare le parole degli altri. Mica
hanno tempo da perdere.
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