Quando ho conosciuto Massimo era ancora un ragazzo. Un’enorme
massa di capelli ricci e neri circondava un bel viso, tondo e solare, da cui
trapelava la sincera passione civile e politica che faceva di lui una delle
migliori persone che io abbia mai conosciuto. Con lui ho condiviso programmi e
progetti ed ho sempre invidiato – oltre alla massa di capelli ricci - la calma
e la disponibilità che riusciva ad avere anche nelle situazioni più complesse.
Situazioni in cui magari tu lo guardavi con aria preoccupata ed interrogativa
come a dire “e adesso che si fa?” e lui rispondeva al tuo sguardo con
un’espressione rassicurante, arricchita da un’occhiata impertinente e dal suo
immancabile sorriso sornione.
Con Massimo ho percorso un lungo tratto di strada. Siamo stati
colleghi. Abbiamo vissuto insieme la travagliata storia politica
dell’ambientalismo e del pacifismo. Insieme abbiamo fatto molte battaglie
(Massimo mi perdonerà la metafora bellica) e insieme le abbiamo perse, buona
parte almeno. Eravamo, anzi, siamo amici. Amici non per caso, ma per scelta.
Una scelta nata dalla sintonia culturale e dalla condivisione degli ideali.
Massimo era meticoloso, ordinato, esigente. Con se stesso prima che con gli
altri. E le sue aspettative in politica erano talmente alte da vivere con spirito
critico anche la più valida delle proposte politiche. Non amava i compromessi e
le trattative, che, a suo avviso, svilivano gli ideali. Nella categoria dei
sognatori lui era il più sognatore di tutti. E se lo poteva permettere. Per la
coerenza che caratterizzava il suo pensiero. Per molti di noi – sognatori o
presunti tali – era un punto di riferimento. Si sa, il mondo ambientalista è
pieno di contraddizioni. Il famoso “arcipelago” ha sempre avuto difficoltà a
parlare un linguaggio comune. Massimo, invece, era la perfetta sintesi della
cultura ecologista. Ambientalista, vegetariano, pacifista, portatore dell’etica
del rispetto e della solidarietà. Non lo scopro adesso, ché Massimo non c’è
più. Queste cose ce le dicevamo nelle chiacchierate dei momenti di disillusione
della vita politica (un po’ sempre quindi). E, quando cercavamo di immaginare
come dovesse essere il nostro punto di riferimento ideale, il pensiero andava
immediatamente a Massimo ed alla sua straordinaria integrità morale.
Anche quando i nostri destini lavorativi si sono divisi, non
abbiamo mai smesso di stare in contatto. “Che fai, ti nutri?”. Con queste
quattro parole mi telefonava per propormi di pranzare insieme. Non servivano
altre parole. Avevamo da sempre questo appuntamento fisso almeno una volta alla
settimana: io, Andrea e lui. Sempre puntuale, sempre sorridente, anche quando
arrivavi trafelato con dieci minuti di ritardo…
Sono stato a casa di Massimo e Dora e ho pensato che chiunque
la riconoscerebbe subito. E non solo per le bellissime foto appese dappertutto.
Un’altra passione in comune quella della fotografia, solo che lui le foto le
sapeva fare. Ovunque c’è l’impronta di Massimo. Dalle bandiere della pace alle
spillette, dai libri alle pile di documenti ordinati con cura quasi maniacale.
Ieri la mia attenzione si è soffermata su un cartoncino con la scritta “il mio
è un papà speciale”. Certo, è un regalo piuttosto diffuso. E mi sa che persino
io ho ricevuto qualcosa del genere. Però quel cartoncino lì diceva la sacrosanta
verità. Massimo era una persona davvero speciale. Una di quelle persone che –
ad avercene – sono in grado di rendere migliore questo mondo. Una persona il
cui esempio può insegnare molto. Una persona che ha dato alla vita e agli altri
molto di più di quello che ha ricevuto. Grazie Max. Per salutarti uso le parole di
Gaber: “Ma io ti voglio dire che non è mai finita, che tutto quel che accade fa
parte della vita”.
è un ricordo bellissimo.
RispondiEliminaTullio, non conoscevo il tuo amico Massimo ma ora lo conosco anche io. Persone così non moriranno mai...
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